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Cronologia dei fatti della 
"settimana rossa" a Fusignano

 a cura di Luciano Lucci   lucci@racine.ra.it

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La settimana rossa nei vari paesi di Romagna
  (eravate qui)
Cosa fu la Settimana Rossa 
Le cause
Dove avvenne
  

Personaggi storici coinvolti:

Le foto
Documenti
Video-interviste
Giornali e periodici dell'epoca
Bibliografia
Narrativa sulla "Settimana Rossa"

 

Domenica 7 giugno 1914    

La festa dello Statuto La data del 7 giugno era quella in cui i monarchici celebravano la festa dello Statuto.
Contromanifestazione ad Ancona a Villa Rossa di repubblicani, anarchici e socialisti Manifestazioni antimilitariste si tennero da vari mesi in varie parti d'Italia, contro le Compagnie di Disciplina e per la liberazione delle vittime del militarismo.  Una grossa contro manifestazione fu attuata a Villa Rossa, sede repubblicana di Ancona, dove parlò Pietro Nenni, allora dirigente repubblicano, e Enrico Malatesta, vecchio storico esponente dell'anarchismo italiano.
 Contro la guerra di Libia e le Compagnie di Disciplina La protesta era contro la guerra di Libia e per l'abolizione delle Compagnie di Disciplina nell'esercito, motivo per cui il soldato Masetti aveva sparato a un suo superiore.
Ad Ancona i carabinieri sparano sulla folla: 3 morti Il comizio di Ancona (clicca per maggiori dettagli)  si tenne al chiuso, poi all'uscita della gente si formò una specie di corteo. Molti volevano andare in piazza Roma dove si teneva un concerto militare. L'intervento dei carabinieri provocò un eccidio: furono colpiti manifestanti anarchici, socialisti e repubblicani. Due morirono subito, il terzo il giorno successivo.
A Fusignano la notizia arriverà il giorno seguente   La notizia arriverà solo con i giornali del mattino seguente
La serata a Fusignano fu calma.

Lunedì 8 giugno 1914

La notizia viene appresa dai giornali Conosciuta la luttuosa notizia la Sezione Repubblicana espose la bandiera abbrunata, venendo subito imitata dalla Sezione Socialista e da altre organizzazioni economiche.
Sciopero generale per il giorno dopo A Forlì, Ravenna, Cesena, Faenza, Fabriano, Falconara, Senigallia e in altre città e paesi delle Marche e della Romagna, come pure Roma, Firenze, Milano e Napoli operai e masse popolari entrarono in agitazione e proclamarono lo sciopero generale per il giorno 9 a cui si accodò la dirigenza nazionale della Confederazione del Lavoro e le Direzioni Centrali dei Partiti Repubblicano e Socialista.

Martedì 9 giugno 1914

Sciopero e chiusura dei negozi A Fusignano ci fu la sospensione dal lavoro degli operai e la richiesta di chiusura dei negozi, che fu attuata senza reclamare. Furono esposte bandiere a lutto.

Mercoledì 10 giugno 1914

Manifesti e volantini.
Si forma un Comitato per organizzare una grande manifestazione.
La mattinata passò tranquilla.
La Sezione Repubblicana pubblicò un manifesto che stigmatizzava l'eccidio di Ancona ed invocava la "virile protesta del popolo contro gli autori e la politica del Governo.
I socialisti distribuirono volantini inneggianti allo sciopero generale rivoluzionario e fu nominato un Comitato incaricato di organizzare per il giorno seguente una grande dimostrazione di protesta.

Fecero parte del Comitato: Pino Grossi e Giovanni Capucci per il Partito Repubblicano,
Emilio Costa ed Emaldi Battista per il Partito Socialista, Olindo Servidei  per il Gruppo Anarchico, Leopoldo Tellarini e Emilio Vistoli per le Organizzazioni Operaie. 
(Pino Grossi "Gli avvenimenti fusignanesi nella settimana rossa" Archivio Piancastelli)

