Stefano
Pelloni
di Luciano Lucci |
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Molti
storici si sforzano di scrostare l'alone mitico che l'identità romagnola ha
creato attorno a questo bandito delle zone di Romagna, facendo riferimento
agli atti documentali, e calcando la mano sulle azioni sanguinarie del
Passatore e della sua banda. Dall'altra parte altri hanno teso ad individuare
una serie di attenuanti per questa figura definendo il contesto
storico-sociale e politico in cui il personaggio operò, e cioè Il limite di entrambi è di solito quello di dimenticare che stanno processando un mito, il che significa qualcosa che nel bene e nel male è entrato in sintonia con la sensibilità e i sentimenti della gente, al di là della realtà dei fatti. Si tratta quindi di capire di quale mito si parla e di giudicare se tale mito aveva un valore positivo o negativo all'epoca dei fatti. Il Passatore morì in una sparatoria finale, e spesso agì per vendicare gli amici uccisi, o per eliminare traditori, delatori, poliziotti, guardie volontarie (le ronde dell'epoca). Depredò, e a volte uccise, quando si ribellavano, i ricchi possidenti e rimborsò abbondantemente i fiancheggiatori e quei braccianti o contadini poveri che lo accoglievano volentieri nei loro capanni, facendo sostanziosi regali alle ragazze delle case dove si nascondeva o alle donnine a pagamento che si portava dietro, o addirittura mostrando rispetto e affascinando le suore di un convento dove una volte ebbe modo di trovare asilo, oltre a ricompensarle di una notevole somma. Così gli riuscì di creare il mito di un casereccio Robin Hood, di uno che "rubava ai ricchi e dava ai poveri". Se poi si pensa che in qualche modo le sue imprese incrociarono quelle di Garibaldi, si può capire senza bisogno di scandalizzarsi tanto, come Giovanni Pascoli, poeta di Romagna, abbia voluto alimentare quel mito (ma non è questo uno dei meriti degli artisti?) scrivendo la poesia "Romagna", di cui in molti per varie generazioni mandarono a memoria, fin dalle elementari, la strofa finale: Romagna
solatìa dolce paese Che c'entra Garibaldi? Non si deve dimenticare che nell'agosto del 1849 Garibaldi era passato per le zone dove in quegli anni stava 'operando' la banda del Passatore: l'eroe dei due mondi, inseguito da quegli stessi austriaci che davano la caccia al Passatore per conto del Papa, in fuga attraverso la Romagna dopo aver tentato la rivoluzione con la Repubblica Romana di Giuseppe Mazzini, sentì certamente parlare di quel bandito-giustiziere, una specie di Primola Rossa che umiliava le Forze Papaline e lo Stato Pontificio. Pensate che Garibaldi riuscì a scampare alla cattura proprio rifugiandosi in Toscana, passando per quegli stessi sentieri che usava il Passatore quando si voleva sottrarre alla caccia dei 'papalini' e degli austriaci. E dall'esilio a New York dove si era rifugiato, Garibaldi nell'ottobre del 1850 scrisse una lettera che diceva così: "Le notizie del Passatore sono stupende... Noi baceremo il piede di questo bravo italiano che non paventa, in questi tempi di generale paura, di sfidare i dominatori" Stefano Pelloni lasciò una scia di sangue nella sua vita "storica", ma da bravo regista riuscì comunque a creare l'altra straordinaria figura del mito. Ripensato come una luce dagli oppressi di allora alimentò la speranza del riscatto e signoreggiò nel fuoco delle lotte sociali degli anni successivi: 'sicché, nell'Ottocento e oltre, - sono costretti ad ammettere gli autori di un libro sulla storia non romanzata del Passatore: Remo Ragazzini e Marzio e Roberto Casalini -
non soltanto fiorirono centinaia di romanzi, opere di teatro, spettacoli per burattini, romanze popolari sull'eroe di Boncellino, ma anche poteva accadere che la nonna favolatrice si chinasse sulle culle dei bimbi per cantare
