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Alfonsine

 | Ricerche sull'anima di Alfonsine |

 

I tre soldati del "Cremona" colpiti a morte in battaglia dai tedeschi ad Alfonsine, durante la liberazione 10-11 aprile 1945

Medaglie d'oro al Valor Militare

di Luciano Lucci  

 

Tre furono i giovani ‘cremonini’ caduti nella liberazione Alfonsine (10-11 aprile 1945):

Silvio Serra, Mario Morgantini, Gino Fruschelli, e decorati con Medaglia d'oro alla memoria.

 

 SILVIO SERRA

Nato a Cagliari, 20 novembre 1923 , morto ad Alfonsine, 11 aprile 1945).

Ultimo degli undici figli del notaio Efisio Serra - uno dei pochi notai della provincia di Cagliari che nelle elezioni del 1924 autenticavano le candidature antifasciste - frequentò a Cagliari le scuole elementari e il Ginnasio. Dopo la morte prematura del padre si trasferì con la famiglia a Roma, dove frequentò il Liceo Tasso per poi iscriversi alla facoltà di Giurisprudenza.

Silvio Serra

 

  

Nella seconda metà del 1943 entrò a far parte dei Gruppi di Azione Patriottica (GAP) insieme all'amico e conterraneo Luigi Pintor, partecipando alle numerose operazioni di sabotaggio che i partigiani "di città" compivano instancabilmente ai danni delle truppe nemiche occupanti, fra cui anche il noto attentato di via Rasella il 23 marzo 1944.

In seguito alla delazione di Guglielmo Blasi, ex compagno di lotta passato al servizio dei tedeschi, il 15 maggio 1944 fu catturato dalla polizia fascista e incarcerato nella famigerata pensione Jaccarino di Via Romagna - seconda per fama solo al covo delle SS di via Tasso - Qui fu sottoposto ad estenuanti torture da parte della banda Koch. Venne poi trasferito nel carcere di Regina Coeli e condannato a morte, ma riuscì a scampare all'esecuzione grazie al sopraggiungere degli Alleati nella Capitale.  

Non pago delle azioni compiute e noncurante delle conseguenze delle torture e della prigionia (fra cui una pleurite), Silvio si arruolò volontario nei Gruppi di Combattimento impegnati sui fronti settentrionali per la liberazione del Nord Italia. Nel gennaio del 1945 viene inquadrato nella 7ª Compagnia del II Battaglione "Cremona".

Impegnato lungo la linea Gotica presso il fiume Senio, l'11 aprile del 1945 fu ferito da una scheggia di bomba da mortaio e morì a soli 22 anni nella Battaglia di Alfonsine, una delle ultime azioni di guerra prima della Liberazione.

Fu sepolto nel sacrario militare della Camerlona, presso Alfonsine (Ravenna).  

Dall'articolo pubblicato sull'Unità da Pasquale Balsamo. (foto qui a sinistra)

"Silvio morì il primo giorno dell’offensiva generale il 10 di aprile, sul fronte di Alfonsine. In una calda mattina trasformata dagli scoppi di grossi calibri italiani e britanni, si avanzava cauti lungo i canali e ci si appostava dietro ogni albero, sotto ogni argine, fra i covoni, nelle case coloniche.

Silvio era il mio portamunizioni. Con il torace da «riformato». i muscoli a pezzi, trascinava 35 chili d'acciaio sulle spalle. regolamento diceva che il porta-munizioni doveva marciare dietro all'armiere, ma Silvio mi correva sempre avanti, e mi costringeva a stargli dietro, anche quando i fischi delle granate mi facevano rimpiangere di non essere rimasto a Roma.

 Accadde all'improvviso.  Ci eravamo attestati in un casolare e avevamo sentito le notizie alla radio del plotone. Il fronte era in movimento dappertutto. Sulla nostra destra, dalla spiaggia alle Case Marianne, una striscia profonda una decisa di chilometri, c'erano i partigiani di Bulow. Quelli non avevano smobilitato: erano rimasti con le loro divise e i loro comandanti e avevano continuato a tenersi una fetta di fronte tutta per loro. Alla loro sinistra c'era il Cremona: un fronte infelice, senza prospettive di entrare in qualche grossa città. Guardavamo a Padova, ma a ci arrivarono prima i canadesi e Venezia l’avremmo raggiunta solo in pochi a bordo di quattro camionette, dopo aver rubato qualche fusto di benzina ai carristi della «Black cat». …. 

Noi del Cremona andavamo avanti a piedi, senza un carro armato che ci aprisse la strada. Di fronte, in compenso, avevamo i Tigre che, rimasti senza carburante, si facevano trascinare dai buoi sin che potevano, e poi si fermavano per spararci a zero. 

