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Quando la torre dell’acquedotto di Alfonsine 

crollò su sé stessa

di Luciano Lucci

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... visto a distanza sembrava una vettore spaziale pronto sulla torre di lancio....

 

L’attuale acquedotto di Alfonsine è stato sottoposto nel 2005 a un lifting che ha incuriosito molti alfonsinesi. L’enorme imbragatura che l’avvolgeva era conseguenza di lavori di manutenzione straordinaria che la ditta Hera stava attuando: visto a distanza sembrava una vettore spaziale pronto sulla torre di lancio.
Incuriosito di tali lavori chiesi in giro di che cosa si trattasse: così casualmente parlando con il sig. Vittorio Pagani, già sindaco di Alfonsine, seppi che fu proprio su sua segnalazione che la Ditta Hera aveva avviato i lavori: memore, proprio lui, di quando, sindaco di Alfonsine nel lontano agosto del 1964 vide la torre dell’acquedotto, appena costruita, schiantarsi al suolo, accartocciandosi su sè stessa, di colpo, in pochi attimi.

 

I cittadini di Alfonsine che guardano anche in alto avevano potuto notare, lungo i pilastri di sostegno, alcune screpolature e diversi pezzi di cemento di rivestimento staccati, tanto da mostrare le barre di ferro interne al calcestruzzo.  Qualcuno si era chiesto se ci fosse stato il pericolo che quelle aste di ferro potessero arrugginire e deperire. Alcuni dipendenti della Cooperativa Edile di Alfonsine, che all’epoca costruì per la seconda volta la torre dell’acquedotto,  dissero che ce ne avevano messo talmente tanto di ferro, vista la fine ingloriosa del primo lavoro, che già allora affiorava a pochi centimetri dal rivestimento esterno. Tranquillizzato sul versante “rischio-nuova-caduta-acquedotto”, ne volli sapere un po’ di più sulla storia del primo acquedotto che miseramente implose su sé stesso.

Dopo una breve ricerca tra i verbali del consiglio comunale dell’anno 1964, (grazie alla paziente collaborazione dell’archivista comunale Maria Dall’Osso, mia fata turchina per le ricerche su Alfonsine del passato) e dopo i racconti dell’ex-sindaco Vittorio Pagani, eccovi la storia di quel fatto.

Correva la seconda metà dell’anno 1964

Era il 9 agosto, faceva caldo. Alle 13,30, un intenso un nubifragio si abbatté all’improvviso su Alfonsine. Tanto bastò perché il serbatoio pensile dell’acquedotto crollasse di colpo, con un tonfo che fu udito da tutti gli abitanti del centro: qualcuno pensò al terremoto, qualcun altro allo scoppio di una bomba di aereo, ricordando quelle sentite durante la guerra. Per fortuna nessuna persona fu coinvolta nel disastro e il danno fu solo “materiale e morale al pubblico interesse della collettività  comunale”, che si vide interrompere il servizio di approvvigionamento dell’acqua potabile. La torre dell’acquedotto era stata costruita alla fine del 1960, neanche quattro anni prima.

L’impresa appaltatrice dell’opera era stata la Cooperativa Edile di Alfonsine, il progettista Ing. Sebastiano Alberti Pezzoli, il collaudatore ing. Giorgio Bernardi di Bologna.

Le polemiche politiche furono immediatamente incandescenti: fu gioco facile alimentare tra la gente l’accusa contro una cooperativa “rossa” di aver lavorato male e aver voluto risparmiare sul cemento e sul ferro da mettere nel calcestruzzo. Le chiacchere andavano così a toccare, anche se indirettamente, la giunta comunista e la politica del Partito Comunista assolutamente maggioritario ad Alfonsine, che avrebbe favorito nell’assegnazione degli appalti la Cooperativa Edile.Va detto comunque che le forze politiche di opposizione dopo un primo tentativo di strumentalizzare l’accaduto si mossero su una linea più costruttiva.

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Le macerie dell'acquedotto crollato

L’obiettivo immediato per tutti fu di ripristinare il servizio di distribuzione dell’acqua potabile attivando tutte le vecchie fontanelle, immettendo direttamente acqua nella rete idrica, e attivando anche auto-cisterne.

