Aldo Ravaglia da giovane
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Aldo Ravaglia era nato ad Alfonsine nel 1895. Il padre era soprannominato 'e
pargaròl' perché aveva una bottega sotto l'argine del fiume Senio dove costruiva abilmente degli aratri;
('e pargher' è il nome dialettale dell'aratro, che deriva da pertica, asta, timone dell'aratro). Aldo crebbe perciò in un ambiente che lo educò alle discipline tecniche e che lo spinse a ottenere un diploma alla
scuola superiore.
Lo scoppio della prima Guerra Mondiale lo obbligò a interrompere gli studi: trascorse tutto il periodo dal 1915 al 1918 prima in fanteria e poi come artigliere a Venezia.
Terminata la guerra si iscrisse all'Università di Bologna: Facoltà di Ingegneria. Là si distinse per intuizioni geniali e inventiva, tanto che fu ammesso al ristretto Club degli Inventori da cui ricevette anche una medaglia d'oro. Non arrivò ad ottenere la laurea, ma gli studi compiuti gli avevano dato una buona base teorica che gli servì per le sue future realizzazioni.
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La passione per gli aerei
Le imprese aeree di Lindbergh e di Cesare Balbo dei primi anni trenta gli fecero nascere la passione per gli aerei. Iniziò a avvicinarsi
all'aeroclub della Spreta a Ravenna col progetto chiaro in testa di costruire un prototipo di aereo. Dopo lunghe osservazioni, calcoli, misurazioni che non lasciano scampo all'improvvisazione e al dilettantismo iniziò il lavoro di costruzione. Prese in affitto da Luigi Randi
(Luigiò) uno spazio del magazzino che si trovava nel grande edificio detto "e Cantinò", dove
oggi (marzo 2017) c'è il Conad-Margherita e la pizzeria-ristorante "Le
Tradizioni di Nick" in Corso Garibaldi.
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Aldo Ravaglia col suo aereo
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Le poche fotografie esistenti del velivolo che riuscì a costruire mostrano una notevole accuratezza: il portello d'accesso è sul lato sinistro. Stando alle testimonianze raccolte si sa che era rivestito in parti di alluminio nella parte anteriore del "muso", mentre il resto in legno era rivestito di tela verniciata in rosso con finiture bianche. Le ali anch'esse rivestite in tela erano invece di colore azzurro chiaro. Il motore era un A.D.C. Cirrus inglese da 85 cv con quattro cilindri in linea. L'insieme appariva come una realizzazione dalle linee armoniose e gradevoli.
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L’aereo, appena uscito dal laboratorio di Corso Garibaldi:
il cortile è quello dove oggi (marzo 2017) c'è il
Conad-Margherita e la pizzeria-ristorante "Le Tradizioni di Nick"
in Corso Garibaldi.

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Il
documento di immatricolazione
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La gente in paese dimostrò uno straordinario interesse per l'avanzamento di questa costruzione: in molti assistettero alle varie uscite del velivolo dall'officina, per le prime prove di messa in moto. Il nome che Aldo diede all'aereo fu quello del padre: e
pargaròl. L'aereo fu portato all'aeroporto della Spreta, ma il Ravaglia non gradì le attenzioni che la Regia Aeronautica ebbe per l'aereo. Volevano copiarne le soluzioni innovative, smontarne le ali e portarle via... Aldo riportò a casa l'aereo.
Niente tessera, niente fabbrica
Cominciarono qui le prime avvisaglie che qualcuno non lo vedeva di buon occhio. Aldo
Ravaglia, che ormai aveva ereditato il soprannome del padre, fece domanda per produrre in serie il velivolo e impiantare una fabbrica ad
Alfonsine. Lo chiamarono alla Federazione fascista di Ravenna dove gli dissero che proprio per le sue benemerenze era già stato iscritto d'ufficio al partito e che questa era la condizione necessaria per poter dar avvio al suo progetto. Al che il Ravaglia - come ha raccontato suo figlio Eligio - chiese di vedere l'elenco e, quando gli fu mostrato, estrasse con calma dal taschino la penna e tirò una riga decisa sul suo nome, affermando che a quelle condizioni non ci stava. Ringraziò tutti, salutò e se ne andò. In seguito tentò varie strade per ottenere i permessi di costruzione: mandò l'aereo all'aeroporto di Bologna, dove fu sottoposto a varie prove di volo con lo scopo di ottenere una regolare immatricolazione e il Certificato di navigabilità.
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I piani di coda in costruzione: sono evidenti l’eleganza del disegno e l’accuratezza del lavoro |
Ma qualcosa non andò per il verso giusto, l'aereo subì anche qualche tentativo di manomissione e danneggiamento. Il Ravaglia si convinse che c'era chi non lo vedeva di buon occhio, e le idee socialiste delle quali non faceva mistero furono il muro contro cui si schiantò l'idea di costruire una fabbrica di velivoli ad
Alfonsine. Da lì in poi l'azione sottile di propaganda fascista riuscì a mettere in ridicolo l'opera d'e
pargaròl, facendo circolare battutine ridicolizzanti, tanto da farlo apparire all'opinione pubblica alfonsinese come l'inventore pazzo che aveva fatto un aereo che mai volò, e
"c'l'andeva a carbunèla" (andava a carbonella).
Una fabbrica inglese lo cercò
Durante il fronte l'aereo, fu ricoverato sotto un capannone.
Mitragliamenti e colpi d'artiglieria bersagliarono in continuazione quello che forse era stato scambiato per un velivolo militare da qualche ricognitore inglese. Nel '44 ci fu poi anche la rotta del fiume Senio e così dell'aereo non rimasero che pochi rottami. Anche tutta la documentazione andò persa quando i tedeschi fecero saltare la casa, già abbandonata dai
Ravaglia, costretti a sfollare. Eppure quei rottami non passarono inosservati a qualche ufficiale inglese di passaggio in questa zona. A fine guerra nel 1946 un ufficiale inglese, il tenente colonnello Wrosky - secondo i ricordi del figlio Eligio - che aveva riconosciuto il motore Cirrus e ritenendo che fosse appartenuto a un velivolo inglese si presentò a casa del Ravaglia chiedendogli di consegnargliene i resti. Venne così a conoscere tutta la storia dell'aereo, tanto che propose al Ravaglia di trasferirsi in Inghilterra come progettista presso la ditta De
Havilland. Aldo rifiutò, ma due anni dopo quell'ufficiale ritornò all'attacco rinnovandogli l'offerta, pronto a far trasferire a Londra lui e tutta la sua famiglia.

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Ma i sogni aeronautici di Aldo Ravaglia erano definitivamente tramontati, dato che gli avevano riservato solo amarezze e delusioni: egli ancora una volta scelse di non accettare una proposta certamente allettante dal punto di vista professionale ed economico, ma che avrebbe comportato per lui un prezzo troppo alto: rinunciare al suo mondo, all'ambiente in cui era cresciuto e nel quale sentiva di avere radici profonde, e in qualche misura rinunciare forse anche alle sue idee. Troppo per un uomo poco avvezzo ai compromessi, uno che i suoi traguardi li ha raggiunti contando sempre e solo sulle sue forze, sulla sua tenacia e sulle sue intuizioni. Morì a 78 anni nell'estate del 1973.
Oggi Alfonsine avrebbe potuto avere una fabbrica di velivoli: la "Officina Ravaglia Fabbrica di Velivoli", ma... il destino e la storia hanno detto no.
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Qui
sotto un
articolo a lui dedicato
tratto
dalla rivista
"Il Romagnolo"
(n°99
- Dicembre 2010)
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