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Alfonsine

 | Ricerche sull'anima di Alfonsine |

 

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Alla festa della rivoluzione

La 'settimana rossa' di Alfonsine

Era il giugno del 1914...

  di Luciano Lucci

 La ricerca dell'anima del proprio paese è un’attività che sta coinvolgendo da alcuni anni intelletuali, poeti scrittori, tanto da aver prodotto addirittura un nuovo vocabolo ‘la paeselogia’.

L'anima, l'aura... sono parole in disuso, perché si è perso il contatto con le cose 'vive', i luoghi 'magici' e le persone 'geniali'. Il gioco allora sta proprio nell'insegnare a cercarle, ad ascoltarle, a riconoscerle. Cosa scoprire del proprio paese? cosa di buono può restituire il suo passato, i suoi volti, i suoi personaggi, i suoi luoghi? Nel percorso verso la civilizzazione che oggi chiamiamo “modernità” il mondo si è trascinato dietro un’enorme fardello di “pesantezza”: la rivoluzione agricola, la nascita delle caste, la citta-stato e il culto del controllo sui cittadini, la schiavitù, i dogmi della Chiesa, l’imperialismo di Roma, le ideologie e gli integralismi, le rivoluzioni fatte, fallite e sognate, le guerre mondiali e tribali. L’anima, ad esempio, di un paese qualsiasi della Romagna ha vissuto parte di queste “pesantezze”, ma si è per sua fortuna tirata dietro un certo primitivismo mentale: vi sono quindi alcuni elementi di “leggerezza” che hanno caratterizzato da sempre gli abitanti di queste zone, e che sono stati in contrasto con l’avanzare della civilizzazione e con la sua pesantezza.

Le giornate della ‘Settimana Rossa’ del giugno del 1914, ebbero particolare intensità nella Bassa Romagna, e in particolare ad Alfonsine. Il circolo “Alfonsine mon amour” le ha indagate come una capsula del tempo in cui si sprigionarono elementi di “pesantezza e modernità’ ma anche segni di un antico retaggio di ‘leggerezza e primitivismo mentale’: esse rappresentano uno scrigno in cui si può cercare qualcosa per riportare allo scoperto qualche elemento di quella “leggerezza” che può caratterizzare l’anima di un paese e dei suoi abitanti, di ieri e di oggi. Eccovi alcuni spunti

I giorni della rivoluzione di Alfonsine, 
dal 9 all'11 giugno del 1914

 Nel mese di giugno del 1914 gli alfonsinesi credettero di aver fatto la rivoluzione: il popolo aveva preso il controllo totale del paese. La domanda che ci poniamo oggi è: questa rivolta, in seguito detta "Settimana Rossa", fu solo uno slancio sperimentale, basato sulla radicalità ideologica di quel tempo, sulle condizioni economiche di miseria della gente che vi partecipò? Espresse solamente rabbia, rancore e risentimento contro re, padroni e preti, come l'hanno descritta i giornali dell'epoca e gli storici dei nostri giorni? Fu in altre parole solo un segno della pesantezza dell'epoca moderna, o non vi furono tra le pieghe di quella rivolta spunti di leggerezza o dolci paradossi, lampi di vita e felicità?

E’ su questi ultimi aspetti che vale la pena scavare, cercare; non si tratta più di giustificare o condannare qualcuno, ma di comprendere la vita, le aspirazioni, le paure, i bisogni, i sogni e persino le superstizioni di coloro che furono i nostri nonni e bisnonni, sia che abbiano partecipato alla festa della rivoluzione o l’abbiano deprecata.

Fu un primo slancio creativo, un tentativo di essere al di là dei confini

 Certo quella rivolta era nutrita dall'assortito banchetto delle ideologie anarchiche, socialiste e repubblicane, e a volte si spinse in modo accentuato verso il radicalismo ideologico. Ma 'i sovversivi', gli 'estremisti di sinistra' di quel tempo erano tutti giovani repubblicani, socialisti e anarchici che avevano ciascuno un sogno: cambiare lo stato delle cose.

