| Alfonsine | Ricerche sull'anima di Alfonsine |
1 Per
quanto possibile, insegnare a diventare efficace, per il fine da
raggiungere ma non oltre questo. Oltre questo è fumo. Dove è fumo è
mutamento. 2 Non
attardarti nel solco dei risultati. 3 Guidare
il reale fino all’azione come un fiore accostato alla bocca acidula dei
bimbi. Conoscenza ineffabile del diamante disperato (la vita). 4 Essere
stoico, è raggelarsi, con gli occhi belli di Narciso. Abbiamo censito
tutto il dolore che il boia
avrebbe potuto cavare da ogni fibra del nostro corpo; poi, col cuore nella
morsa, ci siamo mossi e schierati. 5 Non
apparteniamo ad alcuno se non al punto d’oro di quella lampada a noi
sconosciuta, a noi inaccessibile, che tiene desti il coraggio e il
silenzio. 6 Lo
sforzo del poeta mira a trasformare vecchi nemici in leali
avversari: ogni domani fecondo è funzione del buon esito del
progetto, specie là dove svetta, s’intrica, declina, è decimata tutta
la gamma delle vele ove il vento dei continenti rende il suo cuore al
vento degli abissi. 7 Questa
guerra si prolungherà oltre gli armistizi platonici. L’installazione
dei concetti politici proseguirà in modo contradditorio, nelle
convulsioni e al riparo d’una ipocrisia sicura dei suoi diritti. Non
sorridete. Bandite lo scetticismo e la rassegnazione e preparate la vostra
anima mortale in vista d’affrontare intra-muros demoni di ghiaccio
analoghi ai genii microbici. 8 Certi
esseri ragionevoli perdono persino la nozione della durata probabile della
loro vita e il loro equilibrio quotidiano quando in essi l’istinto di
conservazione frana sotto le esigenze dell’istinto di proprietà.
Diventano ostili ai fremiti dell’aria e soggiacciono senza ritegno
all’assillo della menzogna e del male. Si abbatta una grandine malefica,
e andrà in briciole la loro trista condizione. 9 Arthur
le Fol, dopo i brancolamenti iniziali, partecipa ora con tutta la sua
forte natura decisa ai nostri giochi d’azzardo. La sua fame d’azione
deve appagarsi del compito preciso che gli affido. Obbedisce e si limita,
per tema di qualche sfuriata. Se no, Dio sa in che vespaio andrebbe a
cacciarsi col suo gran fegato. Fedele Arthur, come un soldato d’altri
tempi. 10 Tutta
l’autorità, la tattica e l’inventiva non sostituiscono una particella
di convinzione a servizio della verità. Un luogo comune, che credo di
aver migliorato. 11 Mio
fratello il Portatore di cui non ho notizie, scherzando si definiva sodale
dei gatti di Pompei. Quando venimmo a sapere della deportazione di
quell’essere generoso, la prigione non poteva più schiudersi per lui;
catene sfidavano il suo coraggio, l’Austria lo teneva. 12 Quel
che m’ha messo al mondo e me ne scaccerà interviene soltanto nelle ore
in cui sono troppo debole per resistergli. Vecchia persona quando sono
nato. Giovane ignota quando morrò. 13 Il
tempo visto traverso l’immagine è un tempo perso di vista. Ben diversi
sono l’essere e il tempo. L’immagine sfavilla in eterno, quando ha
sorpassato essere tempo. 14 Dopo
due esperimenti decisivi, posso senz’altro convincermi che il ladro
introdottosi a nostra insaputa in mezzo a noi
è irrecuperabile. Magnaccia (e se ne vanta), di una cattiveria da
pidocchio, calabrache davanti al nemico, grufolante come porco in brago
nel descrivere orrori, c’è solo da aspettarsi i peggiori guai, da parte
di questo liberto. Capace per giunta di portare un maligno fluido qui
dentro. Provvederò io stesso. 15 La
domenica i ragazzi s’annoiano. Passereau propone una settimana di
ventiquattro giorni per
sminuzzare la domenica. Un’ora della domenica da aggiungersi a ogni
giorno, l’ora dei pasti preferibilmente, dato che di pane secco non ce
n’è più. Ma
non gli si parli più di domeniche. 16 L’intelligenza
con l’angelo, nostro primordiale pensiero. (Angelo, ciò che
nell’intimo dell’uomo tiene discosti dal compromesso religioso, verbo
del silenzio più alto, significato di cui non si dà stima. Accordatore
di polmoni che dora i grappoli vitaminizzati dell’impossibile. Conosce
il sangue, ignora il celeste. Angelo: candela che si china a settentrione
del cuore). 17 Sempre
ho il cuore contento di fermarmi a Falcalqiuer, di mangiare un boccone in
casa Bardouin, di stringere la mano di Marius, il tipografo, e a Figuière.
Questa rupe di brava gente è la roccaforte dell’amicizia. Tutto quanto
intralcia la lucidità e rallenta la fiducia è bandito da qui. Ci siamo
uniti una volta per tutte davanti all’essenziale. 18 Rimandare
a più tardi la parte immaginaria che,
a sua volta, è suscettibile d’azione. 19 Il
poeta non può restare a lungo nella stratosfera del verbo. Deve
struggersi in nuove lacrime e muovere più in là il suo ordine. 20 Penso
all’esercito di fuggiaschi con appetiti di dittatura che forse in questo
paese di corta memoria, gli scampati a questo tempo d’algebra dannata
rivedranno al potere. 21 Amaro
futuro, futuro amaro, ballo tra i rosai… 22 AI
PRUDENTI: Nevica sulla boscaglia e caccia perpetua è contro di noi. Voi,
la cui casa non piange, in cui l’avarizia schiaccia l’amore, nella
sfilata dei giorni al caldo, è solo un infermiere il vostro fuoco. Troppo
tardi. Il vostro cancro ha parlato. N on ha più poteri la terra natia. 23 Presente
tutto merlature… 24 25 Mezzodì
disgiunto dal giorno. Mezzanotte segregata dagli uomini. Mezzanotte dal
guasto rintocco, che una, due, tre, quattro ore non sanno imbavagliare… 26 Non
più il tempo è assecondato dagli orologi, le cui sfere si divorano
l’un l’altra sul quadrante dell’uomo. Gramigna è il tempo e
l’uomo sperma diverrà di gramigna. 27 Léon
sostiene che i cani arrabbiati sono belli. Io ci credo. 28 Esiste
una specie d’uomo sempre in anticipo sui suoi escrementi. 29 Questo
tempo, col suo allattamento specialissimo, accelera la prosperità delle
canaglie che irridendo oltrepassano gli sbarramenti già eretti dalla
società contro di loro. Li spezzerà spezzandosi quella stessa meccanica
che ora li stimola, quando saranno esaurite le sozze provviste? (E il meno
possibile di scampati dal gran male). 30 Archiduc
mi confida che ha scoperto la sua verità quando si è unito alla
resistenza. Sin là era un attore della sua vita, frondista e diffidente.