 Arrivano notizie degli scontri a Ravenna... Verso sera arrivarono notizie degli scontri di Ravenna. 
Raduno di folla ad Fusignano Si credette che sia l'inizio della Rivoluzione, quella propagandata da oltre 50 anni, specialmente da parte del partito repubblicano.
Il Comitato getta acqua sul fuoco, ma arrivano continuamente notizie... Gli animi si accesero, ma dopo alcune ore si ridimensionarono le notizie più esagerate.
Però quelle che arrivavano da Alfonsine non poterono essere ridimensionate. In più girò voce che in Italia la rivoluzione era trionfante. La folla si esaltò.
Qualche azione "sovversiva" ad imitazione di Alfonsine ma ben al di sotto della soglia di criminoso e grottesco che si era verificato là Nella notte, ad imitazione di Alfonsine, furono interrotte le comunicazioni telegrafiche e telefoniche, si imbrattarono i muri delle chiese e delle case con iscrizioni sovversive, ed alcuni sconosciuti, penetrati nella Chiesa Arcipretale di San Giovanni Battista, mediante scasso di una porticina laterale sinistra, iniziarono la distruzione di un baldacchino che doveva servire per la processione del giorno seguente (Corpus Domini), quando furono scoperti e messi in fuga dal sacrestano, che in quella notte fu obbligato dall'Arciprete a dormire in chiesa, prevedendo disordini ed invasioni.

Giovedì 11 giugno 1914

Il Comitato tiene in pugno la situazione... Ore 7
Mentre ad Alfonsine riprendevano gli atti vandalici contro la chiesa, qui il Comitato era in riunione permanente presso la Sezione Socialista, da dove impartiva ordini affinché la manifestazione in programma procedesse regolata e col consenso di tutti. 

Si rilasciarono lasciapassare a persone che avevano interessi indilazionabili di recarsi in altri paesi, si diedero ordini per la concessione di generi alimentari ad ammalati, si organizzarono squadre per assicurare la chiusura delle chiese e dei pubblici negozi, escluse le farmacie che furono lasciate aperte.

500 persone in comune per chiedere l'esposizione della bandiera abbrunata... Ore 9
Mentre gli impiegati erano già al lavoro in Municipio, una massa di 500 persone si recò presso la residenza Comunale per reclamare l'esposizione della bandiera abbrunata e la chiusura degli uffici. Il Segretario Comunale sig. Antonio Foiera si oppose energicamente. Ma visto l'atteggiamento poco rassicurante della folla, aderì qualora i dimostranti avessero il permesso del Sindaco.
Una Commissione, mentre la folla stazionava in Municipio, si diresse all'abitazione del cav. Enrico Armandi che rilasciò l'ordine di esporre la bandiera e di chiudere gli uffici.
Si richiede di chiudere il Circolo Cittadino ore 9,30
Dopo la precedente facile vittoria i dimostranti vollero recarsi dal sig. Demetrio Gossi, presidente del Circolo Cittadino, per chiederne la chiusura. Pino Grossi assicurò che ci sarebbe andato da solo, e dato che si trattava di suo cugino, era certo che avrebbe ottrenuto il risultato. Così accadde dopo breve e cordiale colloquio al quale partecipano pure Emidio Costa (anarchico) e Domenico Venturi (repubblicano).
La folla vaga per le vie di Fusignano in attesa di notizie che non tardano ad arrivare...

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Ore 10
Il sole splendeva alto nel cielo e la folla vagava per le vie di Fusignano, non sapendo cosa fare e in attesa di notizie da fuori. 
Presto arrivarono diversi sconosciuti che raccontarono sull'incendio del palazzo comunale di Alfonsine, della stazione di Castelbolognese, di Imola, della Chiesa di Mezzano e di altre gesta di rivolta che unite alle voci di un movimento rivoluzionario generalizzato, eccitarono la folla fino ad allora abbastanza tranquilla.
Si pianta l'albero della libertà...

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Ore 10,30
Alcuni più focosi lamentarono l'inettitudine delle masse fusignanesi e specialmente del Comitato d'agitazione, dal quale pretendevano azioni più drastiche e violente come ordini di saccheggio, di incendi... invece di parole di calma, in attesa di avvenimenti decisivi e di ordini da organismi politici centrali.
La massa rimase comunque disciplinata e non seguì i malcontenti. 

Ma un gruppo numerosi di giovani, all'insaputa del Comitato di agitazione si recò nel bosco del Marchese Calcagnini e lì abbatte un frassino lungo almeno 15 metri. Trascinato fino in Piazza Corelli fu lì piantato davanti alla Chiesa del Suffragio, nello stesso punto dove già nel 1848 era stato piantato l'Albero della libertà. In cima una bandiera rossa presa dalla sede dei Socialisti.
Alla cerimonia assistette la folla dei dimostranti e molti altri curiosi. Tutti salutarono l'albero della libertà al grido "Viva la Rivoluzione". La banda cittadina, spontaneamente in piazza, iniziò a suonare e tutti cantarono: dalle note della Marsigliese, all'Inno dei Lavoratori e all'Inno di Garibaldi.