Per sette giorni, dall' 8 al 14 giugno del 1914 tutta l'Italia fu attraversata da un forte vento rivoluzionario. La causa scatenante fu l'eccidio di tre giovani lavoratori, due repubblicani e un anarchico, avvenuto ad Ancona, per l'intervento dei carabinieri contro i manifestanti. Episodi tragici di questo tipo erano accaduti sovente in quegli anni. Quello di Ancona fu la goccia che fece traboccare il vaso. Socialisti, repubblicani ed anarchici, dopo anni di divisioni e scontri fisici tra di loro, si trovarono per una volta uniti. In tutte le grandi città, dal Nord al Sud d'Italia ci furono manifestazioni per strada e scontri violenti tra carabinieri e manifestanti, con decine di morti, alcuni anche tra le forze dell'ordine. Ma solo in Romagna la popolazione credette che fosse giunta "l'ora sbaracuclòna", cioè che la Rivoluzione fosse alle porte.

La sognavano e l'auspicavano i repubblicani che volevano cacciare la monarchia dopo il fallito tentativo del 1849, con la Repubblica Romana, instaurata da Mazzini e Garibaldi. La predicavano da sempre i socialisti che volevano la "dittatura del proletariato" come diceva Karl Marx. E la sognavano gli anarchici che con Bakunin volevano abbattere ogni forma di potere: stato, padroni, monarchia, chiesa.  

Gli alfonsinesi, quasi tutti, parteciparono a quell'evento e osarono ancora più degli altri paesi della Romagna. Furono la punta estrema di questo movimento, passionali e festaioli, e credettero d'un colpo di aver fatto e vinto la rivoluzione. 

La loro radicalità oscillò spesso tra ideologia e rancore, ma in alcuni momenti fu capace di attivare dall'interno del proprio corpo energia e vitalità: fu quindi più biologica e meno ideologica. Questo è l'aspetto che interessa la nostra ricerca: è la biologia (la vitalità, la creatività, la passione) che è capace di far evolvere tutta una comunità, di caratterizzarne la sua anima. Questa si trasmette poi a tutti coloro che continueranno a vivere in quel luogo. Ecco perché la ricerca dell'anima di Alfonsine può trovare spunti nei giorni della Settimana Rossa.

Tutto ebbe inizio martedì 9 giugno 1914:
 ma... il pranzo ad Alfonsine è sacro!

Alla dichiarazione dello sciopero nazionale contro l'eccidio di operai avvenuto ad Ancona da parte dell'esercito, un comitato di socialisti, anarchici e repubblicani organizzò anche ad Alfonsine la protesta e aderì allo sciopero generale nazionale. Con suono di corni fu chiamato tutto il popolo in piazza Monti. Dopo brevi discorsi, venne preparato un apposito palco per gli oratori del pomeriggio. Un gruppo di rivoltosi anarchici lanciò slogan per incendiare municipio e chiesa, ma essendo mezzogiorno in punto, ora di andare a pranzo, l'esortazione a non commettere vandalismi fatta da alcuni membri del Comitato Rivoluzionario venne ascoltata: il pranzo ad Alfonsine è sacro! Tutto proseguì lietamente nel primo pomeriggio.

Al pianto dei bambini non si resiste

Alle 17 un inconsueto suono delle campane annunciò il comizio.

Un gruppo di anarchici era entrato sfondando la porta della sacrestia. Pare che stessero anche per strappare il grande Crocefisso appeso al muro, quando il pianto disperato di alcuni bambini presenti li fece desistere.

La folla in piazza Monti: "Oh se durasse sempre così..."

 In piazza le parole degli oratori incendiarono gli animi. Bastò che girasse la voce incontrollata che la rivoluzione era scoppiata, che il Re e la Regina erano fuggiti da Roma, che la Monarchia era caduta, e gli alfonsinesi non ci pensarono due volte (forse per paura di svegliarsi dal sogno). Dalla folla galvanizzata durante il comizio oltre alle solite urla come "Viva il Comunismo! Viva la Rivoluzione!", si sentì gridare: "Oh se durasse sempre così".

La rivoluzione come una festa

In quella frase "Oh se durasse sempre così" si intravede lo stato di ebbrezza e felicità in cui si trovarono quegli uomini, donne e ragazzi, per l'eccitazione di vivere una situazione collettiva di euforia rivoluzionaria, e la consapevolezza nello stesso momento che non durerà tanto, ma che importa, conta l'intensità delle esperienze forti, e non la durata.