L’insincerità lo avvelenava. Oggi ama,
si spende, è impegnato, va nudo, provoca. Apprezzo molto questo
alchimista. 31 Scrivo
brevemente. Non mi è possibile assentarmi
per molto. Espandersi porterebbe all’ossessione. Al pianeta non serve più
l’adorazione dei pastori. 32 Un
uomo senza difetti è una
montagna senza crepacci. Non m’interessa. (Regola
di rabdomante e di inquieto). 33 Pettirosso,
amico mio, che giungevi quando il parco era deserto, quest’autunno, il
tuo canto fa franare ricordi che gli orchi vorrebbero udire. 34 Sposala
la tua casa e non sposarla. 35 Sarete
parte del sapore del frutto. 36 Tempo
in cui il cielo spossato penetra nella terra, e l’uomo agonizza tra due
disprezzi. 37 Rivoluzione
e controrivoluzione si mascherano per affrontarsi di nuovo. Sincerità
di breve durata! Alla lotta delle aquile tien dietro la lotta delle
piovre. Il genio dell’uomo, che pensa di aver scoperto le verità
formali, adatta le verità che uccidono a verità che autorizzano
a uccidere. Sfilata dei grandi ispirati sul fronte dell’universo
corazzato e ansimante! Mentre le nevrosi collettive si denunziano
nell’occhio dei miti e dei simboli, l’uomo psichico mette la vita a
supplizio senza aver l’aria di provarne il più piccolo rimorso. Il
fiore strisciante, il fiore sozzo volge i petali neri nella carne demente
del sole. Dove sei sorgente?
Rimedio dove sei? Cambierai finalmente, economia? 38 Si
lasciano cadere con tutto il cumulo dei loro pregiudizi o ebbri
dell’ardore dei loro falsi principi. Associarli, esorcizzarli,
alleviarli, indurirli, ammorbidirli, quindi convincerli che da un certo
punto in poi è del tutto relativa l’importanza delle idee acquisite;
che tutto sommato “la questione” è questione di vita e di morte e non
di sfumature da far prevalere nel cuore d’una civiltà il cui naufragio
arrischia di non lasciar traccia sull’oceano del destino: è quanto mi
sforzo di far approvare attorno a me.
39 Siamo
scissi tra l’avidità di conoscere e la disperazione d’aver
conosciuto. L’aculeo non rinuncia al suo bruciore, noi alla nostra
speranza. 40 Come
sanguini, disciplina! 41 Non
ci fosse a volte l’impenetrabilità della noia, il cuore cesserebbe i
suoi battiti. 42 Tra i
due spari che decisero la sua sorte, ebbe il tempo di chiamare una mosca:
“Signora”. 43 Bocca
che decidevi se questo era imene o lutto, veleno o medicina, bellezza o
malattia, che mai sono divenuti l’amarezza e l’aurora sua, la
dolcezza? Faccia
laida che si esaspera e corrompe. 44 Amici,
la neve aspetta la neve per un lavoro semplice e puro, al limite tra aria
e terra. 45 Sogno
un paese frastagliato, benevolo, tosto irritato dai lavori dei savi
e insieme commosso dallo zelo di qualche dio, in approcci con
donne. 46 L’atto,
anche se ripetuto, è vergine. 47 Martin
de Reillanne ci chiama: catiminì. 48 Non
ho paura. Ho solo la vertigine. Ho bisogno di accorciare la distanza il
nemico e me. Affrontarlo orizzontalmente.
49 Quel
che può sedurre nel nulla eterno è che là questo o un altro, non
importa, sia il giorno più bello. (Si
taglia questo ramo. Nessun sciame vi si appenderà). 50 Fronte
a tutto. A TUTTO QUESTO, un revolver,
promessa di sole nascente! 51 Strapparlo
alla terra d’origine. Ripiantarlo nel suolo presunto armonioso del
futuro, in considerazione di un successo incompiuto. Fargli toccare
sensorialmente il progresso. Ecco il segreto della mia abilità.
52 “I
sorci dell’incudine”. In altri tempi mi sarebbe parsa una bella
immagine. Fa pensare a uno sciame di scintille decimate nel suo baleno.
(Fredda è l’incudine, non rovente il ferro, devastante
l’immaginazione). 53 Il
maestrale che s’era alzato non facilitava le cose. La mia apprensione
aumentava con il passar delle ore, appena rinfrancata dalla presenza di
Cabot in osservazione dei convogli in transito sulla strada e della loro
eventuale fermata per portare un attacco contro di noi. La prima cassa
esplose non appena toccò terra. Il fuoco attizzato dal vento si propagò
al bosco e presto fece macchia sull’orizzonte. L’aereo rettificò di
poco la rotta ed effettuò un secondo passaggio. I cilindri all’estremità
delle sete multicolori si apparigliarono su un vasto tratto. Per ore
lottammo in mezzo a un chiarore d’inferno, il nostro gruppo scisso in
tre parti: l’una rivolta al fuoco in un affanno di pale ed asce, la
seconda a rintracciare armi ed esplosivi sparpagliati e caricarli
sull’autocarro, la terza come squadra di protezione. Dalla vetta dei
pini scoiattoli impazziti saltavano, minuscole comete, nel braciere.
Schivammo il nemico per un pelo. L’aurora Fu più
lesta a sorprenderci. (Occhio
all’aneddoto. Una stazione il cui capostazione detesta il guardascambi). 54 Stelle
nel mese di maggio… Ogni
volta che levo gli occhi al cielo, la nausea mi sfascia le mandibole. Non
odo più salire il fresco dei miei sotterranei il
gemito del piacere, murmure della donna dischiusa. Una cenere di
cactus preistorici fa volare il mio deserto in bagliori! Non sono più capace di morire… Ciclone,
ciclone, ciclone… 55 Mai
risultando modellato una volta per sempre, l’uomo è ricetto del suo
opposto. I suoi cicli descrivono ombre diverse, a seconda ch’egli sia o
no in preda a una data sollecitazione. E le depressioni
misteriose, le ispirazioni assurde, sorte dal grande esternato crematorio,
come costringersi a ignorarle? Ah! circolare generosamente sulle stagioni
della scorza, mentre la mandorla palpita, libera… 56 Il
poema è scalata furiosa; la poesia, il gioco degli argini aridi. 57 La
sorgente è rupe e la lingua è mozza. 58 Parola,
bufera, ghiaccio e sangue formeranno alla fine un’unica brina. 59 Se
l’uomo a volte non chiudesse sovranamente gli occhi, finirebbe
col non vedere più ciò che merita d’essere guardato. 60 Avvampare
l’immaginazione di quelli che invece di parlare balbettano, che
arrossiscono al momento di parlare. Sono dei saldi partigiani. 61 Un
ufficiale venuto dal Nord Africa stupisce che i miei “quattro
furfanti”, come lui li chiama, s’esprimano in una lingua il cui senso
gli sfugge, essendo il suo orecchio restio “al discorso per immagini”.