Il fischio di un 8 ci passò sulla testa poco dopo esserci rimessi in marcia. Silvio mi stava accanto e, senza guardarlo, gli tesi la mano sinistra, aspettando che mi passasse un caricatore. Avevo fatto qualche passo, ma la mano mi rimaneva vuota. Sempre guardando avanti, dissi una parolaccia, ma per tutta risposta udii una voce flebile, lontana che invocava il mio nome. Pensai a uno dei soliti scherzi, ma il caricatore continuava a non arrivarmi. Mi voltai. E vidi Silvio, bocconi, ormai immobile, schiacciato dal peso delle cassettine d'acciaio. Corsi indietro, presi Silvio per il mento, e la mano mi rimase arrossata da un esile fiotto di sangue che gli usciva dalla bocca. Cominciai a sventolare il fazzoletto come un forsennato: il radiotelegrafista, che stava in coda al plotone, mi scorse e chiamò l'ambulanza. Fu la prima volta che vidi un automezzo comparire di corsa nel pieno di una battaglia. I soldati della Sanità si presero Silvio e scomparvero nelle retrovie. Silvio non fece neanche in tempo ad arrivare all'ospedaletto da campo. Era morto cosi, come mi aveva lasciato là, sul fronte, senza un lamento, con un sorriso amaro sulle labbra insanguinate: ‘Bacia i miei’. Fu il suo ultimo saluto. Da lì a poco sarebbe morto per l’Italia, con le stellette sul bavero e il fazzoletto rosso attorno al collo, come erano morti, in quei primi giorni d'offensiva, Franco Rocci, e Antonio Rezza, Pippo Magistri e il tenente Siccardi.

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Mario Morgantini

 

 

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Mario Morgantini ha ricevuto la Medaglia d'Oro al Valor Militare alla memoria.

Nato a Chiusi (Siena) nel 1920, morto a Case Marini (Alfonsine) il 10 aprile 1945.

Soldato del 22° Reggimento della Divisione Cremona, impegnato sul Fronte occidentale e poi in Corsica, Morgantini, dopo l'8 settembre 1943, prese parte, nelle file della stessa Divisione trasformata in Gruppo di combattimento, alla Guerra di liberazione. 

Marconista presso un comando di battaglione in linea nel territorio di Alfonsine e nonostante avesse già partecipato a numerose pericolose azioni, alla vigilia dell'offensiva finale chiese di essere assegnato alla 2° Compagnie, una delle più avanzate, che dopo la liberazione di Alfonsine inseguì i tedeschi lungo la direttiva Stroppata – Passetto.

Con un gruppo di commilitoni, Morgantini attaccò un caposaldo nemico, presso Case Marini, in fondo a via Passetto, intimandone la resa. I tedeschi erano in Casa Marini ed anche nella casa di fronte di Primo Camprini, mezzadro dei Grazioli. La figlia Elisa Camprini, moglie di Oronzo Devito, che qui era nata nel 1943, raccontava dei tedeschi che avevano requisito la loro casa costringendoli a vivere nella stalla con le mucche. La casa da molti anni è stata demolita. 

 

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Ferito, non desistette dall'azione. Colpito una seconda volta, ai compagni che si esponevano per salvarlo, gridava di non occuparsi di lui e di continuare l'attacco.

Poco dopo, venne trasportato a casa Bedeschi in via Puglie, e lì spirò.

Antonio Bedeschi, padre di Giuseppe, (foto a destra) raccontò ai ragazzi di una classe della Scuola Media di Alfonsine, che nel 2002 fecero una ricerca e si recarono da lui (foto sopra), di averlo visto morire, ferito prima alla mano, poi mortalmente al collo.

 

GINO FRUSCHELLI

Era nato a Siena nel 1912.

Durante la leva dal 1932 al ‘34 diventò caporalmaggiore del 3° Reggimento Granatieri.

Gino Fruschelli

Alla fine del 1935 iscrittosi volontario alla Milizia Fascista partì per la Guerra di Spagna, con un reparto di Camice Nere, rimpatriando poi nel 1938. Fu richiamato nel 1939 per un breve periodo nel 3° Reggimento “Granatieri”, e messo nuovamente a disposizione della Milizia. Mobilitato di nuovo col 97° battaglione di volontari Camice Nere, nell’aprile 1941 partecipò ad azioni militari in Jugolavia e nei territori occupati. Rientrato nell’esercito fu assegnato poi all’89° Reggimento di Fanteria “Cosseria” fu inviato il 7 luglio del 1942  sul fronte russo. Qui ottenne la Croce di guerra al Valor Militare sul campo a Nowokaliwka nel dicembre 1942. In Russia rimase fino al maggio del 1943.  

Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 si diede alla macchia, ma dopo la liberazione della Toscana, nel gennaio del 1945, si arruolò volontario nel rinato Esercito italiano.

Assegnato al 22° Reggimento del Gruppo di combattimento "Cremona", 1° Compagnia del 2° Battaglione, l’11 Aprile al comando della sua squadra fucilieri, durante l’assalto a una postazione tedesca in zona Passetto di Alfonsine, sorpresi sul fianco destro da un violento fuoco di mitragliatrice,  strappò il fucile mitragliatore dalle mani di un porta arma, aprì decisamente il fuoco per proteggere i movimenti dei compagni. Gravemente ferito, continuò a sparare fino al termine delle munizioni. Colpito una seconda volta, riuscì a trascinarsi fino ad afferrare il mortaio di un compagno caduto e ad aprire nuovamente il fuoco. Colpito una terza volta da una scheggia di mortaio che gli squarciò una spalla, prima di abbattersi al suolo, con l'ultimo anelito di vita rimastogli incitò i suoi uomini a proseguire nella lotta. Fu ricoverato all’ospedale militare alleato di Ravenna, dove il 12 aprile morì.

Fu decorato con la medaglia d’oro al valor militare alla memoria.

Fu sepolto a Camerlona e il suo nome appare nel Sacrario, anche se nell’elenco di coloro che furono in seguito trasferiti dai famigliari nelle tombe di famiglia.
A Gino Fruschelli sono state intitolate strade a Roma e nella sua città natale.  

 

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