"E'
Café d'Cài"
(torna alla copertina)
Le Brigate Nere sequestrano i malati e i feriti
Hedda
Mariani e Claudia Guerrini:
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Suor Giocondiana Il
mese di marzo stava per finire, la neve per le strade si era sciolta e le
giornate erano soleggiate. Un
giorno, con nostra sorpresa, incontrammo a casa di Ester una suora
dell’ospedale civile in compagnia di Gaetano Fichera. Ce la presentò come
suor Giocondiana, la prima infermiera del professor Pasini, e continuò
informandoci che erano fidanzati. A quel punto ci guardammo in faccia stupiti,
ma non più di tanto, perché in quei giorni tutto era lecito. Suor Giocondiana chiese a Ester se poteva darle la possibilità di cambiarsi d’abito, per poter indossare un vestito che teneva impacchettato sotto braccio. Naturalmente Ester disse di sì e l’accompagnò in cucina. Poco dopo apparve Giocondiana vestita di un bel tailleur azzurro: era veramente una bella ragazza e noi tutti ci felicitammo con i due innamorati. Ester si mise in cucina a preparare una specie di ciambella, il vino e liquore c’erano, così festeggiammo tutto il pomeriggio. La sera suor Giocondiana si rimise gli abiti talari e riprese le sue mansioni all’ospedale. 10
aprile 1945
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Ci guardammo in faccia con la speranza che fosse giunto il tanto atteso momento. Rientrammo in casa, urlando con gioia che forse gli alleati avevano iniziato l’offensiva. Uscimmo di nuovo di casa: di tedeschi non se ne vedevano, così ci portammo di corsa verso il fiume che distava poche centinaia di metri; giungemmo sull’argine e, allungando lo sguardo oltre la riva destra, riuscimmo a intravedere gli elmetti luccicanti dei militari che si muovevano verso di noi. Arrivarono sulla sponda destra del fiume e lo attraversarono a guado. Noi gli andammo incontro e ci accorgemmo con sorpresa che erano italiani della Divisione Cremona; ci abbracciammo mentre tutti gridavamo pieni di gioia. C’era chi rideva, c’era chi piangeva dalla felicità e chi saltava. Li accompagnammo per le strade del paese alla ricerca delle retroguardie tedesche. Mi ricordo di un ragazzo molto giovane della Cremona di fianco al quale cominciai a correre lungo Via Mazzini. Arrivati all’incrocio con Via Raspona, lo aiutai ad installare il suo fucile mitragliatore Bren all’angolo col bar “Teresa”, puntando dritto verso Via Raspona. Si chiamava Dario. |
... Li accompagnammo per le strade del paese alla ricerca delle retroguardie tedesche...
... Arrivati all’incrocio con Via Raspona, lo aiutai ad installare il suo fucile mitragliatore Bren all’angolo col bar “Teresa”, puntando dritto verso Via Raspona. Si chiamava Dario... (Bar Centrale: Via Reale, incrocio con via Raspona e Mazzini) |
Non
si vide nessun tedesco lungo quella strada; ci fu una qualche
scaramuccia su via Reale verso “e`cafité”, ma niente di più. La
gente si affollava per strada continuando a urlare: “Siamo liberi
finalmente!” Rimanemmo
fuori tutto il giorno, in giro per le strade, contenti di aver salvato
la pelle, ma ricordando anche tutti coloro che erano morti o feriti;
solo all’imbrunire tornammo da Ester. C’eravamo appena coricati, quando udimmo il rombo di un aereo e subito lo scoppio di una bomba. Non era caduta molto lontano da noi, e per fortuna non fece alcuna vittima né alcun danno. Fu installata immediatamente una batteria antiaerea a circa cinquanta metri da dove eravamo noi, si fece sentire per un attimo poi smise, fu l’ultimo guizzo di guerra che dovemmo sopportare. |
... Non si vide nessun tedesco lungo quella strada... (Rampa del fiume Senio, Via Reale zona "Sabbioni") ... ci fu una qualche scaramuccia su via Reale verso “e`cafité”... (Via Reale: incrocio con via Stroppata) |
La sera dopo, bussarono alla nostra porta tre inglesi che facevano parte di quella batteria, con due tedeschi prigionieri. Ci chiesero se c’era qualcuno che parlasse l’inglese, a quel punto si fece avanti Gaetano che rispose ai tre militari con un inglese molto disinvolto. Poi si rivolse ai due tedeschi traducendo nella loro lingua quello che gli inglesi chiedevano. Finito l’interrogatorio gli inglesi ringraziarono Gaetano e tutti noi, e ci salutarono portando con loro i prigionieri. Per noi fu una piacevole sorpresa scoprire che Gaetano, pur così giovane, oltre ad essere laureato in matematica, parlasse con naturalezza due lingue straniere, cosa molto rara per quei tempi. |
Voglia di festeggiare |
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Nel palazzo di Fernè, subito dopo la liberazione, si installò il C. L. N. (Comitato di Liberazione Nazionale) di Alfonsine, formato da tutti i partiti che avevano partecipato alla resistenza. All’interno del palazzo fu collocato anche il comune.