Fra i tanti avvenimenti, questo è forse il più carico di valore simbolico di tutta la Settimana Rossa in Romagna, segno di quanto fossero vive in quelle popolazioni le memorie giacobine e quarantottesche, segno di quali e di quanti significati esse attribuissero più o meno consapevolmente, alla loro rivolta, ma anche segno gioioso, emblema di festa, di libertà come di emancipazione, dalle ristrettezze del quotidiano, dai vincoli, dalle regole imposte. 

Sotto l'albero della libertà si sarebbero celebrati i matrimoni dell'età futura, nella semplicità e nella spontaneità dell'amore naturale: come aveva sperimentato alcuni vecchi nel 1848-49, con la Repubblica Romana.

Ecco la frase che bisognava recitare girando intorno all'albero, per diventare marito e moglie:

“Sotto quest’Albero / Di verdi foglie,
O cari amici, / Questa è mia moglie.
Sotto a quest’Albero /  Bello e fiorito, 
Questi, il vedete, / E’ mio marito

Crocchi di persone in giro, non più preoccupate ma allegre: il paese aveva assunto un aspetto festivo, si discuteva facendo pronostici sull'esito della rivoluzione in Italia. Alcuni ritornarono con la memoria al 1848, quando cioè i loro nonni, nella stessa piazza e quasi nello stesso punto alzarono l'albero della libertà. Le donne partecipano alla rivoluzione e il vecchio novantenne Valentino Bedeschi si recò a vedere il rinnovato segno rivoluzionario e pianse. E pensare che era un uomo d'ordine e anche religioso...

Alle ore 11 il maestro Antonio Preda, dilettante fotografo ritrae la scena....

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ore 11
Terminata la cerimonia dell'innalzamento dell'albero della libertà, il maestro Antonio Preda, dilettante fotografo, ritrasse la scena per riprodurla in cartoline illustrate. Tali fotografie furono pubblicate dai giornali "La Domenica del Corriere" e "L'Illustrazione Italiana" (2° numero di giugno), ma furono anche usate per le indagini della Pubblica Sicurezza.
Ma non era questa l'intenzione di Preda e i rivoluzionari non gliene fecero colpa.

L'episodio dell'albero della libertà interessò tutta la stampa italiana che lo illustrò in modo benevolo per il suo significato ideale, contrariamente alle altre gesta di Alfonsine e dintorni.

E' ora di pranzo... pausa provvidenziale! ore 12
Un gruppo di rivoltosi vorrebbe anche incendiare municipio e chiesa, ma essendo ora di andare a pranzo l'esortazione di alcuni membri del Comitato viene ascoltata. 
Il comportamento dei 4 carabinieri In tutta la giornata i carabinieri non escono mai dalla caserma. Erano solo in 4. Non si sa se per ordini ricevuti o per prudenza.
Momento clou...

 

 

 

Pomeriggio
Da Alfonsine arriva in motocicletta il dott. (veterinario) Beno Gessi, un repubblicano conosciuto da Pino Grossi. Il Gessi, col cognato Ferruccio Mossotti e il fratello Mino Gessi, è tra gli attivisti della rivolta di Alfonsine.

Il Comitato cerca di tener calma la folla ma le notizie arrivano sempre più allarmanti... conflitti a fuoco, distruzioni... la folla è sempre più eccitata. Il Gessi trafelato, con gli occhi congestionati, in preda ad evidente agitazione, riferisce che il sig. Marini di Alfonsine, arrivato da Roma la sera prima, ha  raccontato che il Re è fuggito e parte dell'esercito si è ribellato. Inoltre tutte le grandi città italiane sono insorte e che a Ravenna la Casa del Popolo, gremita da un migliaio di dimostranti, era assediata dai soldati ed era doveroso e necessario armarsi per marciare verso Ravenna e liberare gli amici assediati. Si tratta di notizie non vere, alcune esagerate di episodi reali. Pino Grossi rassicura la folla che il Gessi è una persona affidabile, amico della causa repubblicana: chiede chiarimenti e precisazioni che gli vengono date dal Gessi. La folla viene informata ma il Grossi a nome suo e del Comitato declina ogni responsabilità sulla fondatezza di quelle notizie e invita la folla a senso di responsabilità: che non si commettano atti criminosi all'infuori del sequestro delle armi ai cittadini.

