La "Settimana rossa" a Rimini
Dal 9 giugno i tumulti esplodono anche a Rimini. Durano quattro giorni. In prima fila ci sono i contadini, i quali ammassano migliaia di capi di bestiame nel "prato della Sartona" (stadio attuale). La violenza dilaga in città. La gente urla: "Abbasso i preti, evviva la repubblica popolare". Davanti al Seminario, di fianco al Tempio malatestiano, è fatta esplodere una bomba. C’è un tentativo di invadere la stazione ferroviaria, e di incendiare l’ingresso del municipio. I rinforzi militari al loro ingresso in città nel borgo di San Giuliano, tradizionale roccaforte anarchica, sono presi a fischi e sassate.
L’ordine viene ristabilito senza colpo ferire il giorno 12. Il rumore di un bambino che cade durante un comizio indetto per annunciare la cessazione dello sciopero generale, è scambiato per un colpo di fucile: la folla se la squaglia.
Racconta un testimone di quei giorni, Guido Fabbri che allora aveva dodici anni: "Erano tempi burrascosi, la folla eccitata composta da socialisti, repubblicani e anarchici metteva a subbuglio la città". Il parroco del Suffragio puntellò i portoni d’entrata della chiesa per timore di un’invasione. Quella folla aveva "appiccato il fuoco alla porticina del Duomo, al tempietto di Sant’Antonio, alla Cancelleria vescovile, alla porta della chiesa dei Servi", e aveva "attaccato gli uffici del dazio bruciando i registri". Nel negozio dell’armaiolo Fava, erano state asportate armi. Altri pubblici esercizi furono presi d’assalto. C’era il terrore, e la gente non usciva di casa. ["I miei novant’anni", p. 27]
"Il Giornale del Popolo", a commento della "Settimana Rossa", il 27 giugno riporta un articolo di Giovanni Papini apparso sulla rivista fiorentina "Lacerba": "C’è crisi, c’è miseria. […] E quando un popolo sta male a quattrini e non ha simpatia né soggezione per i suoi direttori è possibile tutto: anche la rivoluzione". "L’Ausa" (foglio cattolico) il 20 giugno scrive che il governo è stato "debole, impotente, vile di fronte ai sovversivi", ed accusa i "parolai del sovversivismo" di ostentare pietà quando "avviene disgraziatamente un conflitto tra il popolo e la forza pubblica".
Rimini resta una città sorvegliata speciale. "Il Giornale del Popolo" parla di "provocazioni poliziesche coi ‘pattuglioni’" che perquisiscono a marina gli ungheresi, ed in città o nei sobborghi il domicilio di persone insospettabili, come il "sig. Domenico Francolini".
Francolini, vecchio rivoluzionario Francolini era un vecchio rivoluzionario: a ventiquattro anni, il 2 agosto 1874 a Villa Ruffi era stato arrestato con altri ventisei partecipanti ad un incontro segreto dei mazziniani, che aveva fatto temere al governo la preparazione di un’insurrezione armata. Era l’unico a non aver avuto esperienza di guerre garibaldine. Liliano Faenza lo definisce un "repubblicano flessibile".
Il 4 luglio "L’Ausa" commenta la tragedia di Sarajevo: "Un altro esecrando delitto ha fatto fremere di orrore tutti gli uomini di cuore, e ha piombato nell’angoscia e nel lutto l’augusta casa degli Asburgo". Di Francesco Ferdinando, scrive che aveva "sentimenti cattolici molto accentuati […] qualità personali positive ed un carattere fortemente temprato".
"Il Giornale del Popolo" osserva: "L’Austria nemica è in lutto; noi non presentiamo le nostre condoglianze. […] E’ deplorevole che il sangue cada sugli innocenti, che la morte segni colla sua tragica sigla le vendette, le rivendicazioni dei popoli oppressi; ma i potenti, i tiranni rifuggono forse essi dal sangue e dalla morte?".
La tragedia di Sarajevo, prosegue il periodico repubblicano, è "scontro immane di razze, battaglia di schiatte che si contendono i diritti del dominio e dell’azione vittoriosa. […] I popoli irredenti che sono incastrati colla forza brutale nel caotico impero si ribellano, chiedono libertà di regolare se stessi, ma il governo coi suoi sbirri lo vuole impedire. A Trieste la grande maggioranza è sopraffatta dalla minoranza degli slavi meridionali aizzati dal governo".
Il 28 luglio l’Austria invia la dichiarazione di guerra al governo serbo. Il 1° agosto la Germania dichiara guerra alla Russia. Il giorno successivo l’Italia dichiara la sua neutralità.
Scrive il 5 settembre "Il Giornale del Popolo": "È giunta l’ora della riscossa dei popoli civili, democratici, liberali contro il dispotismo", per cui occorre stare "con le armi al piede". Ai redattori dell’"Ausa" il foglio repubblicano grida "Sciacalli!", per aver essi scritto di non poter "augurare la vittoria alle armi francesi": "Essi sono per le gesta stupratrici del pronipote di Barbarossa".
Dalla guerra alle mode di spiaggia
Intanto l’"Ausa" il 13 luglio critica le "ultime acconciature muliebri, diventate addirittura procaci ed invereconde". Il 1° agosto ospita la lettera di un gruppo di madri che denunciano la "follia sensuale" della "cura balneare" e del "costume da bagno".
Il giornale invita le donne cattoliche a lottare "per una moda tutta ‘nostra’, tutta ‘italiana’": occorre evitare quella francese che offende il pudore con "costumi d’inspirazione semitica" ed indossati dalle "ebree orientali a Tunisi e altrove".