Gli alfonsinesi sentivano la necessità di parlare, di divertirsi e di stare insieme, anziani e giovani, donne, uomini e bambini. La sera si festeggiava alla buona nelle case, bevendo vino e ascoltando musica col grammofono a manovella, oppure qualcuno si esibiva con la fisarmonica per farci ballare. Questo continuò per un lungo periodo in quasi tutte le case di Alfonsine.
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... Gli alfonsinesi sentivano la necessità di parlare, di divertirsi e di stare insieme, anziani e giovani, donne, uomini e bambini... (Maggio 1945: Corso Garibaldi, corteo in costume con banda musicale per una partita di calcio tra i giovani)
Le due squadre che si fronteggiarono: “Squadra Ozio e Consumo” contro la “Squadra Grazia e Potenza” |
Si aprirono le sezioni dei vari partiti, e anche lì si ballava e si festeggiava. C’era il problema della luce elettrica: le cabine elettriche erano distrutte, i fili erano caduti a terra e si usavano le candele. C’era però il petromax, una specie di lanterna a petrolio che funzionava in questo modo: pompando da un piccolo serbatoio che stava sotto al tubo di vetro, si irrorava una rete di cotone che si trovava al centro, poi con un fiammifero si accendeva la lanterna, che faceva una luce intensa, sostituendo così la luce elettrica. |
Il problema di un alloggio Nei
giorni successivi la liberazione il mio problema era quello di trovare un
alloggio ove abitare provvisoriamente con la mia famiglia, compresi i miei due
fratelli che non erano ancora tornati dalla guerra. Questo problema non era solo
mio, perché molti altri concittadini si trovavano nelle stesse condizioni.
Insieme a un amico, mio vicino di casa,
Bosi detto Sbaragnì, che aveva una moglie, due figlie e una zia anziana,
sistemammo l’appartamento di Custent, che si trovava in piazza, sopra al suo
negozio di scarpe, approfittando del fatto che era disabitato. L’appartamento
vuoto era diroccato e siccome Sbaragnì era muratore riuscimmo a sistemare alla
meglio sia il tetto che l’interno, e finalmente potemmo raccogliere tutte e
due le famiglie. C’era
poi il problema di ricominciare a lavorare e, poiché il mio bar era stato
distrutto, mi misi in cooperativa con altri tre baristi nelle mie stesse
condizioni. Aprimmo una rivendita di vino, vermouth e marsala nell’ex negozio
di scarpe di Custent. |
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I miei colleghi erano: Gigiòn, che aveva il ristorante “Stella”, Ciacco, che aveva l’osteria nel palazzo Santoni, e la Nicolina che aveva il bar all’angolo di corso Garibaldi, sempre in piazza. |
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Oltre la nostra rivendita, in piazza vi era il caffé di Frazché, l’unico bar rimasto in piedi. Portammo avanti questa specie di società per qualche mese, finché in agosto arrivarono i miei due fratelli. Cassiano tornò da Bari con la sola divisa militare; il giorno in cui arrivò era stravolto per non aver saputo ritrovare il corso principale che portava a casa nostra: infatti, il paese era solo un immenso campo di macerie, interrotto da un sentiero improvvisato, che portava alle poche case rimaste in piedi sulla piazza. Tornò
anche Mino, con la divisa della 28° Brigata “Gordini”, insieme alla moglie
e a una bambina appena nata: si sistemarono con noi. Entrambi i miei fratelli
dovettero restare, per molti mesi ancora, con indumenti militari, e io con gli
abiti che avevo addosso, non essendo riusciti a salvare niente di quello che
avevamo. |
Si tornava a parlare di politica In
quel periodo si lavorava di giorno e la sera si parlava di politica nelle
sezioni di partito, nelle strade e nelle piazze del paese: finalmente si aveva
la possibilità di confrontarsi liberamente, senza avere paura di essere
bastonati, imprigionati o mandati al confino. Finalmente il fascismo non c’era
