INTERVISTA
Daphne
Di Cinto: un’alfonsinese
a New York
e poi a Londra
Da
Alfonsine all’Actors Studio
di
Luciano Lucci
Daphne
Botti (in arte "Di Cinto") di Taglio Corelli, frazione di Alfonsine, ha appena frequentato
un master di recitazione a New York presso l’Actors Studio.
è
una splendida ragazza, determinata a seguire la sua
vocazione di attrice, coraggiosa nel buttarsi sempre oltre
l’ostacolo, capace di mettersi in gioco e disposta a perdere
qualcosa già raggiunto. Dall’Istituto del Sacro Cuore di Lugo, alla
‘fuga’ a Roma, dove frequenta la “Scuola di Cinema” e ottiene
alcune parti minore in qualche fiction italiana. Poi barcamenandosi
tra i contrasti con i genitori e alcune fortunate coincidenze approda
prima a Parigi poi… a New York.
INTERVISTAdi
Luciano Lucci tenuta davanti al cinema Gulliver di Alfonsine
mercoledì 17 ottobre 2012
Il
tuo nome vero è Daphne Botti, alfonsinese dalla nascita, figlia di una
famiglia di coltivatori diretti che lavorano e abitano ancora a Taglio
Corelli, come mai ora ti fai chiamare Daphne Di Cinto, almeno così si deve
scrivere se si vuol trovare qualcosa di te in Internet
“Di Cinto… perché? Avevo uno zio, fratello di mio padre, che si
chiamava Giacinto e che tutti chiamavano ‘Cinto’, ed era l’unica persona
della mia famiglia che pensasse veramente che io potessi fare questo lavoro.
Daphne
Di Cinto con l'intervistatore, suo ex professore di matematica e scienze alla
Scuola Media di Alfonsine,
davanti al cinema Gulliver di Alfonsine
mercoledì 17 ottobre 2012
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Era appassionato di opera, di teatro, di arte in generale. Abitava anche lui a
Taglio Corelli. Morì in un incidente stradale quando io avevo 17 anni. In
America il mio cognome Botti suona strano, il modo in cui viene pronunciato…
loro dicono ‘Body’, che significa ‘Corpo’, e a me non sembra il caso,
suona male, quindi ho pensato di assumere un nome d’arte e così ho deciso
per Daphne Di Cinto, perché ogni volta che faccio qualcosa penso sempre
che a mio zio sarebbe piaciuto tanto essere qui a vedermi, e ho sempre
l’impressione che io abbia l’angelo protettore per tutte queste cose belle
che mi stanno succedendo.”
Sei
stata mia allieva per tre anni alla Scuola Media di Alfonsine, era il 1999..
poi non seppi più nulla di te.
Dopo
la terza media sono andata a scuola al Sacro Cuore a Lugo, Istituto Tecnico Commerciale per
Periti Aziendali e corrispondenti in
lingue estere, 5 anni: contro la mia
volontà perché io sarei voluta andare a Ravenna a fare lo stesso corso che
era'Ragioneria
e linguistico', ma io volevo andare in una scuola pubblica, dove andavano
tutte le mie amiche, e invece mio padre mi costrinse ad andare in una scuola
privata, perché naturalmente pensava che fosse più seria
e che le persone si applicassero di più.
“… ma la cosa bella è che al Sacro Cuore c’è un teatro, proprio
dentro alla scuola, dentro al convento, perché la scuola è nel convento, e
c’è questo teatro enorme che utilizzano pochissimo, e la mia era una classe
piuttosto scalmanata.
Scuola
Media "A. Oriani" di Alfonsine. Fine anno scolastico
1998-99: foto della classe III-B
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Così La professoressa di Italiano, Pierangela
Ravagli,
ci avviò a fare teatro. Io comunque ho sempre amato leggere, mi è sempre
piaciuto molto quando ero piccola piccola inventare e scrivere delle storie.
Alla scuola media avevo fatto le piccole recite di fine anno, e comunque è
sempre stata una cosa che mi è piaciuta abbastanza. Amavo molto i classici…
Io mi ricordo quand’ero a scuola qui ad Alfonsine, tutti i bambini giocavano
durante la ricreazione io mi mettevo in un angolo a leggere, ero vista come
una povera reclusa. Poi pian piano alle medie sono diventata un po’ più
socievole.
