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Alfonsine

| Ricerche sull'anima di Alfonsine |

 

 

Amos Calderoni

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Amos Calderoni era nato ad Alfonsine il 16 febbraio 1925, figlio di Luigi e Teresina Servirei, e abitava in via Mameli, a ridosso dell'argine sinistro del Senio.

La madre faceva la sarta, il padre il falegname, e Amos, coi fratelli Alvaro e Ivo, lavorava nella bottega paterna. 

Era alto e magro, bravo con la fisarmonica e a fischiare brani musicali, col babbo che suonava il trombone. Amos faceva parte della banda del paese, inoltre certe sere, con gli amici, animava serenate alle ragazze. 

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Luigi Calderoni era socialista, consigliere comunale nel 1920, amico del faentino Pietro Nenni, e non voleva che i propri figli indossassero divise di organizzazioni fasciste. 

Amos crebbe così in un ambiente antifascista, leggendo molto (la stampa clandestina e libri come "La madre" di M. Gor'kij e "Il tallone di ferro" di J. London, molto frequenti tra i comunisti di allora), fino preferire l'acquisto del Novissimo Dizionario Melzi alla divisa fascista, e interessandosi presto alla politica. 

Il giovane Calderoni studiò fino alla 5a elementare, poi iniziò a lavorare e divenne un bravo falegname. 

Era mite, posato, molto riflessivo, di animo buono, non sorrideva spesso; era molto protettivo verso il fratello minore Ivo e si arrabbiava nel prender le sue difese, perché tra i fratelli Calderoni c'era un legame affettivo molto forte. 

Giovanissimo, Amos scelse di aderire al Partito Comunista 
e cominciò a svolgere azioni nella clandestinità (dalla diffusione della stampa all'organizzazione della struttura politica). 

Poco prima della caduta del fascismo suo padre Luigi Calderoni subì un breve arresto, mentre il primogenito Alvaro, militare in Nord Africa, era prigioniero degli Inglesi. 

Dopo l'8 settembre '43, quando il PC iniziò ad organizzare bande partigiane sull'Appennino, anche vari giovani alfonsinesi partirono (furono oltre 30 quelli che fecero parte dell'8a brigata Garibaldi "Romagna").

 Il 9 novembre Amos, Ivo e Luigi Pattuelli (e profes) partirono in bicicletta, con gli zoccoli ai piedi e quattro bombe a mano "Balilla", verso il Faentino, dove trovarono una staffetta che li condusse a S. Eufemia, in una casa vicino alla ferrovia.

Nei pressi di Purocielo incontrarono quello che credevano essere un numeroso gruppo di ribelli, e che invece era composto solo dagli alfonsinesi Rino Bendazzi, Aldo e Bruno Centolani, Domenico Folicaldi ("Pizearda") e comandato da "Libero" (Riccardo Fedel) con la sua compagna Zita. Iniziò per questi ragazzi la dura vita partigiana, fatta di spostamenti, azioni, rischi e disagi, ma anche di tanto entusiasmo, passione, inesperienza, volontà di lotta.

In poco tempo i partigiani della zona attorno a Santa Sofia divennero varie centinaia e la Brigata si organizzò in battaglioni e compagnie. Amos Calderoni, appena diciannovenne, per la sua serietà e il suo coraggio, fu nominato Comandante della 12° compagnia.

Il comando partigiano, nei primi giorni di aprile, venne in possesso di notizie da fonte sicura che era imminente un rastrellamento, di vaste proporzioni, su tutto l'arco dell'Appennino tosco-romagnolo.

 Il comando della Brigata ordinò allora alcuni assestamenti e attestò gli uomini nelle località ritenute più difendibili. 

Il rastrellamento si scatenò il 6 aprile nella zona della Balze e si estese gradualmente all'Appennino. L'operazione era affidata alla divisione corazzata Goering con oltre 3000 effettivi, ad alcuni reparti di Alpen-jager, i feroci militari liberati dalle carceri e appositamente addestrati alla contro-guerriglia, e a due compagnie di S.S. italiane e a circa 5000 fascisti affluiti dalla Romagna e dalla Toscana. 

A questo contingente si affiancarono il 23 Aprile altri 3000 tedeschi. Questo poderoso schieramento doveva smantellare le roccaforti e i presidi dei partigiani, che assommavano a circa 1000 uomini armati alla meno peggio. Il 7 aprile si verificarono i primi scontri nei pressi di Calanco Fragheto. I ribelli bene appostati inflissero gravi perdite al nemico, che sfogò la sua rabbia contro l'inerme popolazione del paese fucilando 34 abitanti, nella maggior parte vecchi, donne e bambini. I partigiani ebbero due morti e diversi feriti. 