più! Gli alfonsinesi discutevano e si confrontavano sui problemi, non certo
pochi, che ogni giorno affioravano e dovevano essere risolti, in un modo o in un
altro. |
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Durante il Ventennio, solo al Cafè d’Cai si era discusso di ciò che succedeva nel mondo, i suoi avventori erano persone che avevano avuto il coraggio di parlare apertamente ed erano molto informate, perché di nascosto ascoltavano i notiziari in lingua italiana trasmessi da radio Londra, |
... Durante il Ventennio, solo al Café d'Cai si discuteva … |
radio Mosca, specialmente durante la guerra. I gerarchi fascisti
del paese avevano evitato, in genere, di entrare nel bar, non volendo
trovarsi isolati tra gente sovversiva, tra gente che guardava
criticamente il regime; ecco perché il Cafè d’Cai era considerato un
covo di antifascisti. Naturalmente chi aveva subito le conseguenze di
quella situazione era la mia famiglia. |
Voglia di ricominciare |
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Il
problema impellente era quello delle numerose famiglie che si
trovavano senza casa. Il mese di maggio era già trascorso, la liberazione d’Italia era avvenuta e nel paese fremeva l’attività politica ed economica. Si costituivano ogni giorno nuove cooperative, che andavano ad aggiungersi a quelle dei muratori e dei braccianti, sopravvissute persino al ventennio fascista per merito di gente come mio padre, Tommaso Pagani (d’Cai), e come Gusté d’Pio, e pochi altri, che avevano impegnato i loro esigui capitali, cioè le proprie |
... si costituivano ogni giorno nuove cooperative, che andavano ad aggiungersi a quelle dei muratori e dei braccianti... (Piazzale
della chiesa nel paese vecchio, all’incrocio con Corso Garibaldi,
durante la ricostruzione)
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abitazioni, per avere un sovvenzionamento dalle banche, e così mettersi in condizione di dar lavoro a centinaia di giovani operai che altrimenti si sarebbero aggiunti alla grande schiera della disoccupazione di quel periodo. | |
Il nuovo piano di ricostruzione |
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Si
parlò subito della necessità di un piano regolatore, che consentisse
al paese di svilupparsi verso nord-est, perché a sud e a ovest era
stretto dai confini troppo vicini dei paesi limitrofi di Bagnacavallo
e Fusignano, oltre che Ravenna, che arrivavano a poche centinaia
di metri dalla piazza. Nonostante l’evidenza di questa necessità,
quelli che abitavano a destra del fiume Senio si opponevano alla
realizzazione del piano regolatore: essi sostenevano la sua inutilità
in quanto esisteva già quello vecchio, per il quale non si doveva
spendere nulla. Invece, per fortuna, la lungimiranza della prima
giunta alfonsinese, capeggiata dal primo sindaco Mario Cassani,
permise di varare e di realizzare il nuovo piano regolatore, che fu
approvato quasi all’unanimità del Consiglio Comunale, salvo i voti
contrari di Lurenz d’Caravit (Lorenzo Servidei), e di pochi altri
che si opponevano. Nel 1945 ad Alfonsine continuò l’espansione delle cooperative in ogni settore produttivo, sulla via tracciata da quei due grandi socialisti che furono Baldini e Massarenti. |
... il nuovo piano di ricostruzione, che fu approvato quasi all’unanimità del Consiglio Comunale... 1948
– La ricostruzione alla sinistra del fiume Senio: via 28° Brigata. ... un piano regolatore, che consentisse al paese di svilupparsi verso nord-est... 1948 - Via 28° Brigata. In alto sulla sinistra si vedono le prime case popolari: la casa detta “dei Reduci” fu la prima ad essere costruita in corso della Repubblica. Piazza
Gramsci 1948:
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La
cooperativa dei muratori durante il fascismo |
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Vorrei
precisare, per amore di verità, che le autorità fasciste alfonsinesi