Al
Sacro Cuore ho iniziato a fare teatro, un teatro legato ai temi della
letteratura, così la professoressa tentava di farci anche studiare. Abbiamo
fatto uno spettacolo su Shakespeare… Io già di mio adoro Shakespeare, io
dico che ho una relazione platonica con Shakespeare, già io lo leggevo a casa
per i fatti miei, lo leggevo a voce alta, l’ho sempre fatto. La mia passione
per la recitazione è nata con Romeo e Giulietta. Adoravo quell’atmosfera e non ho più potuto farne a meno.
Quando recito sul palco o davanti a una telecamera cerco di lasciare un pezzo
di me stessa: più riesco a dare, più mi sento soddisfatta. Insomma abbiamo iniziato a fare
questo spettacolo, a fare le prove, tutto quello che c’è dietro al mettere
in scena un qualcosa. Ho iniziato ad innamorarmi del teatro, anche perché sul
palcoscenico stavo bene, era proprio ‘il posto’ dove stavo bene!"
Be’!
L’essere andata alla scuola privata, e per di più dalla suore, ha segnato
una svolta nella tua vita…
“Sì,
credo proprio che la scelta fatta dai miei genitori sia stata capovolta,
insomma è successo forse il contrario di quello a cui loro avevano puntato.
Era quello il mio destino. Lì ho capito quello che volevo fare. La mia
professoressa di lettere mi spinse tantissimo e ancora oggi lo fa".
Intanto
lavoravo, facevo la cameriera in un locale latino americano il “Caruso café”
al quartiere Testaccio, così mi mantenevo un po’ e pagavo
l’affitto.
Poi
ci fu un nuovo intervento della famiglia, che ancora una volta
involontariamente, ti portò sulla strada del cinema.
“Il
secondo anno in cui ero a Roma mio padre mi propone una tregua e mi dice se ti
iscrivi all’Università io ti pago l’affitto, e io ho accettato. Mi ero
veramente stancata di lavorare dalla mattina alla sera e in più studiare.
Mi
sono iscritta a Scienze della Comunicazione a Roma. Ho iniziato e ho vinto una
borsa di studio Erasmus per andare a Parigi. Così ho passato sei mesi alla
Sorbonne, alla Facoltà di Cinema, e dato che avevo tanti esami sul cinema da
dare, andava benissimo.
L’ultimo
giorno prima di ritornare a Roma vidi una signora che usciva dal mio
condominio, una signora che io vedevo sempre quando andavo a correre, e lei
andava a far passeggiare il cane. Aveva tantissime valigie e la cuccia del
cane. Allora le dissi senza che ci fossimo mai parlate prima ‘Che fai ti
trasferisci?’ E lei rispose ‘Scusami non parlo francese’. Così le
chiesi in inglese se si stava trasferendo, e lei mi rispose che stava partendo
per Roma. ‘Anch’io domani torno a Roma. Che cosa vai a fare a Roma?’ ‘Faccio
un workshop di recitazione’. Così iniziammo a dialogare e mi disse che era
di New York.
Io
in quel periodo, dato che non avevo fatto nulla in Francia riguardo alla
recitazione, pensavo che mi sarebbe piaciuto andare in una scuola di
recitazione di New York, di cui avevo sentito parlare bene, The Lee Strasberg
Theatre and Film Institute, e quindi le chiesi se la conosceva e lei mi
rispose che aveva insegnato lì per un sacco di anni. Stupefatta le chiesi il
suo indirizzo email. Lei gentilissima me lo diede e mi invitò a questo
workshop a Roma, dove sarei stata la benvenuta.
Io
non le avevo neppure chiesto come si chiamava e dalla mail non si capiva né
qual era il nome né il cognome. Dopo un po’ di tempo le scrissi quali erano
i miei progetti, cosa mi sarebbe piaciuto fare e lei mi rispose gentilissima
spiegandomi tutto del suo lavoro, e poi la firma: Elizabeth Kemp.
Io
vado su Google e scrivo questo nome e mi viene fuori che è il Direttore
Artistico Associato dell’Actors Studio di New York.
