Alfonsine

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Walter Garavini, un partigiano

di Luciano Lucci

Walter Garavini era nato nel 1924.

Abitò fin da piccolo a Borgo Gallina in ambiente di socialisti e comunisti, anche se con l'avvento del fascismo molti suoi coetanei divennero fascisti, sostanzialmente per tentare di uscire dalla povertà.
Alla caduta del fascismo a Borgo Gallina si formò un gruppo di antifascisti composto da Walter e i Bedeschi: Carlì, Pinaz e Antonio e altri.

Una sera, era il 26 dicembre del '43, in tre o quattro amici di ritorno dal cinema Aurora, lungo la rampa del ponte furono fermati e puntati con la pila in faccia dal vigile municipale Scussè e da altri fascisti. "Non siamo già dei pescigatto" - risposero. Furono minacciati e informati che c’era stato un’attentato, con uno sparo di pistola contro la guardia Gigì d’la Murèta, Giuseppe Pagani, che era rimasto ferito. Da quell'attentato si scatenò la rappresaglia fascista che portò all'esecuzione a sangue freddo di Antonio Pezzi a Taglio Corelli, un uomo pacifico con simpatie genericamente antifasciste, che non c'entrava niente.

Dopo qualche giorno Walter partì per la montagna come partigiano con un gruppo di giovani alfonsinesi, ma come già era capitato a un gruppo precedente, tornarono a casa per la troppa neve. Finalmente nella primavera del ’44 partirono da Alfonsine in 25. Erano in bicicletta. Stavano a una distanza di venti metri l’uno dall’altro. Walter aveva nella sporta dei camicioli fatti con pelle di coniglio e sotto delle bombe a mano. Passarono a Coccolia davanti a una villa dove era sistemato un comando tedesco. C’erano due tedeschi di guardia. Non batterono ciglio pur vedendo passare venticinque giovani in bicicletta in fila indiana.

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Walter Garavini (n° 4)

In montagna durante la grande retata dei nazifascisti dove morirono Terzo Lori e Amos Calderoni, il suo gruppo fu preso prigioniero dai tedeschi.

"Ero con due miei compagni di 18 e 19 anni. - ha raccontato in una testimonianza ai ragazzi della Scuola Media di Alfonsine - In verità ci eravamo arresi, per salvare le famiglie con tanti bambini, che abitavano nella casa in cui ci eravamo nascosti. Fummo portati nella prigione di S. Sofia e picchiati continuamente per sei giorni senza mangiare né bere. Il secondo giorno fummo portati tutti (eravamo in diciotto, presi prigionieri nei vari rastrellamenti) nel piazzale della chiesa e messi alla berlina, per un giorno intero, con un cartello davanti su cui era c'era scritto – BANDITI-".

Poiché tra di loro c’era un parente del fattore di Mussolini, che non era partigiano, ma era finito lì per caso, il fattore basandosi sulla legge di Mussolini che lasciava ai catturati l’opportunità di scegliere se andare deportato in Germania o aderire al nuovo esercito repubblichino, ottenne che non fossero  fucilati subito. Walter ebbe poi modo, con uno stratagemma, di farsi venire una febbre da cavallo: fu ricoverato all'ospedale di Forlì, e da qui, con l'aiuto di due donne, riuscì a fuggire e a tornare a casa: era il 4 luglio del 1944.

A settembre raggiunse a Ravenna il distaccamento partigiano "Terzo Lori".

Dopo la liberazione di Ravenna si mise a disposizione delle truppe inglesi e canadesi che lo utilizzarono per le imprese più pericolose. Fu incaricato di passare le linee e prendere contatto con il CLN alfonsinese, per osservare la situazione e riferire sulla quantità di armi e di soldati presenti. Vestito da borghese con documenti falsi, passò le linee e tentò di raggiungere la casa in fondo a Corso Garibaldi dove abitava Annibale Manzoli, uno dei capi del CLN. Fu preso dai tedeschi che lo accusarono di essere una spia. Lui disse di essere solo un civile: attraversò con essi il fiume e fu portato al comando tedesco nella Casa del Popolo. Da qui traslocato in motocicletta a Voltana, da dove fu messo su un treno e spedito in Germania, a Painer, in un campo di lavoro per prigionieri.

Qual è stato il giorno in cui ha avuto più paura – gli hanno chiesto i ragazzi della scuola - "E' stato il giorno in cui gli alleati hanno bombardato il campo di concentramento, il 10 febbraio 1945. Mi ricordo che ero a letto e così, nudo come stavo, cominciai a correre tra le baracche che saltavano per aria e continuai a farlo per circa quattro chilometri, riuscendo a scavalcare il filo spinato della recinzione senza farmi un graffio. Venni liberato proprio il 10 aprile 1945: erano le sei del mattino".

Walter tornò libero in Italia il 12 agosto del 1945.

Si mise subito a lavorare, aiutando il CLN a stendere la rete elettrica e di illuminazione da Fusignano ad Alfonsine (cabina centrale delle Borse) e da qui portarono l’elettricità alla fabbrica Marini.

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Poi lavorò per alcuni anni, presso la fornace di Alfonsine della Ditta Baldrati, che produceva mattoni.

In seguito chiese di essere assunto presso l'Officina Marini. Dopo due mesi di prova divenne definitivo. Ben presto fu nominato dal sindacato delegato di fabbrica del reparto "Verniciatura".

Uscito poi, come pensionato, dalla 'Marini' gestì il bar 'Italia', in piazza Gramsci.

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