lasciarono vivere con relativa tranquillità le cooperative dei
muratori e dei braccianti, per due semplici ragioni: la prima è che,
chiudendole, si sarebbero ingrossate le fila dei disoccupati, la
seconda perché c’erano diversi operai con la tessera del fascio che
si erano associati a queste organizzazioni di lavoratori. Infatti, in
occasione dei bilanci della cooperativa muratori era d’uso fare un
grande pranzo nei locali del ristorante "Gallo", adiacente
al mio appartamento e lì, accompagnato da mio padre, avevo avuto
occasione di vedere anche il podestà Marcello Mariani, (tra
l’altro, era il mio insegnante di disegno, all’istituto tecnico di
allora), che tenne il discorso di apertura rallegrandosi per il buon
risultato ottenuto. |
... il podestà Marcello Mariani tenne il discorso di apertura rallegrandosi per il buon risultato ottenuto... |
A
casa di Leo Montanari “Pitadé” A
volte, di pomeriggio, ci si trovava nel palazzo di Ferné, nella stanza della
sede del C.L.N. (Comitato di Liberazione Nazionale), per discutere dei problemi
del paese. Ricordo che durante una pausa tra un argomento e l’altro il parroco
del paese, che era solito partecipare alle discussioni, poneva, non so come, la
questione dell’esistenza di Dio. Don
Liverani era un prete coraggioso, e varie volte aveva rischiato la pelle per
salvare dalle mani delle Brigate Nere persone segnalate come antifasciste; forse
ponendo quest’interrogativo voleva coinvolgere il professor Fichera. Gaetano,
però senza mai mettere in discussione l’esistenza di Dio, poneva domande, cui
non sempre l’arciprete sapeva rispondere. Don Liverani poi se la cavava
molto diplomaticamente ponendo come unica via d’uscita la fede. Finita la
discussione ci si riprometteva di proseguirla in un’altra occasione. |
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Don
Liverani e “don Tonino” |
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Vorrei
raccontare un episodio che successe a Don Liverani, a metà degli anni
’30, nei suoi primi anni da parroco ad Alfonsine: era il giorno del
patrono del paese e, come sempre, si faceva una gran processione,
portando lungo le strade la statua che raffigurava la Madonna. Io
sfilavo in processione nel gruppo dei bambini, davanti al parroco. Al
bar della casa del fascio, c’erano clienti seduti ai tavolini, e
quando passammo, uno solo di loro rimase seduto con il cappello in
testa. Don Liverani fermò la processione e, con fare deciso ma
educatamente, gli fece capire che al passaggio di una processione
religiosa ci si doveva alzare e togliersi il cappello, in segno di
rispetto, e quello lo fece subito. Quel personaggio era l’allora
segretario del fascio di Alfonsine, Tonino Camanzi. Così era Don
Liverani. |
Don Liverani, a metà degli anni ’30, nei suoi primi anni da parroco ad Alfonsine... (Da sinistra: Don Montanari, e’ prit d’Marlén, don Serafino Servidei, Antonio Pattuelli -Patvèl, il sacrestano, don Liverani, al centro in prima fila, don (?) dietro a don Liverani, Lorenzo Servidei, don Bianchedi, Alfeo Minarelli, la signora Mirri, madre di Sidney, e Luigi Randi - Luigiò d’Marén) |
... Al bar della casa del fascio, c’erano clienti seduti ai tavolini... (il secondo da destra: Tonino Camanzi) |
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Io sfilavo in processione nel gruppo dei bambini, davanti al
parroco... |
L’addio
a Gaetano Fichera |
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Dopo qualche mese Gaetano partì per Roma e con lui l’ex suora Giocondiana. Seppi in seguito che i due non continuarono quella loro relazione, forse senza la tonaca suor Giocondiana aveva perso per Gaetano tutto il suo fascino. Gaetano tornò solo nel ’49, per una breve visita; così potei offrire, a lui e agli amici che lo accompagnavano, un caffé nel mio nuovo bar in Piazza Gramsci. |
...