Sono
rimasta a bocca aperta. Questa persona aveva abitato due appartamenti sotto il
mio e io non sapevo chi fosse. È stato veramente strano. Così continuo a
scriverle e lei mi dice che avrebbe fatto un altro workshop di recitazione a
gennaio, e di contattare la sua assistente. Io contatto e a gennaio faccio
questo workshop di recitazione con lei a Roma. Mi trovai benissimo, era un’insegnante
fantastica. Io sapevo ancora molto poco di come funzionava là a New York,
quindi alla fine del workshop, dato che mi ero messa in testa di andare a
studiare al The Lee Strasberg Theatre and Film Institute, le chiesi una
lettera di referenze, perché là ogni volta che devi entrare in una scuola
vogliono lettere di referenze, vogliono tantissima documentazione. Lei mi dice
‘Daphne, io te la scrivo una lettera di referenza, però secondo me tu
dovresti venire a New York e guardare un po’ le scuole che ci sono in giro
perché ci sono scuole molto migliori della Lee Strasberg’. Imparai così
che in America non è come in Italia che chi vuol fare l’attore va a fare la
scuola di recitazione qua e là. In America il lavoro dell’attore implica
andare all’Università, per cui studi e devi impegnarti. Ci sono dei
veri e propri corsi universitari di Arte Drammatica, con indirizzo di
recitazione, regia, sceneggiatura.’
Comunque
a New York uno dei corsi possibili è la ‘laurea in recitazione dell’Actors
Studio’, che è l’unica scuola dell’Actors Studio. Andai a Parigi, dove
si tenevano i provini per entrare alla scuola dell'Actors Studio. Dopo il
provino mi arrivò la lettera in cui mi avevano accettato.
Avevo
rimasto nove esami da dare all’università a Roma. Mi sono chiusa in casa
per sei mesi e ho dato tutti i nove esami. Lo studio che dovevo fare era un
master e per farlo occorreva una laurea triennale. Se io non avessi preso la
laurea triennale, che da loro è chiamata ‘undergraduate’ e poi si
fa il master, io non avrei neanche potuto farlo. Così ho finito in fretta e
furia a Roma e mi sono trasferita a New York.
A
Roma avevo iniziato a lavoricchiare, avevo un agente… un paio di volte mi
sono fatto la domanda “Sto facendo una cavolata?” Però io ho sempre avuto
il mito dell’Actors Studio, adesso che sono arrivata qui che faccio,
mollo?.. no! E quindi ho lasciato tutto di Roma e me ne sono andata.”
E
i tuoi genitori a questo punto?
I
miei genitori ormai che cosa potevano fare, mi hanno data per persa. La
reazione di mio padre: ‘Papà mi hanno accettato al master dell’Actors
Studio di New York’.
‘Ma per favore…' chiude la porta e se ne va. Lui ha sempre pensato che
alla fine non avrei combinato niente, che dovevo fare chimica come ha fatto
lui, perché recitazione non serve a niente. Però negli ultimi anni vedo che
si sta ricredendo. Mia madre, a questo punto, diciamo che ci ha fatto ‘il
callo’.
L’Actors
Studio in sé è un’organizzazione di attori professionisti che lavorano
insieme per migliorare la propria arte. A volte mettono su degli spettacoli,
è un po’ la palestra dell’attore e bisogna diventare ‘membro’ per
farne parte e per diventare membro ci sono una serie di audizioni. Una volta
che hai fatto questa serie di audizioni sei membro a vita. Loro si incontrano
normalmente due volte a settimana e gli attori che hanno bisogno di lavorare
su un pezzo presentano il pezzo su cui hanno lavorato e tutti insieme
discutono con gli altri artisti (sceneggiatori, registi oltre che attori) e si
vede come si può migliorare. Questi sono i professionisti. Ora come ora i
direttori dell’Actors Studio sono Al Pacino, Harvey Keitel, e Ellen
Burstyn. Quelli che stanno lavorando di solito non sono presenti perché sono
sul set o fanno le prove da altre parti. Però in genere c’è uno stuolo
notevole di attori professionisti a cui ci si deve inchinare. La cosa bella
dell’Actors Studio è che lì la recitazione è considerata veramente un’arte.