Gli faccio notare che il dialetto è soltanto pittoresco, mentre la lingua
qui in uso è dovuta alla meraviglia comunicata dagli esseri e dalle cose
con cui viviamo in continua intimità. 62 La
nostra eredità non è preceduta da alcun testamento. 63 Ci si
batte bene solo per le cause modellate con le proprie mani e in cui
identificandosi si brucia. 64 “Che
cosa faranno di noi dopo?” la
domanda preoccupa Minot, i cui diciassette anni aggiungono: “Io, magari,
tornerò il poco di buono che ero a quindici anni…” Questo ragazzo
spinto in modo troppo uniforme dall’esempio dei compagni, la cui buona
volontà è troppo impersonalmente identica alla loro, non si china mai su
se stesso. Attualmente è questo che lo salva. Temo che dopo
torni alle sue belle lucertole noncuranti, che i gatti spiano… 65 La
qualità degli uomini della resistenza, ahimè, non è la stessa dovunque!
A fianco d’un Joseph Fontaine, diritto e sicuro come un solco, d’un
Francois Cuzin, d’un Claude Dechavannes, d’un André Grillet, d’un
Marius Bardouin, d’un Gabriel Besson, d’un dottor Jean
Roux, d’un Roger Chaudon che sistema il silo granario d’Oraison
a fortezza dei rischi, quanti inafferrabili saltimbanchi più attenti a
godere che a produrre! Da prevedere che questi galli del nulla, una volta
giunta la liberazione, ci scasseranno le orecchie… 66 Se
consento a questa apprensione che ordina alla vita la sua viltà, eccomi
generare una folla di amicizie tassative che volano in mio soccorso. 67 Armand,
metereologo, definisce il suo compito: il servizio enigmatico.
68 Feccia
nel cervello: all’Est del Reno. Guazzabuglio morale: da questa parte. 69 Vedo
l’uomo perduto da perversioni politiche confondere azione ed espiazione,
chiamare conquista il suo annientamento. 70 L’alcool
silenzioso dei demonii. 71 Notte,
a tutta la velocità del boomerang intagliato nelle nostre ossa, e che
sibila, sibila… 72 Agire
da primitivo e prevedere da stratega 73 A dar
retta al sottosuolo dell’erba dove una coppia di grilli cantava
stanotte, la vita prenatale doveva essere ben dolce. 74 Solitario
e molteplice. Veglia e sonno come una spada nel fodero. Stomaco degli
alimenti divisi. Altitudine di cero. 75 Piuttosto
depresso da questa ondata (Londra) che sveglia giusto giusto la nostalgia
del soccorso. 76 A
Carlate che divagava ho detto: “Quando sarete morto, vi occuperete delle
cose della morte. Noi non saremo più con voi. Già non ci bastano tutte
le nostre risorse per regolare il nostro lavoro e scorgere i deboli
risultati. Non voglio nebbia sulle nostre strade per colpa delle nuvole
che soffocano le vostre cime. L’ora è propizia alle metamorfosi.
Mettetela a profitto o andatevene”. (Carlate
è sensibile alla retorica solenne. E’ un disperato sonoro , un
infrarosso grasso). 77 Come
nascondersi a ciò che deve
unirsi a voi? (Deviazione
della modernità). 78 Quel
che più importa in certe situazioni è padroneggiare in tempo
l’euforia. 79 Ringrazio
la sorte d’aver concesso che i bracconieri di Provenza combattano dalla
nostra parte. La memoria silvestre di questi primitivi, la loro attitudine
al calcolo, il loro fiuto fine con qualunque tempo: un cedimento da parte
loro mi sorprenderebbe. Avrò cura che vadano calzati da dèi! 80 Siamo
malati siderei incurabili cui satanicamente la vita dà l’illusione
della salute. Perché? Per spendere la vita e schernire la salute? (Debbo
combattere la mia inclinazione a questo genere di pessimismo atonico,
eredità intellettuale…) 81 L’assenso
illumina il volto. Il rifiuto gli dona bellezza. 82 Mandorli
sobri, ulivi pugnaci e sognanti, sul ventaglio del crepuscolo appostate la
nostra strana salute. 83 Il
poeta conservatore degli infiniti volti di ciò che vive. 84 Far
marcia indietro nella propria intimità con un essere è mettere al vivo
l’anima propria, e assumere al tempo stesso la sua perfezione. Legato
stretto, involontario, provo questa fatalità e chiedo perdono a
quell’essere. 85
Curiosità di gelo. Valutazione senza oggetto. 86 I
raccolti più puri sono seminati in un suolo che non esiste. Eliminano la
gratitudine e sono in debito solo con la primavera. 87 L. S.
, vi ringrazio per la riserva Durance 12. Entra in funzione stanotte.
Baderete che la giovane squadra assegnata al posto non si lasci vedere
troppo spesso in giro per le strade di Duranceville. Ragazze e caffè
pericolosi per più di un minuto. Però non tirate troppo le redini. Spie
nella squadra non ne voglio. Niente comunicazioni fuori rete. Stoppate
millanterie. Controllate a due fonti consistenza informazioni. Considerate
cinquanta per cento romanzesco in maggior parte casi. Ai vostri uomini
insegnate a fare attenzione a riferire con esattezza, a porre le
situazioni in termini aritmetici. Raccogliete le voci e fate la sintesi.
Punto di atterraggio e cassetta per lettere presso l’amico del frumento.
Eventualità operazione Waffen, campo stranieri, i Mées, con
straripamento su Ebrei e Resistenza. Repubblicani spagnoli in gran
pericolo. Urge informarli. Quanto a voi, evitate il combattimento. Riserva
intoccabile. In caso di allarme, disperdetevi. Non date mai segno di vita
al nemico, se non per liberare compagno catturato. Intercettate sospetti.
Mi fido del vostro discernimento. Il campo non si può individuare. Non
esiste campo; solo carboniere che non fumano. Niente panni stesi al
passaggio d’aerei, e tutti gli uomini sotto gli alberi e nel bosco.
Nessun visitatore da parte mia, salvo l’amico del frumento e il
nuotatore. Con gli uomini della squadra rigore e premura. Amicizia ovatta
disciplina. Nel lavoro fare sempre qualche chilogrammo in più di
ciascuno, senza inorgoglirvene. Mangiate e fumate visibilmente meno di
loro. Non fate preferenze.
Tollerate solo bugie improvvisate e gratuite. Non si chiamino a distanza.
