Stato
di famiglia di Stefano Cavazzutti del 1880
(un click sull'immagine per averne un ingrandimento)
Un
grande spirito libero, fervente mazziniano della prima ora, amico di
Aurelio Saffi
Alla Boratella
Stefano Cavazzutti si era proposto come il "medico" di quelle
miniere, accattivandosi la fiducia di tutta la popolazione come valente
professionista. Politicamente si adoperava affinché alla classe operaia
fosse riconosciuta quella dignità che doveva renderla più libera e più
consapevole dei propri diritti. Partecipava alle riunioni dei circoli
mazziniani della zona cercando di portare l’attenzione degli associati
sui tanti problemi presenti alla Boratella, anche per tentarne una
soluzione.
Ma in quelle riunioni dei circoli repubblicani, assoggettati a ben precisi
personaggi, che imperavano con il terrore su chi avesse osato disubbidire
al "clan", Stefano Cavazzutti espose con una denuncia a viso
aperto le iniquità commesse, i soprusi che tenevano i minatori in una
situazione di voluta sottomissione.
Il
3 ottobre 1877 inviò al Sottoprefetto di Cesena una denuncia dettagliata,
puntigliosa sullo stato dei “bettolini” (sorta di botteghe-osterie
ubicate presso le miniere) condotti, per la maggior parte, da elementi
vicino alla setta o associazione repubblicana.
“
Il sottoscritto nella sua qualità di sanitario di queste miniere ha più
volte avuto occasione di osservare che i viveri somministrati nei
bettolini sono, parte per la loro natura e per la mala confezione a cui
vanno soggetti, parte per la decomposizione che in processo di tempo a
causa alla immondizia a cui sono tenuti, decisamente nocivi alla salute ed
in conseguenza defraudatori di quella forza muscolare che essi minatori
dovrebbero mantenere e aumentare. Lasciando da parte i schifosi
manicaretti, le strane cibarie e tutto il pandemonio degli stufati e delle
bevande sui generis, confezionati dai bettolinieri diremo che il pane, il
vino e la carne sono quasi sempre alimenti scadenti che nutrono poco o
nulla e qualche volta sono veleni.”. La lettera continuava con una
disamina delle malattie che tali cibarie procuravano alla salute dei
minatori, già provati da un lavoro durissimo e pericoloso. Il coraggioso
Cavazzutti prendeva cappello contro questo stato di cose “...non vi è
commissione che freni l’eccessiva brama di arricchire di alcuni
manipolatori del commercio delle miniere”
A
seguito di questo esposto il Sindaco del comune di Mercato Saraceno, su
esplicita richiesta del Prefetto di Forlì, istituiva una commissione che
avrebbe vigilato sulla conduzione di questi bettolini. Decine e decine di
verbali sono depositati nell’archivio del piccolo Comune a conferma che
da quell'ottobre qualcosa si tentò di fare. Una denuncia così esplicita
all’autorità governativa, che fu la causa della suo allontanamento
dalla zona delle miniere romagnole.
La
presa di posizione di Cavazzutti non piacque alla consorteria
repubblicana, che aveva grossi interessi nella gestione dei
bettolini.
Il
giornale cesenate il “Rubicone - Satana”, divulgatore di idee vicine
alla sinistra, uscì con una lettera - articolo che tentò di sminuire
quanto affermato dall’alfonsinese:
“… è stata trovata qualche pezzatura di pane che risultava un po’
al disotto del peso previsto, qualche pezzo di formaggio non era proprio
di qualità … insomma questo dottor Cavazzutti è troppo pignolo..”.
Una
lettera anonima, spedita a chi di dovere, portò alla luce che Stefano
Cavazzutti non era medico ed esercitava senza averne titolo: un esercizio
abusivo della professione medica. Ciò lo costrinse ad abbandonare le
miniere della Boratella e sembrò che tutto crollasse attorno a chi aveva
risolto brillantemente tante difficili situazioni.
La
molla che cambiò la vita di Stefano Cavazzutti.
In
realtà questo capovolgimento improvviso fu la molla che cambiò la vita di
Stefano Cavazzutti. Questa denuncia fu a lui benefica perché a trentatré
anni, con l’aiuto ed il conforto di Aurelio Saffi, si iscrisse alla
prestigiosa facoltà di medicina di Bologna. Ebbe l’ammissione al quarto
anno per le sue doti professionali, rese note alla commissione di facoltà,
direttamente dal Ministro della Pubblica Istruzione, Francesco De Sanctis.
In soli tre anni portò a termine gli studi, laureandosi medico, il 26
giugno 1882 all'eta di 33 anni, con la ottima votazione di 32 su 36 e con una tesi su “Due
casi di clinica medica, due casi di clinica chirurgica ed una
necroscopia”, meritando la stima e l’amicizia di valenti professori
come il Murri, il Loreta, il De Meis e quella fraterna di Bartolo
Nigrisoli, quel Bartolo Nigrisoli (1858 – 1948), medico chirurgo, dal 10
luglio 1922 ordinario di Clinica Chirurgica, Semeiotica e Medicina
operatoria a Bologna sino al 1931, quando venne espulso per non aver
giurato fedeltà al regime fascista. Ebbe anche la stima fraterna di
letterati come Olindo Guerrini, Corrado Ricci, Pier Desiderio Pasolini e
Sante Muratori.
Nel
1886 troviamo il Dott. Cavazzutti a
Ravenna a combattere la furia del colera o "lo zingaro
maledetto", come veniva chiamato in Romagna il mortale morbo, che
nella sola città causò 513 vittime.
Animo
libero e ribelle lascerà, nel 1887, l'Italia per andare ad esercitare la
professione medica in Argentina.