'la Cantlèna dla morta de Pasador'. La storia delle gesta più eclatanti e sanguinarie del Passatore copre il periodo che va dal 1842 al 1851; il 23 marzo 1851 Stefano Pelloni detto il Passatore muore a due passi da casa sua, in un campo del territorio di Russi, durante uno scontro a fuoco con un gruppo di militi. Aveva 27 anni. La sua storia si svolge nella Romagna Pontificia tra le Legazioni di Ravenna e di Ferrara: Russi, Faenza, Cotignola, Bagnacavallo, il Brisighellese, Forlì, Bagnara, Lugo, San Pietro in Trento, Castel Guelfo, Longiano, Villafranca, S. Lorenzo in Selva, Sant'Arcangelo, Traversara, Consandolo di Argenta, Forlimpopoli, Bizzuno, Imola: questi i luoghi delle varie imprese. La vita e le azioni del 'Passatore' sembrano la trama di un film western, ma invece che nel Far West siamo in Romagna, e i fatti di violenza sanguinaria che l’attraversa fa il paio ai film di Tarantino. Forse sarebbe il caso di spedire la sceneggiatura al noto regista, chissà non gli venisse voglia di farne un film. I film già fatti
Il primo film sul Passatore fu realizzato nel 1947 con la regia di Duilio Coletti. La storia romanzata di Stefano Pelloni, tradotta sullo schermo da Coletti, continuava il genere dei film storico-popolari da lui precedentemente diretti, quali Il fornaretto di Venezia (1938), Capitan Fracassa (1940), La maschera di Cesare Borgia (1941), ecc. Rossano Brazzi fu l'interprete poco credibile del Passatore. Troppo delicato e raffinato per essere un bandito rozzo e analfabeta che non conosceva altra lingua se non il dialetto romagnolo. Il film, sostenuto da un cast di eccezione (oltre a Brazzi, un folto gruppo dei migliori attori del nostro cinema: Valentina Cortese, Carlo Ninchi, Camillo Pilotto, Carlo Campanini, Folco Lulli, Alberto Sordi, Carlo Tamberlani, Memmo Carotenuto, Enrico Luzi, Gualtiero Tumiati, ecc.), è vedibile se non lo si prende sul serio, se ci si dimentica, cioè, che il personaggio cui è dedicato è effettivamente vissuto. Il continuo riferimento a luoghi e città della terra del ravennate, che solo nei due casi sono veramente quelli in cui il Pelloni può essere passato nella sua breve e scellerata vita, non deve trarre in inganno; come pure le bravate al teatro di Forlimpopoli, una fantasiosa ricostruzione fatta - dopo aver scartato l'idea di riallestire il Teatro di Russi inagibile da alcuni anni - in teatro di posa a Roma. Un particolare del film
Qui sotto lo stesso film intero
Un particolare curioso, che avvalora ancora di più la scarsa attendibilità storica del film, è dato dal fatto che il personaggio del bandito Penzavolta detto l'«Innamorato», è interpretato da Alberto Sordi, doppiato da Carlo Romano: che usa uno strano connubio di linguaggi, un misto di romagnolo (o meglio, bolognese) e romanesco!
La critica fu molto discorde nei giudizi. Da parte cattolica si ebbe un giudizio decisamente negativo, si legge infatti in "Segnalazioni Cinematografiche" del Centro Cattolico Cinematografico: «Il soggetto, per se stesso poco felice, non ha uno svolgimento adeguato. La vita avventurosa del leggendario bandito è raccontata qui con stile e ritmo da operetta», mentre altri trovarono il film un buon prodotto, come il quindicinale "Intermezzo" che così si espresse: «Un buon film che, a degli ottimi momenti, alterna qualche ingenuità [...]. Comunque non possiamo negare che Coletti se la sia cavata onorevolmente»
Un secondo film sulla storia del Passatore, fu realizzato nel 1973: il titolo era "Fuori uno sotto un altro... arriva il Passatore" regia di Giuliano Carmine. George Hilton nella parte del Passatore, con Edwige Fenech, Sal Borgese, Dante Maggio. Una commedia della durata di 90'.
Un terzo film sul Passatore fu portato sugli schermi televisivi, in due puntate del 28 dicembre 1977 e del 4 gennaio 1978 sulla 2° rete RAI. Il titolo era "Il Passatore" di Piero Nelli. (qui di seguito c'è tutto) Il Passatore e la sua banda nella valle del Marecchia Luigi Diberti nella parte del Passatore
Le riprese in Piazza Nuova a Bagnacavallo In primo piano il protagonista e il regista
IL 4° FILM NEL 2011 Si tratta di una rappresentazione non romanzata, di alcune vicende del brigante romagnolo (1824-1851) prodotto e realizzato da Maurizio Callegati. (2011) Gli attori sono tutte persone della zona. Giampaolo Cavallucci è 'il passatore'. Il film dura 50'. Qui lo si propone in quattro tempi.