In televisione parlarono del professor Gaetano Fichera indicandolo
come uno dei quattro maggiori matematici del mondo... |
Fu l’ultima volta che lo vidi. Molti anni dopo, nel
periodo in cui gli americani preparavano la spedizione sulla luna,
spesso si assisteva in televisione a delle discussioni su argomenti
scientifici al riguardo, e una sera parlando di scienziati fecero
anche il suo nome: parlarono del professor Gaetano Fichera,
indicandolo come uno dei quattro maggiori matematici del mondo. Verso la metà degli anni novanta, ascoltando il telegiornale della sera udii la notizia della morte dello scienziato Gaetano Fichera. Ne fui molto addolorato. |
...
mentre io compivo vent’anni |
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La società di rivendita alcoolici, che avevamo costituito nell’ex negozio da scarpe di Custént, si sciolse perché ad un certo punto i proprietari rivollero il loro locale. |
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Con mia madre e mio fratello Cassiano accettammo l’offerta di gestire il bar del Partito d’Azione, che si trovava in piazza al primo piano della casa di Leo, una delle poche rimaste in piedi. Questo lavoro ci fu offerto dai giovani di quel partito, che erano tutti miei amici, studenti che avevano ripreso gli studi appena finita la guerra. | |
La domenica pomeriggio si organizzavano intrattenimenti danzanti, grazie al giradischi che Libero Tamburini, giovane aderente al Partito d’Azione, aveva salvato insieme a molti dischi di jazz americano. |
La casa di Leo... I
simboli del “Sol dell’Avvenire” indicavano la sede del Partito
d’Azione, che poi passò al Partito Socialista Democratico |
Quello fu un periodo magnifico: ad Alfonsine ci sentivamo tutti amici, ci si aiutava a vicenda; la preoccupazione di tutti era quella di trovare lavoro e di mettere di nuovo in piedi il paese, che era stato distrutto per il settantacinque per cento. | |
Nel periodo di carnevale di quell’anno (eravamo nel '46) il Partito d’Azione riuscì ad organizzare un grande veglione pubblico, nel palazzo della Casa del Popolo, al primo piano: la sala più grande fu adibita a sala da ballo, e le due di fianco alla scala furono adibite al servizio di bar. Avevamo installato in una piccola stanza il giradischi di Libero Tamburini, mentre tutto il palazzo al primo piano era illuminato da un generatore di energia alimentato da un motore a scoppio. Riuscimmo
a sistemare in breve tempo il tetto del palazzo, che era un po’
dissestato. La sala fu addobbata con festoni di stoffa colorata presi
in prestito da un tappezziere di Bagnacavallo, per renderla
accogliente e in carattere con le serate del Carnevale. Il mio compito
era di fare il disc-jokei, come si dice oggi. Fu un gran
successo nel paese, ma la novità di quelle serate consisteva nel
ballare con musica riprodotta, anziché con un’orchestra dal vivo.
Sono convinto che quella festa sia stata un’anticipazione della
discoteca di oggi. Furono tre serate stupende che ricordo ancora con
piacere. Per animarle qualcuno doveva rimanere fino al mattino, così
facevamo i turni fino alla riapertura della sera dopo, perché il
portone d’ingresso era tutto dissestato e fuori dai gangheri, quindi
era necessario che qualcuno rimanesse a far da guardia alle rimanenze
di pasticceria, liquori e vino. Lucia e Dalma furono le prime
turniste, che sarebbero state sostituite da Eugenio Vistoli
(l’amministratore) e da me, la mattina successiva. La
mia famiglia ed io rimanemmo nella casa del Partito d’Azione per un
breve periodo, fino al famoso Referendum (Repubblica o Monarchia) che,
come si sa, avvenne il 2 giugno del ’46. Ad
Alfonsine pochissimi voti andarono a favore della monarchia. Appena
arrivò la notizia della vittoria della Repubblica ci furono grandi
festeggiamenti nella piazza, nelle strade e nelle sezioni dei partiti,
tutti inneggiavano alla repubblica vittoriosa sulla monarchia, mentre
io compivo vent’anni. ... inneggiavano alla repubblica vittoriosa sulla monarchia, mentre io compivo vent’anni. |