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Cronologia dei fatti della 
"settimana rossa" a Ravenna

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Articoli pubblicati su "Alfonsine mon amour"

Domenica 7 giugno 1914                          

Masetti: chi era?

Contromanifestazione ad Ancona a Villa Rossa di repubblicani, anarchici e socialisti. Contro la guerra di Libia e le Compagnie di Disciplina

 

 

 

 

Ad Ancona i carabinieri sparano sulla folla: 3 morti

 

 

A Ravenna piovve a dirotto per tutta la mattina e faceva freddo. Non ebbe luogo nemmeno la festa dello Statuto, che i moderati di Ravenna avevano pensato di usare come propaganda per prossima tornata elettorale amministrativa che si sarebbe svolta il 21 giugno. Comunque Ravenna era stata imbandierata a festa.

Comunque lungo i viali della stazione c'era la rituale parata militare, guidata dal generale Luigi Agliardi, ignaro di ciò che lo attendeva di lì a pochi giorni. 


Il generale Agliardi

Questi passava in rassegna le truppe del 28° e dell'11° Reggimento, tra gli urrà della gente presente.

Per evitare complicazioni il prefetto Gaspare Focaccetti aveva provveduto, in ottemperanza alle disposizioni giunte dal Ministero dell'Interno, a vietare un comizio pubblico "pro Masetti e contro le compagnie di disciplina", indetto dalla vecchia camera del lavoro, nonché l'affissione di manifesti ritenuti offensivi delle istituzioni.

Alle 10,30, organizzata dall'Unione liberale costituzionale "Patria e Progresso", si apriva invece, al Casino del Teatro Alighieri, una conferenza dell'on. Emilio Faelli sul tema "I partiti politici in Italia 66 anni dopo la promulgazione dello Statuto. Un gruppo di anarchici, di ritorno da un raduno privato presso il Teatro Filodrammatico, irruppe nella sala; erano guidati dal facchino Agostino Masetti, figura di spicco dell'anarchismo ravennate e non nuovo a imprese del genere.

Ci fu un violentissimo tafferuglio, tra grida "Viva Masetti e abbasso le compagnie di disciplina" e dalla parte opposta "viva l'esercito, fuori i disturbatori". Tra spintoni e ingiurie gli anarchici furono allontanati a forza dalla sala.

Tornarono però subito dopo, spalleggiati da un gruppo di socialisti, provenienti anch'essi dal comizio al Filodrammatico, con alla testa il segretario della vecchia Camera del lavoro Giovanni Bacci, marchigiano, che dirigeva la camera del Lavoro di Ravenna fin dal 1910. Era un socialista rivoluzionario, di formazione radicale, che aveva aderito al PSI nel 1903. In seguito alla vittoria della sinistra al Congresso di Reggio Emilia del luglio 1912, gli era stata affidata la direzione dell'"Avanti", che poi passò a Mussolini.

Intervenne il delegato di Pubblica Sicurezza, e l'oratore riuscì a terminare il suo discorso.

A sera il cielo si era rischiarato

Lunedì 8 giugno 1914

La notizia viene appresa dai giornali In mattinata con i primi telegrammi giunse  la notizia dell'eccidio di Ancona.

Alla sera quando i braccianti tornarono dal lavoro e appresero tutto quanto era successo, si diffuse la voce della manifestazione per il giorno dopo e dello sciopero.

Sciopero generale per il giorno dopo

Martedì 9 giugno 1914

  Alle 10 ci fu un comizio in piazza del Popolo, (allora Piazza Vittorio Emanuele), organizzato di concerto dalle due Camere del Lavoro, per la prima volta unite dopo la scissione del 1910: parlò l'anarchico Zauli, della Commissione di Controllo della Camera Vecchia e dopo di lui il direttore di "La Romagna socialista" Umberto Bianchi ed i repubblicani Teobaldo Pio Schinetti, segretario della nuova CDL, e Corradetti, a Ravenna per una vertenza sindacale riguardante i facchini del porto. Infine intervenne Antonio Giusquiano, direttore de "La Voce Mazziniana", organo del Partito mazziniano intransigente. 

Era costui un professore povero in canna che viveva ospitato da compagni di fede; si era staccato dal partito repubblicano e conduceva una lotta contro ogni compromesso con la monarchia, era anche contro la partecipazione alle elezioni.

Parlavano dai piedistalli di una delle due grandi colonne, di gente non ce n'era molta, perché il comizio era stato improvvisato: i temi erano due "basta con l'uccisione di cittadini" "basta con la polizia del re".