Ma
la
sceneggiatura vera?... Stefano
Pelloni era nato nel Morì in territorio di Russi, a due passi da casa sua, in uno scontro a fuoco con i gendarmi di Russi che lo sorprendono in un capanno da caccia, un paretaio, fra i campi del podere Molesa (di certi Spadini di Faenza). E' con l'amico Giazol (Giuseppe Tasselli), c'è una sparatoria, una guardia viene uccisa, lui resta ucciso, Giazol riesce a fuggire. Aveva 26 anni e 8 mesi (scarsi) Il padre Girolamo Pelloni detto Ziroli era custode ufficiale fin dal 1830, dell'argine sinistro del Lamone e con il cugino Mario aveva licenza di traghettare merci, viandanti e bestiame da una sponda all'altra del fiume, al guado del Muraglione, tra Russi e Boncellino. Con lui lavorava uno dei figli, Vincenzo. Passavano carri, calessi, animali, greggi, viandanti, gente normale e facce losche. Si passava a pagamento. Un lavoro di tutto rispetto, su concessione della Sovrintendenza della Dogana di Ferrara, 85 scudi netti all'anno, una bella cifra per quei tempi. Possedeva una casa e un piccolo campo di 3 tornature, (circa un ettaro), utile per la famiglia. La madre, Francesca Errani, (della famiglia dei Malandri), da cui il primo soprannome per Stefano fu Malandri - oltre a badare ai 9 figli, si sfiancava a lavorare accanto al marito. Lui morì nel `44, e lei gli subentrò nel traghetto. Stefano (Stvané) era un ragazzo irrequieto fin da piccolo, sempre intruppato in una banda di ragazzi del paese. . Stefano era l'ultimo di 9 figli (4 maschi e 5 femmine): ragazzo irrequieto, sempre intruppato in una banda di ragazzi del paese che, come tutti i ragazzini, scorazzavano per campi e argini e ne combinavano di tutti i colori. Fra i 12 e i 15 anni fu spedito a scuola a Cotignola, presso un maestro locale Biserni. Forse lo mandarono per allontanarlo dalla banda, oppure aspiravano ad avviarlo alla carriera ecclesiastica. Così Stefano fu mandato in seminario. Con profitto quasi nullo e spirito ribelle non sopportò però la dura disciplina imposta a chi voleva divenire sacerdote, tanto che a 15 anni, biasimato da parenti e amici, abbandonò il collegio religioso e si diede a mestieri umili e poco remunerativi: giornaliero di campagna, scarriolante, muratore e via dicendo. Suo
fratello maggiore Matteo era l'altra preoccupazione della famiglia Pelloni. Nato
nel `13, già nel `31, a 18 anni ebbe la prima bega. Litigò con un vicino e
lo ferì con un falcetto. Rinviato a giudizio e fuggito, venne preso dopo un
anno e scontò qualche mese di carcere. 1839
1842 Nel 1842 il padre lo fece assumere come sorvegliante ai lavori di consolidamento degli argini del Lamone, che un'impresa di Piangipane del signor Paizzini (Paiazé) aveva avuto in appalto dallo Stato Pontificio. Un buon lavoro, ma Stefano pensava a stare più coi compagni e a divertirsi che a lavorare. I compagni erano quelli di sempre che lo seguiranno poi in tutte le sue drammatiche avventure: i Giazul (Giuseppe, Matteo e Pietro Tasselli di Barbiano); Basei (Antonio Basili); Schelz (Giuseppe Golfieri, un povero scemo che girava sempre scalzo); Bi-sò (Giuseppe Bassi); Marafò (Giacomo Bedeschi); Bas-cié (Giuseppe Cortesi); Pot (Giacomo Vassura); Ruscitel (Angelo Montanari). L'imprenditore Paizzini non si fidava di quel sorvegliante che aveva sempre attorno un gruppo di ragazzacci e assunse due guardie armate di Boncellino a sorvegliare il cantiere: Tambini Luigi e Custode Cini. Una notte tre ladri coperti dalla 'caparèla' rapinano i fucili ai due sorveglianti, minacciandoli con una doppietta. Al Tambini sembrò aver riconosciuto Bi-sò e sospettò che gli altri due fossero Giazol e Stvané de Passador (Stefano Pelloni), che la sera della rapina sono stati visti a confabulare insieme. Ma la Giustizia Papalina andava a rilento e il caso sembrava destinato a chiudersi senza colpevoli se non fosse che un giorno, ad Argenta, fu arrestato un ricettatore di Villanova di Bagnacavallo, tale Bonafede Manetti, con una doppietta uguale a quella rubata al Cini. Messo alle