GLI
ALFONSINESI
Vento nel cuore,
nebbia nel cervello
di
Luciano
Lucci
In questa piatta pianura
alfonsinese lo spazio visivo è così tanto che si è formata una naturale
sensibilità per l’infinito e per le rappresentazioni mitiche del mondo,
mentre la nebbia è così frequente che il senso di smarrimento può
provocare talvolta una certa euforia mentale, che spinge a vedere dentro
piuttosto che fuori, come ha ben descritto Fellini nel film “Amarcord”,
dove c’è un vecchio che si perde nella nebbia e s’interroga se
quell’indistinto in cui si trova sia la morte.
Alfonsine è da sempre ai
margini, alla periferia, tra grandi imperi e zone paludose, e non a caso
questa è una terra piena di acque stagnanti, di passioni ribollenti e di
paradossi, e gli alfonsinesi hanno in sé il paradosso evolutivo di una
società primitiva di cacciatori e raccoglitori, diventati
contemporaneamente sedentari e nomadi fuori-legge.
Alfonsine
è da sempre un luogo di frontiera ed incarna lo spazio fisico e mentale,
comportamentale e filosofico, tipico della gente di frontiera: cioè il
matrimonio fra ricerca e selvaggio, fra desiderio di infinito e bisogno di
radici, tra Internet e il trebbo da bar, tra Metropoli e Deserto.
I paradossi si sono
moltiplicati via via, forgiando un carattere che li ha fatti essere
scontrosi e festaioli, libertari e giustizialisti, anarchici, fascisti e
comunisti, rabbiosi e teneri, rocchettari e ballerini di liscio,
adrenalina e pigrizia.
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