Tengano puliti persone e letti. Imparino a cantare a bassa voce e a non
fischiare in modo ossessivo, a dire la verità come si presenta. Di notte
camminino in margine ai sentieri. Suggerite le precauzioni; il merito di
scoprirle lasciatelo a loro. Emulazione ottima cosa. Scoraggiate le
abitudini monotone. Ispirate quelle che non volete veder morire troppo
presto. Infine, amate con loro, nello stesso momento, gli esseri che loro
amano. Sommate, non dividete. Qui tutto bene. Affettuosità. IPNOS. 88 Come
mi sentite? Parlo da così distante… 89 Francois,
stremato da cinque notti successive di allarmi, mi dice: “Cambierei
volentieri la mia sciabola con un caffè”. Ha vent’anni Francois. 90 Una
volta si dava un nome ai diversi brani della durata: questo era un giorno,
quest’altro un mese, questa chiesa vuota, un anno. Eccoci affrontare il
secondo in cui la morte è la più violenta e la vita la meglio definita. 91 Si
vaga in prossimità di orli i cui pozzi sono stati tolti via. 92 Tutto
che ha volto di polvere e non alza la voce. 93 La
lotta della perseveranza. La
sinfonia che ci portava è muta. Bisogna credere al moto alterno. Tanti
misteri non sono stati penetrati né distrutti. 94 Stamane,
osservavo un piccolo rettile sgusciare tra due sassi: “l’orbettino del
lutto” ha gridato Félix. La scomparsa do Lefèvre, ucciso la settimana
scorsa, affiora superstiziosamente in immagine. 95 Le
tenebre del Verbo mi intorpidiscono e immunizzano. Non partecipo alla
magica agonia. Con una sobrietà di sasso, resto la madre di lontane
culle. 96 Non
puoi rileggerti ma puoi firmare. 97 L’aereo
effettua il lancio. I piloti invisibili si sbarazzano del loro giardino
notturno, poi spremono un breve fuoco sotto l’ascella dell’apparecchio
per avvertire che è finito. Non resta che raccogliere il tesoro
sparpagliato. Così il poeta… 98 La
linea di volo del poema., Dovrebbe essere sensibile
a ognuno. 99 Come
una pernice morta m’è apparso il povero infermo che i militi hanno
assassinato a Vachères dopo averlo spogliato dei suoi cenci, accusandolo
di dar ricetto a renitenti. Prima di finirlo i banditi giocarono a lungo
con una ragazza che partecipava alla spedizione. Un occhio strappato, il
petto sfondato, l’innocente assorbì quell’inferno e le loro risate.
(Abbiamo
catturato la ragazza). 100 Dobbiamo
superare rabbia e disgusto, dobbiamo farli condividere per elevare ed
estendere la nostra azione come la nostra morale. 101 Immaginazione,
ragazzo. 102 La
memoria non sa agire sul ricordo. Il ricordo non
ha forza contro la memoria. La felicità non sale
più. 103 Un
metro di viscere per misurare le nostre probabilità. 104 Solo
gli occhi sono ancora capaci di gettare un grido. 105 La
mente in lungo e in largo, come l’insetto che raschia in cucina non
appena spenta la lampada, malmena il silenzio, trita il sudiciume. 106 Doveri
infernali. 107 Alle
lagrime non si fa un letto come a un visitatore di passaggio. 108 Poteri
appassionati e norme d’azione. 109 Tutto
il denso aroma di questi fiori per rasserenare la notte che cade sul
nostro pianto. 110 L’eternità
non è gran che più lunga della vita. 111 La
luce è stata scacciata dai
nostri occhi. E’ annidata in un qualche punto delle nostre ossa. La
scacciamo a nostra volta per restituirle la corona. 112 Il
timbro paradisiaco del consenso cosmico. (Nel
punto più angusto della mia notte, mi sia accordata questa grazia,
sconvolgente significativa, anche più di quei segni scorti da tale
altezza che non v’è alcun bisogno di divinarli). 113 Essere
intimo di qualcosa che non avverrà, in una religione, in una insensata
solitudine, ma in questo succedersi di non sostentate
strettoie in cui tende a perdersi il volto amato.
114 Non
scriverò versi d’accettazione. 115 Nell’orto
degli ulivi, chi era in soprannumero? 116 Non
far conto eccessivo della duplicità che si manifesta negli esseri. In
realtà il filone è sezionato in tratti molteplici. Ciò sia di stimolo
più che motivi d’irritazione. 117 Mi
dice Claude: “Le donne sono le regine dell’assurdo. Più un uomo ci si
inguaia più quelle complicano il guaio. Dal giorno che sono diventato
“partigiano, non sono stato più infelice o deluso…” Ci
sarà sempre tempo per insegnare a Claude che non si fa un taglio nella
propria vita senza tagliarsi. 118 Donne
di punizione. Donne
di resurrezione. 119 Penso
alla donna che amo. Il suo viso s’è mascherato di colpo. Il vuoto è a
sua volta malato. 120 Voi
accostate alla lampada un fiammifero e quel che s’accende non rischiara.
Lontano, molto lontano da voi, il cerchio illumina. 121 Ho
mirato il tenente e Esclabesang al colonnello. Le ginestre in fiore ci
occultavano dietro il vaporoso giallo fiammante. Jean e Robert hanno
scagliato le bombe. La piccola colonna nemica ha subito battuto in
ritirata. Eccetto il mitragliere, ma gli è mancato il tempo per essere un
pericolo: aveva uno squarcio nel ventre. Le due macchine ci sono servite
per filare via. La borsa del colonnello era piena d’interesse. 122 Povera
fontanella, fontana rigogliosa. (La
marcia ci ha segato le reni,
scavato la bocca). 123 Fame
commovente di consapevolezza, in questi giovani. Nessuna impronta del
saliscendi dei padri da questo a quel piano. Ah! poterli avviare sulla
strada giusta della condizione umana, senza tema che si debba un giorno
riabilitarla. Ma poiché Dio sta in disparte dalle nostre contese e la
morsa delle origini sente i suoi poteri sfuggirle, si dovrà esigere dai
nuovi esperti una ampiezza di pensiero e uno scrupolo d’applicazione di
cui non colgo i presagi. 124 125 Incamminare
l’intelligenza senza il soccorso delle carte dello stato maggiore. 126 Tra
la realtà e il suo resoconto, c’è la vita che magnifica la realtà e
questa abiezione nazista che ne guasta il resoconto. 127 Verrà
il tempo che le nazioni sul tracciato dell’universo saranno strettamente
interdipendenti , come gli organo di uno stesso corpo, solidali nella sua
economia. Il
cervello zeppo di macchine, potrà preservare ancora l’esile rivo di
sogno ed evasione? L’uomo a passi di sonnambulo si avvia verso le mine
omicide, guidato dal canto degli inventori… 128 Non
ancora il fornaio aveva sfilato le serrande di ferro della sua bottega che
già il villaggio era assediato, imbavagliato, ipnotizzato, ridotto
all’immobilità assoluta. Due compagnie di SS e un distaccamento di
militi lo tenevano sotto le fauci delle mitragliatrici e dei mortai.
Allora la prova cominciò. Gli
abitanti furono gettati fuori dalle case e radunati a forza sulla piazza
centrale. Le chiavi nelle toppe. Un vecchio, duro d’orecchi, non
abbastanza svelto ad obbedire, vide i quattro muri e il tetto del suo
fienile sbriciolati dal lancio della bomba. Ero sveglio dalle quattro.