A mezzogiorno davanti alla Casa del popolo vi erano capannelli di gente, ma tutto era tranquillo.

Nel pomeriggio uscì il quotidiano locale "Corriere di Romagna", unico quotidiano ravennate del periodo, vicino alla destra salandrina, ispirato dal senatore Luigi Rava, all'epoca ministro delle Finanze, che ne riportava un breve resoconto con un titolo a una colonna.

All'indomani ci sarebbe stata una manifestazione con sciopero, si trattava di prepararla.

Mercoledì 10 giugno 1914

18.000 manifestanti a Ravenna

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

... davanti alla Prefettura

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Muore, colpito alla testa da una bottigliata, un commissario di Pubblica Sicurezza

Una testimonianza filmata nel 1964 da Sergio Zavoli (clicca)

Confluirono in bicicletta, sui carri dei birocciai e su altri mezzi, per lo più braccianti e mezzadri di fuori Ravenna. 

 Dalla via Faentina giungevano lunghe fila di ciclisti e calessi, carri tutti pieni di gente: erano di San Michele, Godo, Mezzano, Alfonsine, Voltana; cantavano tutti e pareva che andassero ad una festa. Erano circa 18000 scioperanti (secondo Luigi Lotti in "La Settimana Rossa"). Ravenna all'epoca contava 20.000 abitanti

In piazza ci fu un nuovo comizio. Parlarono Bacci e Bianchi dei socialisti. Poi Turchetti e Schinetti per i repubblicani, infine Antonio Giusquiano, del gruppo dei mazziniani intransigenti.

L'imponente adunata si svolse in un clima di crescente tensione, echeggiante di proclami rivoluzionari, mentre giungevano le prime notizie dei disordini di Castelbolognese, della notte prima.

Al termine del comizio qualcuno parlò ancora, ma non si capì bene... La folla cominciò a gridare "C'è la repubblica, c'è la repubblica! Tutti cantavano e si abbracciavano - "andiamo in prefettura! avanti!".

Si sparse anche la voce incontrollata ( e falsa) di un nuovo eccidio durante i funerali ad Ancona delle vittime di Villa Rossa. Si sentì parlare di insurrezioni popolari in Lombardia, in Toscana, nella stessa capitale. Si diceva che la monarchia era ormai prossima al tracollo. 

Esauritosi il comizio, la folla, galvanizzata da quelle voci e dalle parole incendiarie degli oratori (era stata dichiarata soppressa ogni autorità politica e istituito un comitato d'agitazione unitario facente funzioni di governo di salute pubblica) si accalcò minacciosa davanti alla Prefettura.

In prefettura c'erano i soldati pronti a sparare. La folla si avvicinava minacciosa, un commissario di polizia cercò di parlare, arrivarono fischi. Arrivò un colpo con una bottiglia di seltz, sottratta forse in uno dei caffé che si affacciavano sulla piazza. Rimase colpito sulla testa il commissario di Pubblica Sicurezza Giuseppe Miniagio, che si accasciò sanguinante, ferito mortalmente (morì in ospedale il giorno dopo e fu l'unico morto della settimana rossa in Romagna).

Intervistato agli inizi degli anni '50 da Tino Della Valle, il presunto feritore di Miniagio sosterrà di essere stato indotto a quel gesto da una donna, che gli aveva passato la bottiglia fatale.  Repubblicano, iscritto al circolo giovanile "Il Giglio" di Borgo San Biagio, egli si sarebbe sottratto alla cattura rifugiandosi ad Ostia dove c'era una folta colonia romagnola. In seguito fece fortuna come commerciante. (da "1914: i "giorni rossi" nelle speranze e nelle illusioni dei rivoltosi" da "Studi Romagnoli" (Faenza) XLIV, 1993, pp. 449-450)


La Questura di Ravenna dopo l'assalto

Fu soccorso dai soldati, che si fecero largo tra la folla indietreggiante. In tutta Ravenna i soldati erano poco più di 300. In quell'occasione il tenente alla guida dei carabinieri non diede ordine di aprire il fuoco. 

Intanto qualcuno si arrampicò sull'ufficio telegrafico e del telefono che era sopra la pretura e tagliò i fili delle comunicazioni. Ravenna era isolata dal resto d'Italia. I soldati incalzarono la folla sparando alcuni colpi in aria.