Poi alla guida del capo degli anarchici gruppi di manifestanti entrarono prepotentemente nelle case dei ricchi: i Violani, i Maré, i Mingazzi, gli Alberani. Da questi ultimi presero un gran pentolone che stava sulla tavola imbandita e, come trofeo, lo portarono alla testa del corteo, ritmando in coro: "As cavarèn la fàm cun la pignata d'j Alberàn".

I ragazzini festanti precedevano la folla, rendendo giocosa e allegra la festa della rivoluzione.

Giovani adolescenti scoprirono per la prima volta l'ebbrezza della festa

Arturo d'la Canapira (n.1900 - m.2002), che allora aveva 14 anni, ha raccontato che lui e una sua amichetta erano entrati dentro al circolo Monarchico, durante il saccheggio. Impossessatisi di una bottiglia di liquore se la bevvero. Il giorno dopo seguirono la testa di un corteo e andarono davanti alla chiesa dove c'erano un falò fatto con le suppellettili saccheggiate dalla chiesa, e dove si danzava e cantava.

Il parroco don Luigi Tellarini che stava guardando attraverso le persiane chiuse della finestra della canonica così descrive la stessa scena: "si vedevano i giovanetti, con un accanimento indescrivibile, afferrare bottiglie piene di liquore d'ogni colore e sbatterle contro le colonne della casa di fronte con gioia così pazza e con tale ironia che faceva fremere d'orrore e l'aria era talmente satura di odore alcoolico da non potersi descrivere".

Il saccheggio della chiesa

Poi ci fu l'attacco alla chiesa Santa Maria:  ateismo, spirito pagano e superstizione furono la miscela che incendiò gli animi, con i bambini festanti in prima fila: era la magia di un carnevale fuori stagione e tutto da inventare. Un gruppo dei più esagitati questa volta, sfondata la porta della chiesa, scaraventò sulla piazza panche, statue e suppellettili varie. Fu fatto un grande fuoco. Il falò durò parecchie ore: una  folla festeggiava intorno cantando inni rivoluzionari e anarchici. Si udirono frasi come "Viva la rivoluzione sociale!", non solo dagli anarchici ma anche dai repubblicani e dai socialisti. "Con grida ed urla selvagge, tenendo in mano le torce a vento accese, correndo all'impazzata, avanzano preceduti, come sempre, dal solito stuolo di ragazzi.....". (dal diario del parroco)

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La chiesa S. Maria con i resti delle suppellettili usate per il falò

Durante il saccheggio della chiesa si videro donne, uomini e ragazzi inscenare una festa zingara con danze e musiche davanti al falò. Molti ragazzi si vestirono con camici, cotte e stole, e le donne con tovaglie da altare e biancheria d'ogni sorta. Poi tutti a ballare nella festa dionisiaca davanti al fuoco alimentato con le suppellettili e le statue della chiesa. Li accompagnava una musica tribale suonata con le canne dell'organo. Infatti dopo aver distrutto l'organo della chiesa, i saccheggiatori avevano tolto dal loro posto le magnifiche canne di stagno, di piombo e di zinco (in tutto circa 800), poi le avevano date ai bambini della piazza che le fecero suonare soffiandoci dentro.

"Suonando a tutto fiato - così descrisse la scena don Tellarini - corrono nella piazza e incomincia allora quella musica barbara, quella nenia che i poveri Selvaggi dell'Africa sogliono fare durante le loro feste cannibalesche".

Si videro in giro crocchi di persone non più preoccupate ma allegre: il paese assunse un aspetto festivo, si discuteva facendo pronostici sull'esito della rivoluzione in Italia. Alcuni ritornarono con la memoria al 1849, quando i loro nonni, nella stessa piazza, avevano piantato l'albero della libertà.