Marcelle era venuta a bisbigliare l’allarme alla mia imposta. Mi ero
subito reso conto ch’era del tutto inutile tentare il passaggio del
cordone di sorveglianza per raggiungere la campagna. Sloggiai in fretta di
dov’ero. La casa vuota in cui mi rifugiai permetteva, in caso estremo,
di resistere efficacemente con le armi. Dalla finestra, dietro le tendine
ingiallite, potevo seguire l’inquieto viavai degli occupanti. Non uno
dei miei era presente nel villaggio. Questo pensiero mi rinfrancò. A
qualche chilometro di distanza, avrebbero osservato le mie consegne e
sarebbero rimasti acquattati. Colpi giungevano, punteggiati di ingiurie.
Le SS avevano sorpreso un giovane muratore di ritorno dall’aver raccolto
certi laccioli per la caccia. Il suo spavento lo designò alle loro
torture. Urlante una voce si chinava sul corpo tumefatto: “Dov’è?
Accompagnaci da lui”, seguito da un silenzio. Piovevano pedate e botte
col calcio delle armi. Una rabbia insensata m’invase, scacciò la mia
angoscia. Le mie mani trasmettevano all’arma il loro sudore convulso, ne
esaltavano la potenza repressa. Pensavo che lo sventurato avrebbe taciuto
per altri cinque minuti e che poi, fatalmente, avrebbe parlato. Mi vergognai di augurare la sua morte prima di tale
termine. Ed ecco scaturire da ogni strada la marea delle donne, dei bimbi,
dei vecchi in marcia verso il luogo di raccolta, secondo un piano
concordato. Senza fretta si affrettavano, letteralmente scorrendo
sulle SS, paralizzandole “in assoluta buona fede”. Il muratore fu
lasciato là come morto. Furente, la pattuglia si fece un varco tra la
folla e si spostò più lontano. Con prudenza infinita, occhi trepidi e
buoni guardavano ora dalla mia parte, passavano come il barlume d’ una
lampada sulla mia finestra. Mi scopersi per metà e un sorriso si
staccò dal mio pallore. Mille fili fidenti, non uno dei quali doveva
rompersi, mi univano a quegli esseri. Ho
amato freneticamente i miei simili quel giorno, bel oltre il sacrificio. 129 Siamo
come quei rospi che nell’austera notte delle paludi si chiamano e non si
vedono, piegando al loro grido d’amore tutta la fatalità
dell’universo. 130 Con
detriti di montagne ho fabbricato uomini che per un poco daranno aroma ai
ghiacciai. 131 A
tutti i pasti consumati assieme, invitiamo la libertà. Il posto rimane
vuoto ma il piatto resta in tavola. 132 L’immaginazione
che a livelli diversi assilla l’animo di ogni creatura sembra aver
fretta di separarsene quando questa non gli propone come compito estremo
altro che l’ “impossibile” e l’ “inaccessibile”. Bisogna
ammettere che la poesia non è dovunque sovrana. 133 “Le
opere di carità dovranno essere conservate perché l’uomo non è
caritatevole”. Che sciocchezza. Ah! povertà sanguinante. 134 Siamo
simili ai pesci tenuti vivi nel gelo dei laghi alpestri. La materia e la
natura sembrano proteggerli, in realtà limitano appena la fortuna del
pescatore. 135 Gli
uomini, per essere loro realmente d’aiuto, non si dovrebbero amare.
Desiderare soltanto di far migliore una data espressione del loro sguardo
quando questo si ferma su una cosa di loro più misera, prolungare d’un
attimo un certo momento lieto della loro vita. A partire da questa
iniziativa e curata ogni radice, il loro respiro si farebbe più sereno.
Ma specialmente non sopprimere del tutto quegli impervi sentieri
alla cui asprezza subentra l’evidenza della verità traverso
lagrime e frutti. 136 La
gioventù impugna la vanga. Ah! non gliela si tolga. 137 Le
capre stanno alla destra del gregge. (E’ bene che la scaltrezza
affianchi l’innocenza quando il pastore è buono e fido il cane). 138 Orribile
giornata! Ho assistito, qualche centinaio di metri distante,
all’esecuzione di B. C’era solo da premere il grilletto del mitra e
poteva essere salvo! Eravamo sulle alture che dominano Céreste, la
boscaglia piena zeppa d’armi e noi in numero almeno pari alle SS, ignare
della nostra presenza. Agli occhi dovunque imploranti attorno a me il
segnale del fuoco, ho risposto di no col capo… Al sole di giugno un
freddo polare mi penetrava le ossa. E’
caduto come non ravvisando i suoi carnefici e così leggero, m’è parso,
che il minimo soffio di vento l’avrebbe sollevato da terra. Non
ho dato il segnale perché il villaggio doveva a qualunque
costo essere risparmiato. Che cos’è un villaggio? Un villaggio
simile a un altro? Forse lo ha saputo, lui, in quell’ultimo istante? 139 E’
l’entusiasmo a lenire il peso degli anni. E’ la soperchieria a
proclamare la fatica del secolo. 140 La
vita inizierebbe con un’esplosione e finirebbe con un compromesso? E’
assurdo. 141 Il
contro-terrore è questa valletta colmata adagio adagio dalla nebbia, il
fugace brusio delle foglie come uno sciame di razzi torpidi, questa ben
ripartita pesantezza, questa ovattata circolazione d’animali e insetti
che rigano a migliaia la scorza tenera della notte,
questo seme d’erba medica sulla fossetta d’un volto
accarezzato, questo incendio della luna che mai
sarà un incendio, è un domani minuscolo dagli intenti
a noi ignoti, un busto dai colori vivaci che s’è chinato con un
sorriso, è l’ombra a pochi passi, d’un breve compagno accoccolato che
pensa al cuoio della sua cintura sul punto di cedere… Che importano
Allora il tempo e il luogo in cui il diavolo ci ha dato appuntamento? 142 Il
tempo dei monti furenti e dell’amicizia fantastica. 143 EVA
DELLE MONTAGNE. La giovane donna la cui vita indivisibile aveva l’esatta
dimensione del cuore della nostra notte. 144 Come
si sono punte le tue vecchie ossa di farfalla! 145 Felicità
che è differita ansietà soltanto. Azzurra felicità,
d’insubordinazione stupenda, che balza via dal piacere, polverizza il
presente e tutte le sue istanze. 146 Roger
era tutto contento d’esser divenuto nella considerazione della giovane
sposa il marito impenetrabile, il marito-dio. Sono passato oggi all’orlo
del campo di girasoli che alla sola vista lo ispirava. La siccità curvava
il capo degli stupendi, insipidi fiori. Là presso è sgorgato il suo
sangue, ai piedi di un vecchio gelso, sordo di tutto lo spessore della sua
corteccia. 147 Saremo
in seguito simili a quei crateri cui i vulcani non affiorano più
e dove l’erba ingiallisce sullo stelo? 148 “Eccolo!”