Una folla impazzita entrò nella Chiesa S. Maria del Suffragio: uomini e donne urlanti portarono fuori panche, arredi e confessionali e ne fecero una barricata per sbarrare la via XIII Giugno (oggi via Serafino Ferruzzi). Qualche testa di statua fatta cadere dall'altare fu presa a calci.

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La chiesa del S. Maria del  Suffragio di Ravenna dopo l'incursione

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La chiesa del S. Maria del  Suffragio di Ravenna dopo l'incursione

La città era in mano ai rivoltosi. Le porte della città controllate, per passare ci voleva un fazzoletto rosso, oppure una foglia di edera.

L'annuncio che la repubblica era proclamata impedì altre violenze e tutto si trasformò in una festa.

Il circolo liberale "Patria e Progresso", che secondo i dimostranti, tra i quali molti braccianti,  "faceva tutt'uno con l'Associazione agraria", fu assaltato e, sfondate le porte, dalle finestre fu buttato giù di tutto.

Barricate agli imbocchi di via XIII Giugno e via Ponte Marino per proteggere gli accessi alla casa del Popolo repubblicana, in via Paolo Costa, designata a sede del Comitato di Agitazione.

Dal palazzo della prefettura uscì la cavalleria che trovò via XIII Giugno impedita dalla barricata. Allora passò a via Paolo Costa e qui disperse la folla che si rifugiò dentro il cortile della Casa del Popolo. Qui ci fu da parte dell’esercito una scarica di 80 colpi di fucile contro la Casa del Popolo repubblicana.  Passati i soldati tutti uscirono di nuovo fuori.

La serata sembrò passare nella tranquillità, salvo un tentativo fallito di incendiare il portone dell'antica chiesa dello Spirito Santo, prossima  al Battistero degli Ariani.

Il prefetto Focaccetti informò di ciò il generale Agliardi, che aveva chiesto  assicurazioni a proposito della sicurezza, e lo autorizzò a uscire di città per il giorno dopo con altri sei ufficiali, con due auto verso Cervia e Cesenatico, per fare dei rilievi.

Giovedì 11 giugno 1914
 

A Ravenna al pomeriggio il Comitato d'Agitazione, riunito in modo permanente alla Casa del Popolo, ricevette la notizia che la CGdL  tramite il suo segretario Rinaldo Rigola aveva dichiarato la cessazione dello sciopero a partire dalla mezzanotte, e decise di "sospendere" lo sciopero. In molti si rifiutarono di credere, in più casi si videro i manifestanti, esasperati bruciare i giornali recante la notizia della fine dello sciopero.

Ecco il testo del comunicato, pubblicato su "La Libertà" 13 giugno 1914 e "La Romagna Socialista" 14 giugno 1914:

"... Lo scopo per cui ci eravamo mossi è raggiunto; raggiunto non è invece lo scopo ideale che inspira (sic)  tutto il nostro movimento. Un comitato unitario rappresentante tutte le forze sovversive organizzerà e svilupperà le nostre azione avvenire. Ora torniamo tutti al lavoro, alle case, lieti del dovere compiuto, orgogliosi della minaccia che ci arde nel cuore. Dalla mezzanotte d'oggi - anche per disposizione delle organizzazioni centrali solo stasera ricevute - lo sciopero è sospeso!"

L'onorevole Pirolini, repubblicano, eletto nella circoscrizione di Ravenna arrivò da Forlì e fu invitato a tenere il comizio che spiegasse tutto ciò. Nonostante gli oratori che lo avevano preceduto avessero eccitato la folla, lui decise di dire la verità: la gente capì e se ne tornarono tutti a casa. 

Venerdì 12 giugno 1914

  A Ravenna

La mattina del venerdì corsero voci che nella Casa del Popolo ci fossero armi, e che la gente non fosse convinta che tutto era finito. I soldati si appostarono nella sede del Circolo liberale "Patria e Progresso" che aveva le finestre che erano dirimpetto alla casa del Popolo. Dalle truppe partirono colpi di fucile. Giovani repubblicani volevano uscire ed attaccare l'esercito. Arrivò di nuovo l'on. Pirolini che fermò i suoi e andò a parlamentare con il generale Ciancio, al quale dichiarò sul proprio onore che dentro alla Casa del Popolo non c'erano le armi temute. 

Si spense così l'ultima fiammata

Quel giorno spirò all'ospedale, senza aver mai ripreso conoscenza, il povero commissario Giuseppe Miniagio: l'unico morto delle giornate rosse in Romagna.

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