Il sindaco Vittorio Pagani nel consiglio comunale straordinario convocato d’urgenza alle ore 16 del 10 agosto propose di attivare da subito le pratiche per la ricostruzione  e per “giungere ad accertare e far accertare le cause... e laddove dovessero emergere responsabilità a carico di chicchessia, i responsabili saranno perseguiti a termini di legge”. Ma il punto su cui insistevano le opposizioni era che la ricostruzione spettasse subito alla ditta appaltatrice perché, per legge, era ritenuta responsabile della stabilità dell’opera per un periodo di dieci anni dal collaudo. Dopo una serie di interventi di Lorenzo Servidei e di Giuseppe Marraffa per la DC, di Guido Errani e Stefano Guerrini per il PRI, di Francesco Verlicchi, Oreste Rambelli e Domenico Camanzi per il PCI, si decise di non dover in quella sede assegnare colpe e indicare chi dovesse risarcire, ma di istituire “una Commissione comunale d’inchiesta per accertare le cause del crollo  e le responsabilità composta dal Sindaco, dai rappresentanti di tutti i gruppi consiliari e da tecnici competenti, che i tecnici competenti fossero nominati dalla Giunta in collaborazione con i gruppi consiliari, nel numero che si riteneva opportuno entro otto giorni. Inoltre si diede mandato alla Giunta di procedere con tutti gli atti necessari per la ricostruzione della torre con la maggior celerità possibile”.

Il tutto fu approvato all’unanimità.

La Giunta Municipale emise anche un atto di denuncia e di ingiunzione contro la Cooperativa Edile di Alfonsine (CEA) e il suo presidente Bruno Marchesini, che suonava più io meno così: “per il rispetto delle clausole contrattuali, codesta cooperativa, appaltatrice dell’opera, è ritenuta responsabile agli effetti di legge, non essendo decorso il periodo di 10 anni dalla costruzione della torre e deve provvedere alla ricostruzione entro il più breve tempo possibile”.

Tutto passò quindi alle vie giudiziarie. Le polemiche politiche furono così azzerate.

La CEA respinse le accuse dell’ingiunzione il 18 agosto 1964.

Per i comunisti di Alfonsine fu un agosto nero: il 21 morì Palmiro Togliatti.

Un gruppo musicale di ragazzi alfonsinesi si fece la foto sui resti dell'acquedotto

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Passò quasi un anno, prima che si tornasse a parlare dell’acquedotto, le cui macerie rimasero per tutto il tempo là dov’erano crollate, su ingiunzione della magistratura.

Il 20 ottobre 1965 venne resa pubblica la Comunicazione della Commissione Comunale di indagine, i cui esperti arrivarono a concludere che per la costruzione della torre dell’acquedotto:

1)  Ci furono insufficienze nei calcoli rispetto allo sforzo a cui i pilastri di sostegno erano     sottoposti

2)  Esisteva un nesso tra tale insufficienza e il crollo

3)  Insufficienza nella palificazione di fondazione

4)  Scarsa resistenza del calcestruzzo dovuta alla qualità del legante e alla scarsa pulizia degli inerti

 Il 9 dicembre la CEA rispose contestando tutti i punti

1)  “la Commissione non esclude cause di forza maggiore

2)  “L’acquedotto di Fusignano è stato costruito con i medesimi criteri di quello di Alfonsine e non è crollato

3)   “La causa esterna potrebbe essere stato un fulmine, una tromba d’aria, il terremoto dell’anno prima, la costruzione di un pozzo artesiano vicino all’area dell’acquedotto..."

  Il 24 aprile del 1966 il consiglio comunale dopo un incontro con la CEA, all’unanimità accettò una “transazione” cioè un accordo nell’interesse della popolazione, che evitasse le vie legali “ritenendo che si sarebbero protratte come minimo per tre anni, e nel frattempo sarebbe stato impossibile ricostruire l’acquedotto”,

La Cooperativa Edile di Alfonsine si impegnò a ricostruire l’opera entro 300 giorni, scontando la spesa per la costruzione precedente, richiedendo l’integrazione per “maggior costo derivato dall’aggiornamento dei prezzi”.

Il nuovo acquedotto fu ricostruito entro il 1967

 In conclusione il costo finale fu di 22.000.000 di lire circa (solo per la torre). I soldi derivati dall’aggiornamento dei prezzi a carico del comune furono di 7.879.259 Lire.

Qui finì il contenzioso con soddisfazione di tutti.

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