Requisizione delle armi

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Le barricate

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ore 16,30
Terminato il comizio alle 16,30,  500 persone tra grida di "Viva la Rivoluzione" e "Abbasso la monarchia" si riversano per le vie del paese per requisire le armi dei privati.
La stessa cosa si sta facendo ad Alfonsine, come conferma Beno Gessi. L'obiettivo è organizzare una spedizione su Ravenna per la liberazione dei prigionieri della Casa del Popolo. Questa è la voce che circola. In realtà a Ravenna una rapida uscita la fa la cavalleria per disperdere i dimostranti, i quali si rifugiano nella Casa del Popolo. Quando i soldati sono passati allora tutti escono tranquillamente. Questo viene confermato da Gessi, il quale afferma che anche da Mezzano sta partendo una spedizione.

300 dimostranti andarono nelle case e ville dei privati a sequestrare armi. Tra gli altri rimasti in piazza Corelli si sparse la voce che da Lugo stava arrivando la cavalleria (voce infondata). La folla si agitò e corse ai ripari.

"Facciamo le barricate" propose uno della folla.
E così, memori di antiche battaglie risorgimentali, si crearono barricate prendendo mobili, panche, confessionali dalle chiese S. Giovanni Battista e del Suffragio, dal San Rocco e dell'Orfanotrofio. (testimonianza di Maria Zannoni Amadei)

Alcuni giovani, tra i più scalmanati, entrarono nella torre dell'orologio con l'intento di rubare la cosidetta "Madonna Nera". Intervennero lo studente Renato Emaldi e Pino Grossi che redarguirono i ragazzi e la madonna non viene toccata. Alla fine le chiese non ebbero grandi danni a parte qualche rottura a immagini sacre.

Requisizione dell' automobile di Piancastelli Mentre si requisivano armi e si costruivano febbrilmente le barricate, qualcuno lanciò l'idea di inviare una commissione a Ravenna per avere ordini e sapere come procedere con la dimostrazione. L'idea giusta fu accolta, ma non essendoci mezzi veloci per andare a Ravenna, si pensò di requisire l'automobile del Sig. Carlo Piancastelli, ricco proprietario terriero di Fusignano, che in quei giorni si trovava nella sua dimora a Roma. 

Una Commissione si recò nell'abitazione del fattore di Piancastelli, bussò, ma nessuno rispose. Allora fu sfondato il portone. Solo allora apparve il Rag. Carlo Francesconi, spaurito e tremante, il quale dopo un colloquio con due della commissione, Antonio Baruzzi e Pietro Ruffini, dopo aver avuto assicurazione che non si sarebbe recato alcun danno all'automobile, aderì alla richiesta dei dimostranti. La Commissione fece rimettere a posto la porta atterrata, mentre altri salirono sull'auto. Alla guida Carlo Cimatti, autista del Sig. Piancastelli, con sopra Renato Emaldi, studente, Domenico Venturi, muratore, e Pietro Ruffini, cantoniere idraulico. 

A queste scene parteciparono da spettatori anche monarchici e clericali che potevano girare indisturbati tra la folla. Niente di traumatico successe comunque. Non fu accettato neppure il denaro o alimenti che i ricchi, intimoriti, volevano dare ai dimostranti quando entrarono nelle case per sequestrare le armi.

Fine dell'illusione Qualcuno ancora accennò però ad assalire i magazzini dei ricchi. Ma i maggiorenti repubblicani e socialisti convinsero la folla ad attendere almeno la Commissione quando fosse tornata da Ravenna.
Un improvviso e provvidenziale scroscio d'acqua e di grandine raffreddò gli animi e tutti corsero sotto i portici a continuare i commenti.
Intanto l'auto della Commissione arrivò a Ravenna; si venne a sapere che lo sciopero stava per terminare su ordine della Confederazione del Lavoro, e che la pretesa rivoluzione (secondo i giornali usciti con la notizia) era stata limitata alle province rosse della Romagna e delle Marche, senza essere meritevole di rilievo e attenzione neppure da parte del Governo. 