Era prevedibile che l'attacco si sarebbe sviluppato lungo la direttrice Biserno-Campigna, per cui il comando decise di tenere la posizione sopra la strada di Biserno, per consentire lo sganciamento del grosso della brigata che non era in grado di potersi opporre a un nemico tanto numeroso. 

Alla 12ª Compagnia venne affidato l'incarico di resistere ad ogni costo presso Biserno (frazione di S. Sofia), per dar tempo al grosso dei partigiani di sganciarsi, superare l'accerchiamento e tentare l'attacco del nemico alle spalle, per poi riprendere i contatti con il comando, situato nelle zone di Strabatenza e Rio Salso, vicino a Bagno di Romagna.

La mattina del 12 aprile 1944 il Comandante Amos Calderoni, il Commissario politico Terzo Lori e i loro compagni della 1° squadra della 12° compagnia, una trentina di uomini in tutto, male armati, erano a Biserno a difendere un punto strategico fondamentale dello schieramento difensivo partigiano, e per rallentare la marcia al grande rastrellamento nazifascista che voleva eliminare le bande dei ribelli, consentendo al "grosso" dell'8° Brigata di mettersi in salvo.

Fin dal giorno 11, Terzo Lori che per età ed esperienza era il capo effettivo di quella compagnia, aveva mandato una pattuglia a distruggere un ponte, per rallentare la marcia del nemico, ma il danno era stato minimo. Poi, all'alba del 12, aveva inviato un partigiano a controllare le mosse dei tedeschi e dei repubblichini. Quindi si era accordato con il gruppo dei russo-slavi perché coprissero la loro ritirata, infine aveva disposto gli uomini su tre postazioni, vicine alla "Croce", sul crinale che domina le valli di Ridracoli e Corniolo.

L'attacco ebbe inizio alle 9,30 e il fitto fuoco delle armi leggere dei partigiani fermò momentaneamente i nazifascisti. 

Lori e Calderoni inviarono una staffetta al Comando per informarlo dell'attacco e del sopraggiungere di nuovi reparti nemici, e una a San Pietro per chiedere armi pesanti, nel messaggio, firmato "Commissario Terzo Lori", era scritto: "Resisteremo fino all'ultimo. Permetteremo a voi la ritirata, perché di qui i traditori non passeranno, finché un uomo sarà in grado di sparare." Pur inferiori per numero ed armamenti i partigiani garibaldini resistettero ai ripetuti attacchi portati dal nemico,

Poi l' accerchiamento nemico, anche per l'aiuto di spie locali, si fece più stringente e la mitragliatrice Breda dei partigiani s'inceppò, si cercò invano di rimetterla in funzione, mentre Amos gridava: "Lo ha già fatto! Lo ha già fatto la vigliacca!". 

Infatti quell'arma era di facile inceppamento. 

Amos e Terzo incitavano continuamente i compagni a resistere all'attacco, ma le armi pesanti degli assedianti avevano già ferito e ucciso diversi partigiani, solo a quel punto Lori e Amos ordinarono di sganciarsi. I superstiti delle prime due postazioni, coi feriti meno gravi, da una parte, Amos, Terzo benché feriti e altri sei, di corsa, cercarono di raggiungere un punto riparato, ma devettero attraversare un tratto scoperto e furono un bersaglio facile: vennero falciati uno dopo l'altro. Chi cercò di portare aiuto arrivò troppo tardi o non riuscì ad avvicinarsi. 

Verso mezzogiorno tutto era compiuto, sul terreno restavano i corpi senza vita dei 12 combattenti per la libertà. 

Passarono 12 giorni prima che nazisti e fascisti consentissero al parroco di Ridracoli, Don Giovanni Spighi, amico dei partigiani, di dare sepoltura a quei corpi straziati.

A Terzo Lori, nei mesi successivi, fu intitolato il distaccamento partigiano che, nell'estate 1944, si stabilì sull'isola degli Spinaroni, nella piallassa Baiona, a nord di Ravenna, e che, all'inizio di dicembre, partecipò alla liberazione della città.

 

Ad Amos Calderoni e a Terzo Lori Alfonsine ha dedicato rispettivamente una piazza ed una strada centrali; a Lori era pure intestata la principale sezione locale del PCI, ma negli anni '90 è stata abbattuta. 

Don Giovanni Spighi, parroco di Ridracoli e Biserno al tempo dell'eccidio dei partigiani

Nel 1950 la Repubblica Italiana ha conferito ad Amos e a Terzo la medaglia d'oro "alla memoria" al valor militare.

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