Piazza Monti giugno 1914 - Il municipio incendiato

 Gli alfonsinesi avevano creato spontaneamente una situazione insurrezionale: avevano cioè preso il potere senza colpo ferire. Istituirono Comitati Rivoluzionari, s'impossessarono delle armi andandole a prendere nelle case dei ricchi proprietari terrieri del tempo, sequestrarono auto e beni alimentari a chi li aveva, controllarono le vie di comunicazione, interruppero le linee telegrafiche, telefoniche e ferroviarie.  Fecero festa e attaccarono i simboli del potere: la pretura, le poste e i telegrafi, il Municipio, il circolo dei monarchici, la stazione ferroviaria, i magazzini dei ricchi, la chiesa. Il sindaco Camillo Garavini, socialista, stigmatizzò in seguito questi fatti, ma non poté impedire quella baraonda. Gli alfonsinesi furono padroni della propria città e della propria vita per una settimana.

"E malet da j azident" di S. Andrea

Un anarchico stava tentando di colpire l'immagine di S. Andrea, per spezzarla e distruggerla: tirava i colpi contro il quadretto appeso al muro e stava per tirarlo giù, quando arrivò di gran corsa un altro il quale, con fare disperato, gli disse: 

- Ma cosa fai? 
- Che faccio? - rispose l'altro meravigliato.
- Ma non vedi che è S. Andrea? Se S. Andrea apre il sacchetto degli accidenti, non siamo rovinati?

 (Il dialogo avvenne in romagnolo: Se sant'Indrei l'arves e malet da i azident, an sen arvinée?). 

Così il quadro di S. Andrea si salvò, fino al 1945, quando la vecchia chiesa andò distrutta con la guerra e tutto l'arredo fu perduto per sempre.

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15 giugno 1914

Circolo Monarchico in via Roma ad Alfonsine, dopo la devastazione. 
A sinistra la Cavalleria Regia, a destra alcuni degli stessi dimostranti, in posa. La scritta "W MASETTI" e "ABBASSO L'ESERCITO" era lo slogan delle manifestazioni iniziali contro la guerra di Libia e contro l'esercito. 
Masetti era un giovane muratore del bolognese, soldato di leva che, mentre stava partendo per la guerra di Libia, aveva sparato al suo colonnello inneggiando all'anarchia. Da un anno era chiuso in un manicomio criminale.
Il palazzo fu acquistato poi da Tancredi Minarelli detto Plopi, anarchico, che lo adibì deposito del suo carro funebre e a stallatico. Ai piani superiori creò camere da affittare a gente povera. Giuseppe Marini poi acquistò da Plopi l'edificio, per usarlo come fabbrica per la produzione delle sue biciclette e poi delle moto "Marini". Per questo oggi è detto "Palazzo Marini". Donato dalla ditta MARINI spa-Fayat Group al Comune, è stata ristrutturata, e utilizzata come centro culturale.

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Un libro sulla Settimana Rossa alfonsinese
 
Quando Alfonsine 
divenne famosa
(scritto da Luciano Lucci)
(clicca o tocca qui, è tutto sul web in pdf)

 

Il sogno era già tutto finito

Poi di colpo tutto finì: i sindacati e i dirigenti nazionali di tutti i partiti, tra cui Nenni (allora repubblicano) e Mussolini (allora socialista), che avevano dovuto cavalcare quel movimento, fecero marcia indietro, dissero che non era il momento di fare la rivoluzione, e tutti a casa. Arrivarono 200 soldati del Re, a cavallo, che occuparono il paese. Un processo a una trentina di arrestati, un'amnistia per la nascita della principessa reale, Maria Francesca di Savoia (paradossi della storia), e poi la prima guerra mondiale.

Alfonsine in seguito fu citata dai giornali del tempo come esempio di balordaggine, violenza e barbarie e quei pochi giorni passarono alla storia come un evento ridicolo e grottesco. Ad Alfonsine non ci fu neanche un morto e la violenza fu simbolica, più contro le cose che contro le persone. Le successive critiche e autocritiche cancellarono quasi completamente l'esperienza di festa, carnevale e di voglia di vita che in parte aveva caratterizzato quei giorni di metà giugno 1914. La radicalità biologica e lo spirito sovversivo furono sepolti e fatti dimenticare come qualcosa di cui vergognarsi. Dopo qualche mese scoppiò la prima Guerra Mondiale ma nessuno si vergognò mai dei morti che disseminò per tutta l'Italia.

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