strette, confessò che gliel'ha venduta Giuseppe Tisselli (Giazol). Bi-sò e Giazol furono arrestati, Stefano, rimasto libero, (non si sa perché...), avvicinandosi la data del processo andò a cercare il Tambini per convincerlo a non fare il suo nome e che lui non c'entrava con la rapina, e lo lasciasse in pace. Il Tambini lo scacciò in malo modo e lo insultò. Poi verso sera, mentre se ne tornava a casa col fratello, davanti alla chiesa di Boncellino, dal buio arrivò una fucilata che fece secco il Tambini. Fu convinzione diffusa che a sparare fosse stato e Schelz (Giuseppe Golfieri), l'amico scemo di Stvanì e pasador che odiava a morte il Tambini, e che il mandante non poteva non essere che Stefano Pelloni. Fu così che il Passatore da quella sera si diede alla macchia. Dopo qualche tempo fu segnalato come appartenente a una banda scalcagnata locale di Ferdinando Cottignola di Santerno detto Tagiò, che operava nella zona di Santerno, Villanova, Glorie assaltando viandanti, taglieggiando i contadini, saccheggiando case isolate e a volte incendiandole. Stvané de Pasador (cosi si farà chiamare da ora in poi) non si ritrova in quella banda e si mette in proprio. Ma un giorno a Russi fu riconosciuto da una pattuglia (tipo le ronde di oggi) capitanata da una guardia volontaria, Apollinare Fantini (lo stesso che 8 anni dopo gli sparerà uccidendolo). 1843 Il carcere di Russi era un piccolo carcere a conduzione familiare, lui giovane, la moglie del guardiano piacente, un giorno si presero sul pagliericcio della cella e nei giorni a seguire lei gli prestò tante attenzioni. Capitò che un giorno, "per caso" l'uscio della cella "restò sbadatamente aperto" e il nostro "volò via". Un volo breve, qualche ora e una pattuglia lo riconobbe e lo rinchiuse a Bagnacavallo, nella Torre dell'Orologio. Questo carcere era abbastanza grande, con una quarantina di carcerati e la solita conduzione familiare. Qui incontrò i resti della banda di Tagiò, che nel frattempo era stato ucciso dalla Forza in uno scontro a fuoco a S. Potito di Lugo, e con essi il vecchio compagno Bi-so (Giuseppe Bassi) e e Cont (Francesco Emiliani). Questi stavano tramando una fuga, a cui si aggregò subito Stefano. 1844 Il 29 gennaio '44, quando scapparono, Stefano Pelloni era dei loro. Con uno stratagemma, i due rinchiusero il guardiano nella cella, e il Pelloni costringe i familiari ad aprire il portone. I tre fuggirono a gambe levate verso la campagna. I familiari urlarono, alcuni muratori accorsero, Pelloni e Emiliani Furono bloccati. Fra chi lo bloccò il Pelloni riconobbe un certo "'Baghè'" a cui giurò vendetta. E la vendetta arriverà con una fucilata mortale, anni dopo. Il 24 novembre '44, in Tribunale a Ravenna, a rispondere di violenze a mano armata, omicidi, rapine, incendi e grassazioni c'erano i 55 della banda "Tagiò". Stefano Pelloni ritrovò qui tutti i compagni d'infanzia, la famiglia Conti (i Carera) e anche quel Gaetano Morgagni (Fagot) di Forli, che sarà un elemento di spicco della Banda del Passatore e che, catturato, sarà il primo a"cantare ". L' intera Banda del "Tagiò " fu assolta per "insufficienza di prove". Stvané si beccò l'esilio dalla Provincia di Ravenna. "Figlio di Girolamo, custode del fiume Lamone, del Boncellino [...]. Surnomato: Malandri. Condizione: bracciante. Statura: giusta. D'anni: venti. Capelli: neri. Ciglia: idem. Occhi: castani. Fronte: spaziosa. Naso: profilato. Bocca: giusta. Colore: pallido. Viso: oblungo. Barba: senza. Corporatura: giusta. Segni particolari: sguardo truce". Questi i connotati di Stefano diffusi con circolare del 30 dicembre 1844 dalla direzione provinciale di polizia della Legazione di Ravenna per far eseguire la condanna inflitta al giovane: l'esilio dalla provincia "sotto comminatoria d'un anno d'opera [lavori forzati] in caso di trasgressione" Non uscì però dal carcere perché la Giustizia della Legazione di Ferrara lo volle processare per la rapina dei due fucili a Tambini e Ciani e per la fuga dal carcere di Bagnacavallo.
