Amos (Archi) Calderoni

	Alfonsine

e Mostar, Archi, Pasò, Vilma

(di Guido Pasi e Luciano Lucci)

Era il 1° ottobre del 2014 e Archi ci lasciò, senza neppure il funerale. Alcuni giorni dopo ci trovammo a ricordarne la morte con un incontro tra vecchi amici a bere e mangiare, come lui avrebbe sicuramente gradito. Rielaboro qui di seguito un pensiero, ancora condivisibile oggi, stampato sul retro di una cartolina che dedicammo a lui.

Archi voleva scomparire senza lasciar traccia.

Invece noi che avevamo diviso i nostri giorni con lui, ce lo portiamo ancora dentro. Lo so che non voleva discorsi e commemorazioni perché li sentiva retorici e ipocriti. Gli dobbiamo allora la verità di cui siamo capaci.

Tutti sappiamo e nessuno nasconde quanto fosse incorreggibile nella sua condotta di vita irragionevole.

Eppure non c'è nessuno tra noi che possa dire di essere stato più generoso di lui. Nessuno più determinato nel perseguire gli ideali che all’epoca avevamo condiviso. Comunismo era stata la nostra idea. Amos era stato Comunista "in uomo solo". Non aveva possesso di niente e si sentiva uguale a chiunque e superiore a nessuno. Amava la libertà sopra ogni cosa, fino a fuggire ogni costrizione.

Negli anni 60 lo chiamavano "l'om dal besgalen"

Al besgalen" erano le tartarughe che Archi scariolava su un carrettino per la via Ventottesima al mattino presto, svegliando tutti, però nessuno si incazzava anzi ridevamo tutti, in fondo aveva 10 anni o giù di lì.

Una volta portò a scuola le tartarughe e le alloggiò nello spazio sotto il banco fra le cartelle.

Un giorno un suo amico gli chiese: “Se tu credessi, vorresti andare in paradiso?” Risposta: “Avreb andè a l’inferan.” L’amico: “Parché?”. Risposta conclusiva: “Parché in paradis an cnós ansù.”

Viva di lui la libertà che sapremo tenerci.

Nunc est bibendum

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