Sono le due del mattino. L’aereo ha scorto i nostri segnali e ha ridotto
la quota. La brezza non disturberà la discesa in paracadute del
visitatore che aspettiamo. La luna è di stagno lucente e di salvia. “La
scuola dei poeti del timpano”, bisbiglia Léon che trova sempre la
parola giusta. 149 Mi
duole il braccio ingessato. Il caro dottor Grand Sec se l’è cavata
magnificamente nonostante il gonfiore. Fortuna che il mio subconscio abbia
guidato con tanta destrezza la mia caduta. Diversamente la granata che
tenevo in mano, persa la sicura, andava a rischio di esplodere. Fortuna
che i feldgendarmi non hanno udito un bel niente, grazie al motore del
loro camion in curva. Fortuna che non ho penso conoscenza intontito
com’ero… I miei compagni si congratulano per la mia presenza di
spirito. Stento a persuaderli che non ho merito alcuno. Tutto si è svolto
al di fuori di me. Al termine degli otto metri di caduta avevo
l’impressione di essere un cesto di ossa slogate. Quasi niente invece,
meno male. 150 Strana
sensazione quella di fissare il destino di certe esistenze. Senza il
vostro intervento, la mediocre lastra girevole della vita avrebbe
contrastato per nulla il suo moto. E
invece eccoli in preda alla grande congiuntura patetica…
151 Rispondi
“assente”, da te; se no, rischi di essere compreso. 152 Il
silenzio del mattino. La paura dei colori. La fortuna
dello sparviero. 153 Oggi
mi spiego meglio questo bisogno di semplificare, di far entrare il tutto
nell’uno, nel momento di decidere se la tal cosa deve o no aver luogo. A
malincuore l’uomo s’allontana dal suo labirinto. I miti millenari lo
esortano a non partire. 154 Il
poeta suscettibile d’esagerazione, dà una valutazione corretta nel
supplizio. 155 Amo
questi esseri presi da ciò che il loro cuore immagina sia la libertà,
tanto da immolarsi per evitare che quel poco di libertà si spenga. Merito
meraviglioso del popolo, (Non esisterebbe libero arbitrio. L’essere si
definirebbe in rapporto alle sue cellule, alla sua eredità, alla corsa
breve o prolungata del suo destino… Eppure esiste tra tutto
ciò e l’uomo un’area circoscritta d’imprevisti e di metamorfosi
cui va impedito l’accesso e assicurata la conservazione). 156 Accumula,
poi distribuisci. Sii la parte più densa dello specchio dell’universo,
la più utile e la meno appariscente. 157 Siamo
straziati dalla notizia della morte di Robert G. (Emile Cavagni) ucciso in
una imboscata a Forcalquier, domenica. I tedeschi mi tolgono il miglior
fratello d’azione quello che deviava le catastrofi con un colpo di
pollice, di peso determinante, con la sua puntuale presenza, sui possibili
cedimenti di ognuno. Uomo senza cultura teorica, ma cresciuto nelle
difficoltà, d’una bontà ferma al bello stabile, la sua diagnosi era
impeccabile. Il suo comportamento era fondato su stimolante audacia e
saggezza. Ingegnoso, impiegava i suoi punti di forza fino alle estreme
conseguenze. Portava i suoi quarantacinque anni verticalmente come un
albero della libertà. Lo amavo senza effusione, senza vana pesantezza.
Incrollabilmente. 158 Scopriamo,
a evocarlo, ali adattabili, sorrisi senza rancore, nella prigione
volgare dei ladri e degli assassini. L’uomo-dal-pugno-di-cancro,
il grande Boia interno ha innovato a nostro vantaggio. 159 Tra
il cuculo e gli esseri furtivi che siamo diventati esiste una tale affinità,
che quell’uccello così poco visibile, o che riveste un bigio anonimato
quando attraversa la vista, in eco al suo canto fendente, ci strappa un
lungo brivido. 160 Rugiada
degli uomini che traccia e dissimula i suoi confini tra lo spuntar del
giorno e il sorgere del sole, tra gli occhi che si aprono e il cuore che
ricorda. 161 Mantieni
di fronte agli altri quel che hai promesso a te solo. Questo il tuo
contratto. 162 Ecco
l’epoca in cui il poeta sente in se stesso levarsi questa forza
meridiana d’ascesa. 163 Canta
la tua sete iridata. 164 Fedeli
e smisuratamente vulnerabili, opponiamo la coscienza dell’atto al
gratuito (altra parola escrementizia). 165 Il
frutto è cieco. Chi vede è l’albero. 166 Perché
un’eredità sia realmente grande, occorre che la mano del defunto non si
veda. 167 La
cagna Ketty gode quanto noi durante i lanci. Corre dall’uno all’altro
senza abbaiare, con ardita nozione della cosa. A operazione compiuta, si
stende felice sulla duna dei paracadute e s’addormenta. 168 Resistenza
è solo speranza. Così la luna d’Ipnos, con tutti i suoi quarti
stanotte, domani visione sul passaggio dei poemi.
169 La
lucidità è la ferita più prossima al sole. 170 I
rari momenti di libertà sono quelli durante i quali l’inconscio si fa
conscio e il conscio nulla (o folle frutto). 171 Le
ceneri del freddo sono nel fuoco che canta il rifiuto. 172 Compiango
colui che fa pagare ad altri i suoi debiti aggravandoli col prestigio
della falsa vacuità. 173 Accade
a certe donne come alle onde del mare. Sullo slancio della loro gioventù
raggiungono una roccia troppo alta per il ritorno. La pozza ormai
ristagnerà in quel punto, prigioniera, bella a barlumi, grazie ai
cristalli di sale che racchiude e che lentamente si sostituiscono al suo
essere vivo. 174 La
perdita della verità, l’oppressione dell’ignominia guidata che ha
nome bene (il male non depravato, ispirato, estroso è utile) ha aperto
una piaga nel fianco dell’uomo che solo la speranza del grande lungi
inespresso (l’insperato che vive) può alleviare. Se padrone è
l’assurdo quaggiù, scelgo l’assurdo, l’antistatico, ciò che più
mi accosta alle sorti patetiche. Sono uomo di argini – scavo e
insolazione – non sempre potendo esserlo di torrente. 175 M’incanta
il popolo dei prati. La sua bellezza esile e priva di veleno, non mi
stanco di narrarmela. Il topo campagnolo, la talpa, oscuri bimbi perduti
nella chimera dell’erba, l’orbettino, figlio del vetro, il grillo,
pedissequo quant’altri mai, la cavalletta che schiocca e conta i suoi
panni, la farfalla che simula ebbrezza e stuzzica i fiori coi silenziosi
singulti, le formiche fatte sagge dalla verde distesa, e, immediatamente
sopra, le rondini meteore... Prateria,
sei lo scrigno del giorno. 176 Dal
bacio sulla montagna, il tempo procede sull’estate dorata delle sue mani
e l’edera obliqua. 177 I
bambini compiono il miracolo adorabile di rimanere bambini e di vedere coi
nostri occhi. 178 La
riproduzione a colori del Prigioniero
di Georges de Gratitudine
a Georges de 179 Vieni
a noi barcollanti d’insolazione, sorella
senza sprezzo, o notte! 180 E’
l’ora che le finestre s’involano dalle case per accendersi in capo al
mondo dove il nostro mondo spunterà. 181 Invidio
il bimbo che si china sulla scrittura del sole e poi si affretta alla
scuola, spazzando col suo
papavero pensi e premi. 182 Lira
per monti internati. 183 Combattiamo
sul ponte gettato tra l’essere vulnerabile e il suo rimbalzo alle fonti
del potere formale. 184 Sanare
il pane. Mettere in tavola il vino. 185 A
volte il mio rifugio è il mutismo di Saint-Just alla seduta della
Convenzione del nove Termidoro. Intendo, e come!, la procedura
di questo silenzio. Le imposte di cristallo chiuse per
sempre sulla comunicazione. 186 Siamo
votati a essere soltanto esordi di verità? 187 L’azione
che ha un senso per i vivi ha valore solo per i morti e compimento solo
nelle coscienze che ne sono eredi e l’interrogano. 188 Tra
il mondo della realtà e me stesso, non c’è più oggi spessore di
tristezza. 189 Quanti
confondono rivolta ed estro, filiazione e infiorescenza del sentimento. Ma
non appena la verità trova un nemico della sua statura, depone la corazza
dell’ubiquità e combatte con le risorse stesse della sua condizione.
