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Se Saddam avesse saputo...

 di Luciano Lucci  

SE SADDAM AVESSE SAPUTO che due ‘marines’ alfonsinesi (dipendenti della fabbrica ‘Marini’) erano a Bagdad quando dichiarò guerra al Kuwait nel 1990…

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Era il 2 agosto e Gianni Tarroni con Giorgio Melandri (Sciorz) erano a Bagdad come dipendenti della ‘Marini-Fayat group’, la nuova società che aveva, da poco più di un anno, acquistato e rilanciato la fabbrica ‘Marini’. Dovevano rimanere due giorni per un giro promozionale di vendita di macchine stradali.

Il mercato dei paesi arabi era sempre stato allettante per il gruppo industriale alfonsinese, e molti operai andavano spesso in quei paesi a montare e a riparare impianti là venduti.

Dopo la dichiarazione di guerra ci fu il blocco delle frontiere i nostri due non avevano idea di cosa fare, come compor­tarsi. Avevano sentito che molti tentava­no la fuga attraverso terra, facendosi por­tare alla frontiera della Giordania, così con altri italiani e stranieri ci provarono. Ma una volta sul posto, visto che tutti avevano avuto la stessa idea, le decine di pullman furono fatte tornare indietro, e le persone fatte salire a forza. Dopo alcuni giorni, riprese le comunicazioni, riuscirono a telefonare a casa ed alla ditta ‘Marini-Fayat group’ che iniziò a spedire loro ciò di cui avevano bisogno (denaro, documenti, informazioni). “In albergo si mangiava solo pollo, pollo e pollo, a volte riso, ma fuori si poteva trova­ne di tutto, a prezzi altissimi: un pezzo di Hemmental costava anche £ 120.000!" – ha raccontato Gianni Tarroni.

Per passare il tempo andavano in giro per i negozi con una lista di cose da comprare per altri.

“Mi fermavo anche nelle botteghe – racconta Gianni- ed ho conosciuto molti iracheni, tutti fedeli a Saddam”.

Nella loro camera d’albergo, trasformata a bar per gli italiani, potevano guardare la TV, fare partite di scopone ed bere caffè, mentre agli svedesi monopolizzavano l'uso dei campi da ten­nis. Il tutto per trascorrere il tempo, in attesa degli eventi. Ogni giorno c'era il "pellegrinaggio" verso l'ambasciata italiana, molti si facevano mandare da casa dei certificati per essere facilitati, (visto che le liste di partenza erano compilate con la precedenza per ammalati e a turisti. Così nello scorrimento delle liste dei nomi delle persone destinate alla partenza il loro non c'era mai. Ad ottobre la situazione era tesa, e mentre Giorgio riuscì in qualche modo a entrare nella lista e a rientrare in patria, per Gianni l’esilio durò ancora due mesi, fino a dicembre, e alla fine un timbro sul passaporto e rientrò in Italia e infine a casa ad Alfonsine.

 

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Gianni Tarroni all'epoca del fatto

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Gianni Tarroni oggi

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