1845 Il
28 giugno 1845 il tribunale di Ferrara lo condannò a 4 anni di opera pubblica
per la rapina dei fucili e a 3 anni di carcere per l'evasione, da scontarsi
nei lavori forzati per la sistemazione del Porto di Ancona. II 5 agosto del '45, dalle parti di Cattolica, stava marciando verso Ancona a piedi, insieme ad altri galeotti e insieme all'amico Matteo Tasselli, fratello di Giuseppe (Giazol). Lui e Matteo riuscirono ad eludere la sorveglianza e a darsi alla fuga. Prima si nascosero a Russi a casa di uno "fidato", poi si trasferirono dalle parti di Monte Mauro, nel Brisighellese, ai confini con la Romagna Toscana, perché vi eranoi molte grotte e molti briganti. E per un anno non se ne sentì più parlare. 1846 1° dicembre 1846: Stefano Pelloni, il Passatore affronta a Boncellino un caporale delle Guardie Volontarie Pontificie, Lorenzo Folicaldi detto Bisaca, un prepotente spocchioso nella sua divisa coi gradi, noto delatore che lui conosceva bene. Lo colpisce alla testa violentemente e ripetutamente col manico del coltello, questo fugge e lui gli spara ma non lo colpisce. Il Governatore emise una prima taglia di 10 scudi sulla sua testa, ma non ottenne risultato. Nell'ambito dei 3 anni di vita della Banda ce ne sarà una seconda il 7 gennaio '50 di 200 scudi, poi una di 1000 scudi, poi una serie di altre di varie cifre e l'ultima, dell' 11 marzo 1851, poco prima della fine, di ben 3000 scudi, (una cifra astronomica per l'epoca). 1847 Gennaio
1847 All' inizio del '47 si ebbe notizia che in Romagna c'era una nuova
Banda, "La Banda del Passatore " Lo scrisse un Parroco alle Autorità Faentine e segnalò che nei boschi della Zattaglia (tra Riolo, Brisighella e Casola Valsenio) si era aggruppata una banda di assassini condotta da un capo che andava dicendo essere evaso dalle Carceri Pontificie e si faceva chiamare `STVANÌ DE PASADOR» Il primo fattaccio 15 marzo 1847: a Camerlona, vicino a Mezzano, nell'osteria 'da l'Ost', oggi 'Osteria di du cantù', seduto a un tavolo il passatore è solo col fucile e sta mangiando. Sembra uno dei tanti cacciatori. Entrano un carabiniere e un suo aiutante "volontario" e all'istante il Pelloni imbraccia il fucile e ammazza il primo carabiniere, poi corre fuori e insegue l'altro e ammazza pure lui. Diventa un mito tra i banditi e tra la gente.