A Fusignano, due ore dopo, terminato il temporale si riprese a preparare le barricate. Ma arrivarono quelli della Commissione e il socialista Giovanni Martoni da Massalombarda. 

Si sparse la notizia, ma non ci si voleva credere nessuno, tanto era l'aspettativa di aver creato la Repubblica o almeno di aver fatto una sommossa nazionale. Alcuni dissero che erano fandonie divulgate da agenti governativi e che bisognava restare in armi. Pino Grossi invitò ad un comizio nel cortile della Casa Socialista e qui sostenne che non si doveva continuare la protesta, che andavano restituite le armi, dato che l'ordine era venuto dalle massime organizzazioni politiche ed sindacali.

Era sera e si decise tutti di obbedire a tali indicazioni: si dichiarò ufficialmente che la dimostrazione rivoluzionaria era finita.

La notizia si sparse fulminea in paese: i negozi riaprirono, i caffé e le osterie si affollarono di clienti per bere un po' di vino, che era stato vietato nei giorni della rivolta, anche nei caffé dei circoli repubblicano e socialista. I più timorosi finalmente uscirono e la vita riprese normalmente.
Un residuo gruppo di giovani incolonnati in ordine militare attraversarono il paese con i fucili in spalla, cantando la Marsigliese, creando una scena di come doveva essere stata la Rivoluzione Francese.
A Lugo non è successe niente ma arrivarono voci delle imprese di Fusignano, ingigantite dalla fantasia popolare. Alcuni cittadini lughesi si recarono a Fusignano per vedere con i propri occhi. Trovano tutti a dormire... ore 23

Durante la notte giunse la forza pubblica. pasquale Amadei, segretario della sezione giovanile socialista, fu arrestato.

Venerdì 12 giugno 1914

Abbattimento dell'albero della libertà Si ripulì la città. L'arciprete Mons. Albertini fece togliere le barricate, pagando in proprio i facchini del paese. Il Sindaco Cav. Enrico Armandi (partito conservatore) fece atterrare l'Albero della Libertà dai cantonieri comunali Serafino e Anacleto Guerra, sorvegliati dalle guardie municipali, dal maresciallo dei carabinieri con vari militi, e la gente attorno che commentava con rammarico. L'albero a mezzogiorno fu portato via nel cortile del palazzo comunale e fatto in tanti pezzi. Uno di questi pezzi fu consegnato a Pino Grossi per ricordo, e un'altro, insieme alla bandiera rossa, al Circolo Socialista.

Domenica 21 giugno 1914

Le elezioni amministrative di Fusignano Nonostante a Fusignano le intemperanze fossero state controllate si scatenò, da parte dei conservatori e reazionari, una campagna di denigrazione contro le persone più in vista del Partito Repubblicano e Socialista. Ci furono molti arresti e un processo.
La domenica 21 giugno 1914 ci furono le elezioni amministrative comunali, ad appena una settimana dalla fine delle agitazioni.

A Fusignano aveva sempre governato una giunta clerico-moderata. Solo per un breve periodo c'era stato anche un sindaco e una giunta repubblicana.
Socialisti e repubblicani pensarono che fosse giunto il momento di prendere in mano il comune. Monarchici e clericali lanciarono il grido di guerra contro socialisti e repubblicani: la sfida fu accettata.
I monarchici e clericali scelsero come candidati tutti i ricchi e i più in vista del paese: l'ex-sindaco Enrico Armandi, il Cav. Dottor Carlo Piancastelli, l'Avv. Demetrio Grossi, l'ex capitano dei bersaglieri Fedele Tazzari, l'Avv. Francesco Tazzari, Sebastiano Preda. 

Gli altri candidarono tutti operai scelti nel campo socialista. 

I repubblicani si autoesclusero dalle candidature.
La lotta elettorale fu accanita ma senza incidenti. Elevata fu l'affluenza alle urne (80%). La vittoria della lista dei cosidetti "sovversivi" fu totale, ottenendo 420 in più di quella degli avversari.
Grande manifestazione di entusiasmo, con canti e feste, mentre i monarchici e i clericali si rintanarono nelle loro case, mortificati per la imprevista e schiacciante sconfitta.