In altri posti mi dicono, perché io non ci sono mai stata, per esempio a Los
Angeles, tutto sia molto più superficiale, perché le scuole guardano più
alla quantità che all’arte, mentre l’Actors Studio è il posto che guarda
all’arte, e ha come obiettivo lo sviluppo del tuo personaggio, a come puoi
migliorare, a come essere sempre meglio. Quindi l’Actors Studio, un po’ di
anni fa, ha aperto la scuola dell’Actors Studio: c’è un corso master in
cui si può studiare recitazione regia e sceneggiatura. Per entrare in questa
scuola bisogna fare un provino, la scuola dura tre anni e alla fine di questi
tre anni sei considerato un finalista per l’Actor Studio vero e
proprio, ovvero hai un anno per assistere alle sessioni insieme a tutti questi
attori professionisti, anche se tu non puoi parlare, ma solo assistere e
osservare. Però puoi lavorare, per cui se uno degli attori ti chiede di fare
una scena con lui lo puoi fare. È un’occasione fantastica, perché uscendo
da questa scuola ti ritrovi sul palcoscenico dell’Actors Studio dove hanno
camminato i più grandi del teatro e del cinema e stai recitando davanti a
mostri sacri come Ellen Burstyn.
Questa
scuola è una scuola di vita al centro del mondo.
Allora
a che punto sei arrivata?
Ho finito i
tre anni di master a maggio, sono entrata nel 2009. Adesso sono
finalista, cioè ho un anno in cui posso assistere e andare a lavorare
all’Actors Studio. Durante quest’anno io devo preparare un provino,
se passo questo ultimo provino divento membro dell’Actors Studio.
Non è
facile perché davvero sono livelli stratosferici, però sono fiduciosa.
Nel
frattempo però ho letto che hai fatto delle attività in campo teatrale.
Ho
appena debuttato in uno spettacolo off-Broadway a New York, che è stato
prodotto dalla scuola dell’Actors Studio per la fine del triennio. E il mio
spettacolo si chiamava “Pizza Man”, una commedia scritta da un’autrice
californiana Darlene Craviotto. È una di quelle commedia che fanno pensare.
È la storia di due ragazze abbastanza disturbate dall’inadeguatezza a come
la società vuole che siano. Il messaggio è questo: la società vuole che tu
sia così e per questo la tua vita viene condizionata.
È
una commedia perché il modo in cui il tema viene trattato è ilare e la
storia è questa praticamente: il mio personaggio Alice ha disturbi
alimentari è bulimica, è nevrotica, ha una storia con un uomo sposato,
e all’inizio della commedia quest’uomo la lascia per tornare dalla
moglie.
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Quindi lei torna a casa in condizioni pietose e inizia a buttare
fuori di casa tutte le cose che lui gli aveva regalato. Dall’altra
parte c’è Julie, l’altra ragazza che è alcolizzata, è reduce da
un matrimonio disastrato, e scopre che il marito era gay, ed è appena
stata licenziata. Quindi tutte queste cose messe insieme crea questa
situazione che diventa la situazione comica. Queste due ragazze, gira
che ti rigira, cosa facciamo cosa non facciamo, è tutta colpa degli
uomini, decidono di violentare un uomo. E dato che il mio personaggio ha
fame e deve mangiare perché se non mangia non sta bene chiamano il
ragazzo delle pizze.
E il ragazzo delle pizze
si trova coinvolto in questa situazione. Diventa tutto un crescendo fino
alla fine. Questa commedia è stata presentata ad aprile 2012 a New York
in un teatro della downtown Manhattan: The Theatre at Dance New
Amsterdam, e ha riscosso un buon successo del pubblico.
Tu
hai fatto tutta la trafila e adesso sei lì, in
partenza per New York
Ho
appena avuto risposta positiva alla domanda per il visto lavorativo, un visto
che mi permette di lavorare in campo artistico. Non è facile averlo, perché
hanno degli standard molto alti. Ora parto per New York: lavoro, lavoro e
lavoro. Dopo è fatta. Il mio agente ha detto ‘c’è questo, questo e
questo, e tant’altro in ballo per cui tu andresti benissimo’. Le serie
televisive ora sono quelle che danno più lavoro a tutti, poi c’è un
mercato per quanto riguarda il cinema indipendente, che in Italia nemmeno
arriva. Ci sono dei Festival come il Sundance Film Festival che sono una meta
da raggiungere per questi film. La cosa bella di New York e comunque dell’America
e di questo business è che le persone che lo fanno sono professionisti, e lo
fanno in maniera professionistica. Non prendono la prima persona che non ne ha
un’idea e gli dicono OK fai. No, vogliono gente capace oppure ti spediscono.