Da ora in poi "o la vita o la morte". Per il Passatore non ci fu più scampo. Le Autorità cominciarono a muoversi. Gli diedero la caccia, e lui le sfidò. Fra la malavita, e non solo, Stvanì de Pasador cominciò a diventare un mito. Aveva il coraggio di colpire lo Stato Papalino e di sfidare i suoi sgherri. 23
agosto 1847: la nuova banda assaltò tre case dalle parti di Imola ma
recuperò solo 10 scudi, imbestialiti alla quarta casa trovata resistenza da parte
dell'agricoltore, lo massacrarono barbaramente. Seguirono vari scontri con le
guardie dove morironoo molti briganti. La banda si scioglie e il Passatore
restò solo coi fedelissimi. 2 novembre 1847: la nuova banda si fece viva a Bagnacavallo, rapinò per strada un possidente, il bottino fu 213 scudi. Fino alla fine dell'anno varie rapine da strada e in case sparse, ma nessun fatto eclatante Brigantaggio e scontro finale 1848 21 gennaio 1848: Per fare un favore ad altri briganti a cui era andata male una rapina a casa dell'agricoltore Zanzi di Cotignola, fa uccidere dai propri compagni, per 30 scudi, un certo Mignani che aveva fatto da palo alla rapina, e che era stato indicato come la spia che aveva chiamato le guardie. Il tronco del suo corpo fu trovato nella neve davanti al cimitero di Granarolo, senza gambe, mani, testa e genitali. Sul petto a croce un fucile e una pistola, tenuti fermi da un pugnale infilato nel corpo fino al manico, i vari arti sparsi a caso lungo la strada per Faenza, una gamba appesa a un bivia al pilastro di una Madonna. La testa se la trova sulla soglia di casa l'agricoltore di Cotignola Luca Zanzi. 28 gennaio 1848: la banda assalta alla sacrestia di San Prospero di Imola, con violenze sul parroco per sapere il nascondiglio e se ne va con un pingue bottino di 1400 scudi. 16 febbraio 1848: Venti banditi capitanati dal Passatore entrano al primo buio della sera in Bagnara. Con l'aiuto del capo delle guardie sequestrano le guardie stesse e 'visitano' varie case di possidenti: bottino 1000 scudi 1849 5
giugno 1849: gli austriaci occupano militarmente Impongono una legge marziale che condanna a morte chiunque sia trovato in possesso di un'arma, chi commette rapine e chi da nascondiglio ai banditi. Estate 1849: Stvané e pasador, insieme a Giazòl, va a cercare Baghé, quello che l'aveva bloccato a Bagnacavallo durante la fuga e a cui aveva giurato vendetta. Lo chiama sotto casa e, appena quello si affaccia, lo ammazza con una fucilata. 31 ottobre 1849: a San Pietro in Trento assaltano con mannaia il portone di due case di possidenti che vengono malmenati violentemente fino a che indicano dove tengono i soldi: bottino 157 scudi dal primo e 400 dal secondo. 1850 9 gennaio 1850: A Russi assaltano la diligenza Faenza-Ravenna, che era scortata da gendarmi: rapinano ingenti somme. 27 gennaio 1850: dopo essersi travestiti da guardie si fanno aprire le porte della città di Cotignola, sequestrano le vere guardie entrano in casa di alcuni possidenti e se ne vanno con 4.500 scudi. Ma due delle guardie civiche vengono riconosciute per aver fatto parte tre anni prima di un gruppo che in uno scontro a fuoco aveva ucciso uno dei fratelli Giazòl, Pietro Tasselli. Vengono accoltellati e buttati dal ponte nel fiume Senio. Uno muore il mattino successivo e l'altro pur ferito si salva. 28 gennaio 1850: Di sera la banda entra a Castel Guelfo (Imola) e dopo uno scontro a fuoco dove rimangono uccise due guardie sono costretti alla fuga senza bottino. 7 Febbraio 1850: Con la stessa tecnica assaltano, sempre di sera, Brisighella: si travestono con le divise delle quattro guardie immobilizzate epassano di casa in casa. In cinque ore rapinano 6510 scudi. 6 marzo 1850: Romeo Sangiorgi, segnalatore e cacciatore di banditi, viene ucciso a coltellate dal Passatore stesso. "Erano in quattro" testimonierà un certo Zoli che non visto assistette al fatto. 25 maggio 1850: Mentre si recano a Longiano, a Villafranca di Forlì hanno uno scontro a fuoco in cui muoiono tre guardie papaline 28
maggio 1850: Assaltano Longiano con la solita tecnica, lasciano in
mutande le guardie, si travestono, uccidono un milite e due cittadini. 6632
scudi il consistente bottino. Escono da Longiano a notte fonda completamente
ubriachi, in paese hanno bevuto e pagato l'oste. Si dirigono verso 19 agosto 1850: Mettono un blocco stradale sulla strada fra Roncadello e Villafranca di Forlì dove rapinano 26 passanti, di cui 19 contadini, ma il bottino è irrisorio. 26 agosto 1850: A S. Lorenzo in Selva uccidono due coloni benestanti perché la sera prima non avevano aperto le porte al bussare del Passatore. 23 settembre 1850: A Santarcangelo assaltano in pieno giorno la diligenza armata diretta a Roma. Bottino 2.000 ducati. 2 ottobre 1850: Entrano a Lugo, in pieno giorno, in tre (il Passatore, Giazòl, Tigiò), elegantemente vestiti su un calesse lussuoso, senza dare alcun sospetto. Vanno nel Ghetto e il Passatore, con false generalità, si fa ricevere dall'usuraio. Lo minaccia col coltellaccio e lo deruba di 2337 scudi. 4
novembre 1851 9 gennaio 1851: Attacco al paese di Consandolo, nel ferrarese, con la solita tecnica. Ammazzano un possidente e ne feriscono un altro che morirà il giorno dopo. Se ne vanno con 1.200 scudi.
