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Miti di Romagna

 

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Secondo Casadei  

di Loris Pattuelli

           Secondo Casadei (1906-1971) è stato il fondatore di una tradizione, un artista rivoluzionario ed autenticamente popolare. Quest’anno compirebbe cent’anni e i festeggiamenti sono in corso. Quelli che non lo amano (pochi) lo ritengono responsabile di tutte le degenerazioni commerciali e del cattivo gusto del liscio. Quelli che lo amano (i più) lo considerano un grande innovatore e si rifiutano di pensare che le colpe del nipote debbano ricadere anche sullo zio. 

         Figlio di un sarto, il nostro eroe scrive nel suo diario che il lavoro del padre gli piaceva abbastanza”, ma poi subito dopo aggiunge: “A tredici anni, quando ebbi modo di ascoltare le prime orchestrine da ballo nelle balere, fui subito preso da una grande passione per la musica ed il giorno dopo cantavo i motivi della sera precedente, facevo la parte del clarino a voce, imitavo con due bastoncini i movimenti del violino, mentre i miei genitori mi guardavano con una certa meraviglia e anche con una certa soddisfazione”. 

         Secondo Casadei ebbe la sua prima scrittura come violinista a sedici anni e poi, a ventidue, si mise in proprio e fondò la sua prima orchestra. Dopo la fine della guerra, c’era una gran fretta di ricostruire, ma anche una gran voglia di divertirsi, e nella sua testa c’era sopratutto tanta musica da salvare, da reinventare, da regalare ai ballerini più appassionati. “E bsogna dej”, diceva. Il clarino ti fa dei bei ricami, la fisarmonica è tutto un voltare e rivoltare, ma chi fa davvero schiodare i piedi dei ballerini è la retrovia del palco, è la chitarra, insieme con la batteria e il contrabbasso. 

         Questo lo aveva imparato dagli americani, dalle big band del jazz e dagli artisti del musical. Gli americani lui li capiva, li amava e li conosceva come nessun altro. La gente andava matta per il boogie-woogie e di valzerini non voleva proprio sentir parlare. Il re era Glenn Miller e Il bel Danubio blu era meglio lasciarlo chiuso in casa. Adesso si fa presto a dirlo, ma per sconfiggere il boogie con le sue stesse armi ci voleva soltanto un romagnolaccio testardo e geniale come Casadei. Bisognava avere le idee chiare, e poi anche la pazienza di un santo e sopratutto una gran voglia di rivoltare il mondo intero come se fosse un calzino. Altro che tradizionalista, la sua musica fu rivoluzionaria come il jazz, sospetta come il blues e trascinante come il soul. 

         “Babbo ascoltava tutta la musica”, dice sua figlia Riccarda, “e la amava tutta”. Negli anni sessanta tornò a casa con un LP straniero. “Questi Beatles hanno scritto una bella canzoncina” e mise in repertorio Yellow Submarine. Dice ancora Riccarda: “lui la chiamava solo musica romagnola, ma non la considerava diversa dalle altre”. 

          Liscio è una parola che non gli piaceva e che non ha mai usato. “Io i ballerini li faccio volare, mica strisciare per terra”. Castellani, suo biografo ufficiale, rincara la dose: “Lo chiamano ballo liscio perché si balla strisciando i piedi sulla pista della balera. Ma quando mai! I piedi volano, saltellano, punta e tacco, audaci giravolte e imprevedibili figure come in un film di Gene Kelly, anzi meglio! 

          ROMAGNA MIA è oggi la quarta canzone italiana più ascoltata nel mondo, dopo O sole mio, Quando-quando e Volare. ROMAGNA MIA è l’inno della nostra terra. 
Difficile, molto difficile non amarlo. La musica è bella, ma il testo è proprio scarso ed alquanto bruttarello. Come ha scritto recentemente Michele Serra su Repubblica, “ci vorrebbe qualche paziente scrittore di versi che, piegandosi umilmente alle esigenze del rattarattarà, provasse a onorare la musica popolare romagnola come merita. La Romagna ha grandi poeti come Baldini: il liscio è ancora in cerca di autore”.

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