E’ indicibile la sensazione di questa profondità che si volatilizza
concretandosi. 190 Stranezza
inesorabile! Da una vita mal difesa, rotolare fino ai dadi vivi della
felicità. 191 L’ora
più retta è quando la mandorla si sprigiona dalla sua durezza ostinata e
traspone la tua solitudine. 192 Vedo
la speranza, vena d’un domani fluviale, declinare nel gesto delle
creature che mi sono attorno. I volti che amo intristiscono tra le maglie
di un’attesa che come un acido li corrode. Ah, come siamo poco aiutati e
male incoraggiati! Il mare e la sua riva, quel passo visibile, sono un
tutto suggellato dal nemico, giacente sul fondo dello stesso pensiero,
stampato d’una materia in cui entrano, in parti eguali, il rombo della
disperazione e la certezza di risorgere.
193 L’insensibilità
del nostro sonno è così completa che il galoppo del minimo sogno non
riesce ad attraversarlo, a dargli freschezza. Le probabilità della morte
sono sommerse da una tale inondazione d’assoluto che il solo pensarvi
basta a far perdere la tentazione della vita chiamata, supplicata.
Dobbiamo amarci molto, una volta di più, respirare più forte del polmone
del boia. 194 Mi
faccio violenza per conservare, malgrado l’umore, questa mia voce
d’inchiostro. Sicché, è con penna a testa d’ariete, senza
posa spenta, senza posa riaccesa, concentrata, tesa e d’un sol
fiato che scrivo questo, tralascio quello. Automa della vanità? No,
sinceramente. Necessità di controllare l’evidenza, di farla creatura. 195 Se ne
esco vivo, so che dovrò rompere con l’aroma di questi anni essenziali,
respingere (non reprimere) silenziosamente lontano da me il mio tesoro,
risalire il principio del comportamento più sprovveduto come al tempo in
cui andavo cercandomi senza mai attingere alla prodezza, in una
insoddisfazione spoglia, una conoscenza appena intravista e una
interrogante umiltà. 196 Quest’uomo
attorno a cui per un momento turbinerà la mia simpatia conta perché la sua premura di servire coincide con tutto un alone
di favore e coi miei progetti a suo riguardo. Sbrighiamoci a operare
insieme prima che ciò che ci fa convergere non volga inesplicabilmente
all’ostilità. 197 Partecipare
allo slancio. Non al festino, suo epilogo. 198 Se la
vita non potesse essere altro che sonno deluso… 199 Esistono
per il poeta due età: quella durante la quale la poesia, sotto ogni
aspetto, lo maltratta; quella in cui si lascia follemente baciare. Ma
nessuna delle due è definita del tutto. E la seconda non è sovrana. 200 Quando
sei ubriaco di dolore, non ha più del dolore che il cristallo. 201 La
strada del segreto danza nella calura. 202 La
presenza del desiderio come quella del dio
ignora il filosofo. In compenso il filosofo castiga. 203 Ho
vissuto oggi l’attimo della potenza e invulnerabilità
assoluta. Ero un alveare migrante verso le fonti dell’alto con
tutto il suo miele e le sue api. 204 O
verità, meccanica infantile, rimani terra e murmure in mezzo agli astri
impersonali! 205 Il
dubbio si trova all’origine di ogni grandezza. L’ingiustizia storica
s’ingegna di non farne menzione. Quel dubbio è genio. Non lo accosti al
all’incerto provocato dallo sbriciolarsi delle facoltà della
sensazione. 206 Tutte
le finte cui le circostanze mi costringono allungano la mia innocenza. Una
mano gigantesca mi porta sul suo palmo. Ogni sua linea qualifica la mia
condotta. E là sto, come una pianta nel suolo che è suo, sebbene la mia
stagione non sia in alcun luogo. 207 Taluni
miei atti si fanno strada dentro la mia natura come il treno corre la
campagna, egualmente involontario, con la stessa arte fuggente. 208 L’uomo
che vede una sola sorgente conosce una sola tempesta. Le sorti sono in lui
contrastate. 209 La
mia inettitudine a sistemare la
mia vita deriva dal mio essere fedele non a una ma a tutte le creature con
cui mi scopro in seria parentela. Tale costanza persiste nel cuore dei
contrasti e delle controversie. Lo humor vuole che nel corso d’una di
codeste interruzioni di sentimento e di senso letterale, io immagini
quegli esseri uniti nell’esercizio della mia soppressione. 210 La
tua audacia, una verruca. La tua azione, un’immagine speciosa, colorita
per privilegio. (Ho
sempre presente al ricordo la stupida storia di quel carbonaio di Saumanes
che sosteneva aver Lo
sciocco tenne duro su questa storia, nulla evidentemente volendo cedere
l’avarizia montanara). 211 I
giustizieri dileguano. Ecco i cupidi volgere le spalle alle brughiere
ariose. 212 Sprofonda
nell’ignoto che scava. Costringiti a roteare. 213 Stamattina
ho seguito con gli occhi Florence di ritorno al Moulin du Cavalon. Il
sentiero volava intorno a lei: una platea di sorci in subbuglio! La
schiena casta e le lunghe gambe non scemavano mai nel mio sguardo. Il seno
di giuggiola s’attardava all’orlo dei miei denti. Finché il verde a
una svolta non l’ebbe tolta alla vista, ripercorsi rapito a ogni nota il
mirabile corpo musicale, ignoto al mio.
214 Non
ho visto stella accendersi in fronte a quelli che erano in punto di morte
ma il profilo d’una persiana che, sollevata, lasciava intravedere un
ordine di oggetti strazianti o rassegnati, in una vasta stanza dove serve
felici circolavano. 215 Facce
crassose di umori, sopraggiunte non si sa come nel nostro inverno e qui
rapprese da allora. Un lordo futuro s’iscrive nei loro lineamenti. Come
quel Dubois ratificato e perpetuato nella sua spartana pinguedine di spia.