Ho
un buonissimo agente e un buon manager, che è una cosa molto difficile. Ci
sono persone, attori molto bravi che abitano lì da dieci anni e non hanno mai
trovato un agente. Lui è la persona che ti manda ai provini e spinge perché
tu sia preso. Deve essere sicuro di aver preso la persona giusta da lanciare,
in modo poi da averne anche un ritorno economico. Da qui in poi è tutto
quello che noi vediamo in TV, cose come Law and Order, C.S.I., tutte le serie
televisive. La metà delle persone che conosco è stata su Law and Order.
È
strano quando sei qui ad Alfonsine e li vedi in TV è tutto così lontano,
quando sei là ci sei dentro!
Quindi
tu ora parti per New York, ma non devi già avere il lavoro?
No…
devo avere uno sponsor. Il mio sponsor per esempio è il mio agente, che
dichiara ‘io farò lavorare questa ragazza’.
Ma
finora come ti sei potuta mantenere… non potendo lavorare?
Finora io avevo un visto studente e non potevo lavorare. New York è una
delle città più costose del mondo. Dove abitavo e dove abito è un
appartamento a una sola stanza che abbiamo diviso in tre parti con del
cartongesso per cui paghiamo un terzo di quello che pagherebbe una persona
sola. Mi piace comunque tornare d'estate ad Alfonsine a lavorare per mio
padre, guadagnare qualcosa o restituire quello che mi anticipa. Dopo un anno
di città, ho bisogno di staccare un po’.
A New York ci sono, come nelle classiche scene di film, tutte
quelle persone che ti vengono incontro, e se uno non ha un po’ di energia,
un po’ di forza, va a sbattere. Quando mi accorgo che nonriesco
più a schivare le persone mi dico OK è ora che ritorni un po’ in campagna.
Quest’anno però ho preferito lavorare nei campi. Ci voleva. Stare a
contatto con la terra. Ho fatto anche il vino.
Insomma
la storia che ci hai raccontato finora sembra una favola...
Sì…
le coincidenze poi. Ogni tanto quando ci penso… se io quel giorno a Parigi
non parlavo con questa persona e non le chiedevo “Ti trasferisci?”, io a
quest’ora chissà dov’ero, ma non ero qui. Elizabeth Kemp è il mio
mentore e anche una persona a cui voglio molto bene.
Quali
sono le tue aspettative?
La
cosa bella di New York, e comunque dell’America, e di questo business
è che le persone che lo fanno sono professionisti, e lo fanno in
maniera professionistica. Non prendono la prima persona che non ne ha un’idea
e gli dicono OK fai… No vogliono gente capace oppure ti spediscono…
Bè,
la storia è continuata e ora (2021) sta per uscire un suo film scritto e
diretto
da lei
Dopo
che ha recentemente interpretato un ruolo in Bridgerton, una serie
famosa su Netflix,Daphne Di Cinto ha completano
le riprese del cortometraggio
“Il Moro”.
Le
riprese del sono state girate nelle rocche di Imola e Dozza. Scritto e diretto
da Daphne Di Cinto, vede protagonisti Paolo Sassanelli (vincitore Nastro
d’Argento per “Song’e Napule”), Alberto Malanchino (Doc-Nelle Tue
Mani) e l’esordiente Andrea Melis.
L’opera porta alla luce la figura di Alessandro de’ Medici, protagonista
di un’importante pagina della storia italiana.
Figlio
di papa Clemente VII e di una donna nera serva in casa Medici, Alessandro
diventa il primo duca di Firenze e tra i primi afro-discendenti a ricoprire un
ruolo politico di rilievo già nell’Italia rinascimentale.
La
produzione del cortometraggio è affidata a Onda Film, la
colonna sonora originale è curata da Lorenzo Tronconi, finalista Italia’s
Got Talent 2019.