Certamente
nel vedere l’angoscia di chi era costretto a lasciare la propria Patria,
i propri cari con la prospettiva di un incerto futuro, abbandonati spesso
in mano a persone senza scrupoli, fu spinto a prendere la decisione di
diventare lui stesso emigrante e mettere a disposizione le sue capacità
mediche a favore di questa povera umanità. Iniziò a prestare la sua
opera nei bastimenti di linea sulla rotta Genova-Buenos Aires. Si stabilì
in Argentina nel 1888 prima a
Santa Fè poi nella colonia agricola di San Justo ed infine a
La Plata, dove vi era un importante insediamento di nostri
connazionali. Qui era sorta, il 28 luglio 1886, la “Società Ospedale
Italiano”, onde raccogliere fondi per un ospedale a disposizione dei
tanti italiani.
Il dr.
Cavazzutti entrò subito nella commissione
direttiva portando le sue esperienze ed il suo aiuto professionale.
Quando, il 2 febbraio 1903, venne inaugurato finalmente l’Ospedale
italiano “Umberto I”, il dott. Stefano Cavazzutti ne divenne il primo
direttore sanitario.
Stralciamo alcuni passaggi dal suo discorso
pronunciato, in quell’occasione:
“
Ideato nel 1886, posta la prima pietra il 6 marzo 1887, iniziati anni dopo
i lavori di costruzione, su terreno generosamente donato
dall’eccellentissimo Governo della Provincia, non ancora finito, subì
le disastrose conseguenze della crisi finanziaria che prostrò
la Repubblica Argentina.
I nostri concittadini non si persero d’animo per questo, uniti in società
di beneficenza, aiutati dalle dame protettrici dell’ospedale Italiano,
economizzato il capitale esistente, lo aumentarono a poco a poco, con le
piccole somme raccolte mensilmente, con il prodotto delle sottoscrizioni
straordinarie e con le feste di beneficenza organizzate in favore della
buona e generosa istituzione.
Con l’insistenza proveniente dalla certezza del bene, stimolati dai
sentimenti del dovere, sperimentando anche amare delusioni, affrontando le
burle degli scettici, sempre pronti a turbare l’opera degli uomini di
buona volontà, i nostri concittadini continuarono imperterriti, costanti,
fiduciosi. Oggi noi ci troviamo qui riuniti per coronare e festeggiare la
loro opera. Dal nostro petto sorge spontaneo, vivo, affettuoso un applauso
a tutti quanti cooperano, italiani e argentini, alla buona riuscita di
essa.
Mi par di veder sorgere, gigante, là fra la terra ed il cielo, coronata
dai raggi del sole, la eccelsa figura della nostra Italia che applaude
insieme a noi.”
Il
dott. Stefano Cavazzutti mantenne costantemente i rapporti con i suoi
illustri amici medici dell’Università di Bologna per essere sempre
aggiornato sulle nuove metodologie e sui progressi che in campo sanitario
si registravano presso l’ateneo felsineo. Ritornava per congressi medici
a Bologna, ospite dell’amico Bartolo Nigrisoli.
Spirito
inquieto, pronto a recepire ogni stimolo derivante dai molteplici
interessi che lo animavano, fu fra i fondatori dell’Università Popolare
per diffondere, appunto, tutti i rami del sapere umano.
Durante
il tempo libero si dedicò allo studio degli indigeni, viaggiando molto
attraverso le regioni sudamericane, per studiarne le popolazioni. Accompagnò
il grande naturalista e paleontologo argentino, Florentino Ameghino, ed il
botanico italiano Carlo Spegazzini nelle spedizioni lungo il Rio Quequén
nella provincia di Buenos Aires, poi fu in Brasile e successivamente in
Paraguay nella provincia, allora selvaggia, di Misiones, dove ebbe modo di
osservare gli effetti delle terribili malattie che falcidiavano tanti
lavoratori italiani nel tentativo di bonificare quelle terre
inospitali.
Durante
queste spedizioni raccolse materiali preziosi che successivamente
avrebbero formato il Museo Etnografico Cavazzutti.
Dal
1909 infatti cominciò a donare alla città di Ravenna molta parte
di quel materiale
etnografico proveniente dalle Americhe, tanto da costituire il Museo
etnografico di Ravenna, che dal 1910 porta il suo nome.
Cavazzutti
fu anche un appassionato cultore di Dante Alighieri e partecipò alle
celebrazioni del VI Centenario del 1921 con la pubblicazione di scritti, articoli e saggi.
Scrisse
anche alcuni un saggio letterari: uno dedicato all'amico e letterato Olindo Guerrini,
di cui prese le difese, nel 1922, con un
articolo dal titolo “A proposito dei giudizi di Benedetto Croce su
Olindo Guerrini e Francesco Domenico Guerrazzi”. Inoltre
scrisse "Intorno al sogno di Jacopo Alighieri"
Durante
il viaggio per partecipare ad un convegno medico a Bologna, alla veneranda
età di settantacinque anni, si ammalò. Ricoverato nella clinica di Bartolo
Nigrisoli, morì il 1° ottobre 1924. La sua salma fu sepolta in un
primo tempo alla Certosa di Bologna e successivamente traslata in
Argentina.
(Questa
scheda è stata realizzata col contributo determinante di Pier Paolo
Magalotti, ricercatore storico romagnolo. Diverse precisazioni qui
contenute derivano da scritti su giornali argentini e da una breve
biografia, redatta dai due nipoti del Cavazzutti, residenti a
La Plata
: il medico Mario Bruno Cavazzutti e la professoressa di chimica Nelia
Hebe Cavazzutti, che fra chiesero al Magalotti un interessamento al fine
di reperire un documento da cui si possa attestare la cittadinanza
italiana del loro nonno dr. Stefano Cavazzutti) |