Giusti del cielo e pallottola dispersa, concedetegli le palme degli estri
vostri… 216 Non
si dà più che il pastore sia guida. Così decide il politico, questo
nuovo fermiere generale. 217 Olivier
le Noir m’ha chiesto una bacinella d’acqua per pulire il revolver. Ho
suggerito il grasso per le armi. Ma andava proprio bene l’acqua. Il
sangue sulle pareti del catino restava fuori portata rispetto alla mia
immaginazione. A che sarebbe valso raffigurarsi il profilo infame,
squassato, con la canna all’orecchio, nelle sue viscide spirali? Un
giustiziere tornava, compiuta l’opera, come uno che dopo aver scassato
ben bene la sua terra ripulisse la vanga prima di sorridere alla fiammata
dei sarmenti. 218 Nel
tuo corpo consapevole, la realtà è in anticipo di qualche minuto
d’immaginazione. Questo tempo mai raggiunto è un baratro estraneo agli
atti del mondo. Non è mai un ‘ombra semplice nonostante il suo odore di
clemenza notturna, di religione superstite, d’infanzia incorruttibile. 219 Di
colpo ti ricordi che hai un volto. Non tutte erano dolorose le linee che
ne formavano il volume, una volta. Verso quel molteplice paesaggio si
levavano esseri dotati di bontà. Non solo naufragi, vi attirava la
fatica. Respirava in esso la solitudine degli amanti. Guarda. Il tuo
specchio s’è mutato in fuoco. Insensibilmente riprendi coscienza della
tua età (che aveva saltato il calendario), di questo aumento
d’esistenza di cui i tuoi sforzi faranno un ponte. Arretra dentro lo
specchio. Se non ne consumi l’austerità almeno la fecondità non ne è
estinta. 220 Temo
la scalmana non meno della clorosi degli anni che terranno dietro alla
guerra. Presento che l’unanimità salutare, la bulimia di giustizia
avranno solo una durata effimera, una volta sottratto il laccio che
annodava la nostra lotta. Qua uno si prepara a rivendicare
l’astrattezza, là un altro reprime ciecamente quanto è suscettibile
d’alleviare la crudeltà della condizione umana di questo secolo e di
permettergli d’accostarsi con passo fiducioso al futuro. Già il male è
dovunque in lotta col suo rimedio. I fantasmi moltiplicano i consigli, le
visite, fantasmi la cui anima empirica è un cumulo di muco e nevrosi.
Questa pioggia che penetra l’uomo fino all’osso, è la speranza
d’aggressione, la scolta del disprezzo. Ci si precipiterà nell’oblio.
Si rinunzierà a scartare, a tagliare e guarire. Si supporrà che i morti
sepolti abbiano noci nelle tasche e che un giorno, per caso, l’albero
sorgerà. O
vita, dà ai vivi, se ancora è tempo, un po’ del tuo buon senso sottile
senza la vanità che illude e sopra ogni altra cosa, forse, dà loro la
certezza che non sei accidentale e spoglia di rimorsi come dice. Non la
feccia è turpe, è l’uncino.
221 La carta della sera
Una
volta di più l’anno nuovo confonde i nostri occhi. Alte
erbe son deste che amore non hanno se
non col fuoco e con la morsa e rimorsa prigione. Dopo
saranno le ceneri del vincitore e il
racconto del male; le
ceneri saranno dell’amore; la
spinalba superstite al rintocco della morte; saranno
le ceneri di te, immaginarie,
della tua vita immobile sul suo cono d’ombra. 222 Appoggia
il capo sui miei ginocchi, mia volpe. Non sono felice eppure tu mi basti.
Candeliere o meteora, non c’è più sulla terra cuore gonfio o avvenire.
I gradini del crepuscolo rivelano il tuo murmure, covo di menta e
rosmarino, confidenza scambiata tra i rossori autunnali e la tua veste
leggera. Sei l’anima della montagna dai fianchi profondi, dalle rupi
ammutolite dietro labbra d’argilla. Fremano le ali del tuo naso. Chiuda
la tua mano il sentiero e accosti la tenda degli alberi. Tutte le speranze
franate, mia volpe, io pongo in te al cospetto dei due astri, il gelo e il
vento, per un cardo che vinca la rapace solitudine. 223 Vita
che non può né vuole piegare la sua vela, vita che i venti riportano
stremata al vischio delle rive, eppure sempre pronta allo slancio oltre
l’ebetudine, vita sempre meno arredata,
sempre meno paziente, assegna a me la mia parte se tanto è ch’essa
esiste, la mia parte giustificata nel destino comune al cui centro la mia
singolarità fa spicco ma serba l’amalgama. 224 Una
volta, al momento di coricarmi, l’idea di una morte provvisoria in
braccio al sonno mi rasserenava, oggi mi addormento per vivere qualche
ora. 225 Il
bimbo non vede l’uomo sotto una luce sicura, bensì sotto una luce
semplificata. In ciò è il segreto della loro inseparabilità. 226 Un
giudizio che impegna non sempre fortifica.
227 L’uomo
è in grado di fare ciò che non è in grado di immaginare. Il suo capo
solca la galassia dell’assurdo. 228 Per
chi operano i martiri? La grandezza sta nella partenza che vincola. Gli
esseri esemplari sono di vapore e di vento. 229 Il
color nero imprigiona vivo l’impossibile.
Il suo campo mentale è l’assedio di tutti gli imprevisti, di tutti i
parossismi. Il suo prestigio scorta i poeti e prepara gli uomini
d’azione. 230 Tutta
la virtù del cielo d’agosto, della nostra angoscia fidente, nella voce
d’oro della meteora. 231 Pochi
giorni prima del supplizio, Roger Chaudon mi diceva:”Su questa terra,
siamo un poco di sopra, molto di sotto. L’ordine delle epoche non può
essere invertito E’ questo, in fondo, che mi fa tranquillo, nonostante
la gioia di vivere che mi scuote come un tuono...”. 232 L’eccezionale
non inebria né impietrisce il suo carnefice. Quello, ahimè, ha gli occhi
che occorrono per uccidere. 233 Considera
senza impressione che il male trafigge più volentieri i bersagli
inconsapevoli, quelli che ha potuto accostare con tutto il suo comodo.
Quel che hai imparato dagli uomini – i loro voltafaccia incoerenti,
umori inguaribili, gusto del chiasso, soggettività d’arlecchini –
deve esortarti, una volta esaurita l’azione, a non attardarti sui luoghi
dei vostri rapporti. 234 Palpebre
alle porte di una felicità fluida come la carne d’una conchiglia,
palpebre che l’occhio in furia non può far capovolgere, palpebre, come
bastate! 235 L’angoscia,
scheletro e cuore, città e foresta, lordura e magia, integro deserto,
illusoriamente vinta, vittoriosa, muta, signora della parola, donna
d’ogni uomo, insieme, e Uomo. 236 Il
mio corpo era più immenso della terra e ne conoscevo una minuscola parte
soltanto. Accolgo così innumerevoli promesse di felicità, dal fondo
dell’anima, che ti supplico di tenere solo per noi il tuo nome. 237
Georges de La Tour Giobbe deriso dalla moglie
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