Il tutto con il sostegno di Amnesty International
Italia
ALESSANDRO
DE' MEDICI
Orgoglioso,
intelligente e attento. Figlio illegittimo di un membro della famiglia Medici
e di una donna africana in schiavitù, viene successivamente riconosciuto
grazie alle pressioni di Giulio de' Medici (futuro Papa Clemente VII), suo
vero padre.
Eppure è Lorenzo de' Medici Duca di Urbino ad essere ufficialmente suo
padre… le voci che inizia a cogliere e il soprannome che gli viene
conferito, Il Moro, contribuiscono alla lotta interiore per trovare ed
accettare la sua identità, così come vi contribuisce il costantericordo che
la sua inclusione nella famiglia è puramente basata sul bisogno pratico di
assicurarsi un erede. “Fortunato bastardo”: se lo sente dire regolarmente
e non in maniera affettuosa. Lui era un bastardo a cui la fortuna aveva
sorriso e non gli avrebbero permesso di dimenticarlo. Ogni suo passo, non
importa se giusto o sbagliato, è
motivo
per mettere in dubbio il suo far parte della famiglia. In ogni modo, contro
ogni previsione, Alessandro diventa il primo Duca di Firenze e
conseguentemente il primo capo
di stato nero nella storia moderna dell'Europa occidentale.
Ritratto
di Alessandro de' Medici, duca di Firenze ad
opera di Agnolo Bronzino, dipinto
a olio,
16 cm x
12,5 cm, 1565-1569 circa, Galleria
degli Uffizi, Firenze
LE
POLEMICHE
CONTRO QUESTO FILM
SONO
GIà SCATTATE
“Indagando
sul duca per le strade di Firenze un uomo mi rispose: “sì lo sappiamo che
era mezzo nero, ma non dovremmo saperlo” -
spiega la regista e scrittrice della storia Daphne
Di Cinto -.
L’appartenenza
all’Italia non dovrebbe essere questione di colore.
Da
Afroitaliana sono cresciuta senza avere un personaggio storico di riferimento
in cui mi vedessi rappresentata, che appartenesse alla storia del mio Paese.
Eppure Alessandro c’è sempre stato, almeno per gli scorsi 500 anni”.
I
CRITICI SOSTENGONO CHE STORICAMENTE non c’è alcuna prova che la madre di
Alessandro fosse una mulatta e che tutta la storia è strumentalizzata
a fini identitari dei neri e della loro rappresentanza afro-italiana.
Cosa
risponde
Daphne
Di Cinto?
"Il nostro Alessandro é
mixed-race, figlio di Giulio de Medici e di Soenara di Collevecchio, una donna africana in schiavitù in famiglia Medici"
Daphne racconta che I'dea del film
è nata casualmente. A partire da una ricerca si é imbattuta in un articolo in cui si parlava dell'origine africana dell'ex signore di Firenze. Di Cinto, sorpresa di questa notizia ha iniziato ad approfondire le sue ricerche; arrivando ad esserne
"ossessionata",
dice lei. Da questa ossessione
è nata la stesura della storia e col tempo è nato il progetto "Il Moro".
Parliamo di un film che ritrae la storia di Alessandro de Medici che nacque schiavo fino a diventare il primo signore di Firenze. Dimostrò di esser degno del potere relegatogli a prescindere dalle sue origini. E' certamente una vicenda interessante.
La
Rocca di Imola
Daphne evidenzia preliminarmente che il tutto é partito dall'istinto
materno: pensando al mondo in cui avrebbe concepito una creatura. Ha iniziato a ricordare la sua infanzia, rammentando che sua madre e lei stessa erano le uniche donne nere del paesino in cui viveva. "Se io da piccola avessi saputo questa cosa (che Alessandro de Medici era nero come
me), come sarebbe stato diverso il mio percorso identitario? Come mi avrebbe influenzato diversamente?" si chiede Daphne.
E' questo il motivo per cui il progetto é veramente rilevante.
Nella
foto l’articolo-Intervista a Daphne Di Cinto sul quotidiano “La Stampa”
del 2 ottobre 2021
Nel
2022, "Il Moro" ha vinto il Premio come Miglior Cortometraggio
Italiano dei Fabrique du Cinema Arward e al Festival dell'Integrazione di
Bergamo. L'articolo qui di fianco è apparso sul Resto del Carlino il 28
maggio 2022.