L'inizio
della fine Febbraio 1851: Per una spiata cade nelle mani del comandante delle guardie austriache Fagòt (Gaetano Morgagni), uomo di punta della banda. Per salvare la pelle si mette a raccontare tutto quello che sa. Rivela dove sono le case amiche, la casa dei piatti, la casa delle donne, la casa dell'osso, i rifugi, gli informatori, i ricettatori e i fiancheggiatori. Viene fucilata un enorme massa di gente e si fa il vuoto attorno alla banda del Passatore. L'ultima festa Carnevale 1851: La banda braccata comincia a vagare dalle parti di Boncellino sperando nei parenti e amici fidati. Arrivati a Traversara a casa dei Mattiolino organizzano una grande festa di Carnevale. Sono in sei, Pasador, Giazòl, Lisagna, Tagiò, Matiaza e é Calabres. Si sono procurati tre suonatori e dieci donnine: tre giorni di gozzoviglie sfrenate. Per il Passatore, ma anche per i Mattiolino, è l'ultima festa. 17 marzo 1851: Dopo Fagòt, è la volta di 'Lamella' (Giacomo Emaldi di Fusignano) che porta alla perquisizione della casa di Giovanni Minguzzi, l'ortolano dove in un nascondiglio segreto in un doppio muro viene scovato Antonio Farina detto Dumandò, uno dei fidelissimi del Passatore. Anche lui comincia a 'cantare' per aver salva la vita. 19 marzo 1851: A Prada, presso il mulino Ladelchi, Giazòl, Lisegna e Stvané de Pasadòr a cavallo si incontrano con 4 gendarmi: nello scontro a fuoco sono costretti a fuggire e ad abbandonare i cavalli 20 marzo 1851: L'ortolano viene fucilato a Bagnacavallo, alle 5 del pomeriggio. Aveva ospitato spesso la banda e si calcola avesse accumulato una fortuna. 22 marzo 1851: Si rifugiano a Bizzuno di Lugo ma qui di nuovo dopo una spiata hanno uno scontro a fuoco coi gendarmi, che lasciano sul campo due morti e i banditi riescono a fuggire. E' ormai sera i cinque si dividono. Matiaza e Carera vanno per conto loro. Pasador, Giazòl e Lisegna camminano tutta la notte verso Russi. 23 marzo 1851: Arrivano nella "Tenuta Molesa" degli Spadini di Faenza. Si nascondono in un capanno da caccia. Lisegna se ne va e Pasador e Giazol rimangono da soli. Un mendicante che era in giro a far stecchi vede tre uomini armati di fucile e avvisa le guardie di Russi, sperando in qualche beneficio, vista la legge contro le armi. Parte un gruppi di militi (5 gendarmi, 4 papalini e 4 sussidiari) al comando di Achille Battistini. Del gruppo fa parte anche quell'Apollinare Fantini che per primo nel 1844 aveva arrestato l'allora Stefano Pelloni. Il comandante piazza i suoi uomini e poi prova a sfondare la porta del capanno, ma non ci riesce. Guarda dentro a un finestrino e in quel mentre gli arriva una fucilata che gli squarcia il petto. la porta si spalanca e i due fuggono sparando all'impazzata. Il Fantini riconosce il Passatore e gli spara una fucilata che lo lascia secco. Nel trambusto Giazòl anche se ferito riesce a fuggire. Il corpo del Passatore viene caricato su un carretto trainato da un ronzino e portato in giro per i paesi della Romagna, e poi a Bologna dove, dopo il riconoscimento formale, la notte del 26 marzo viene sepolto alla Certosa, in territorio sconsacrato. |