Lunedì 22 giugno 1914

  "Socialisti e repubblicani festeggiarono la vittoria in piazza Corelli con danze e musiche, e si incontrarono nella sede del Circolo Socialista facendo i migliori propositi di mantenere saldi i vincoli di amicizia e fratellanza trovati nella manifestazione rivoluzionaria e nella lotta elettorale". (Pino Grossi)

Sabato 11 luglio 1914

Arresti 



Profughi politici a San Marino ritratti il 7 settembre 1914: da sinistra Brunetti (repubblicano di Fabriano), Camillo Garavini (sindaco di Alfonsine, socialista), Vincenzo Gironzi (repubblicano di Falconara), Umberto Bianchi (socialista di Ravenna) ed infine i fusignanesi Renato Emaldi (studente universitario, indipendente), e Giuseppe Grossi (impiegato comunale, repubblicano)

 

Una compagnia di 200 fanti,  50 soldati a cavallo, più 30 carabinieri, guardie e delegati di P.S. giunse alla spicciolata a Fusignano, all'una di notte e bloccò le vie d'uscita. Iniziò la retata. Furono invase e perquisite le case di coloro per cui c'era un mandato di cattura. Molti però erano già fuggiti avvisati da un militare che doveva prendere parte alle operazioni. La perquisizione nelle case fu accanita e rabbiosa, senza riguardo per nessuno: donne incinta, o vecchie nonne, o bambini malati; tutto fu messo sottosopra, specialmente quando le ricerche si facevano infruttuose. Ci furono anche rocamboleschi inseguimenti sui tetti. ("Arresti a Fusignano" dal "Corriere di Romagna" del 14-15 luglio del 1914.  "Movimentati arresti a Fusignano" dal Resto del carlino del 15 luglio 1914).

 Unanime l'indignazione della stampa di sinistra. La Libertà del 18 luglio 1914, "la Voce Mazziniana" del 26 luglio, e anche "Il Giornale del Mattino" del 15 luglio. 

Quella volta Pino Grossi, Renato Emaldi, Emidio Costa, Leopoldo Tellarini, Battista Emaldi e Emidio Tabanelli riescono a fuggire: i primi due a San Marino e gli altri in Svizzera. (Vedasi foto a fianco)
Gli imputati furono 50, e gli arrestati 28
: furono tradotti nelle carceri di Ravenna.

Furono arrestati Guerrini Luigi, Venturi Domenico, Tellarini Luigi, Sassatelli Vincenzo, Emaldi Alcide, Montanari Emilio, Morando Domenico, Montanari Pasquale, Abbondanti Giuseppe, Marcucci Augusto, Marcucci Silvio, Marcucci Emilio, Emaldi Antonio, Feruzzi Filippo, Cantagalli Giovanni, Alberani Matteo, Guerrini Guido,  Malpeli Pietro, Ricci Giulio, Morandi Giulio, Malpeli Alfredo, Babini Edoardo, Tabanelli Umberto, Pasquali Domenico, Ruffini Pietro, Alberani Annibale, Luisa Manetti.

16 novembre 1914

Il processo  Trascorsero così quattro mesi, finché il Procuratore del Re Avv. Rossi Doria ordinò il rinvio a processo di 32 sui 50 imputati, fissando l'udienza per il 16 novembre 1914 al Tribunale Civile e Penale di Ravenna. In quel giorno si costituirono anche Pino Grossi e Renato Emaldi, reduci dall'esilio di San Marino.
Il processo durò 10 giorni e alle ore 19,30 del 26 novembre si ebbe la sentenza che assolse per insufficienza di prove: Renato Emaldi, Pietro Ruffini e Domenico Venturi, accusati di violenza privata per la requisizione dell'automobile del Sig. Piancastelli. Assolse pure Emidio Tabanelli, Alfredo Malpeli, Natale Faccani, Sileno Ferri, Emilio Marcucci e Pietro Malpeli, mentre Pino Grossi fu condannato a 6 mesi per un reato che non aveva commesso: la costruzione di barricate. I condannati furono 24, ed ebbero da 6 mesi a quattro anni.


La condanna e le pene furono ritenute eccessivamente severe in confronto agli avvenimenti fusignanesi. Gli stessi denunciatori si rammaricano di ciò, specialmente temendo rappresaglie e vendette.
Alcuni di questi protagonisti scapparono di nuovo a San Marino, ma poi furono individuati dalla polizia ed arrestati nei mesi successivi: Camillo Garavini di Alfonsine, Finessi di Falconara, Bianchi di Ravenna, Renato Emaldi e Pino Grossi di Fusignano, Brunetti di Fabriano.

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