Una lunga schiera di
alfonsinesi (dodici per l'esattezza, una media di gran lunga superiore a
qualsiasi altro paese o città della bassa Romagna), negli anni '30 prese il
brevetto di pilota aeronautico, e
quando furono chiamati al servizio militare pilotarono aerei da guerra. Ma
anche dal dopoguerra fino ai nostri giorni vi sono altrettanti ragazzi e
ragazze alfonsinesi che hanno conseguito il brevetto di volo. Si tratta di una
vera e propria passione che caratterizza gli abitanti di queste antiche zone
paludose, dove aleggia ancora lo spirito di Fetonte, il semidio che tentò di
volare col carro del Sole, e precipitò alla foce del Po, proprio qui sulle
terre alfonsine.
Il Serg. Magg.
Ugo Antonellini |
Ugo Antonellini,
l'aviatòr
Serg.magg. pilota
nato ad Alfonsine il 20 settembre 1917
Molti alfonsinesi ricordano Ugo Antonellini, quando nel dopoguerra
abitava in via Roma, col soprannome 'l'aviatòr'.
"Il padre -
raccontò l'amico d'infanzia Pietro Cesti, un altro pilota alfonsinese -
aveva una cava di sabbia nel fiume e Ugo da ragazzino l'aiutava in uno dei lavori più faticosi che si possano immaginare. Lo chiamavamo
"Meazza" per via del suo fisico robusto e atletico, ma anche perché segnava molti goal quando giocavamo a calcio nella golena del
Senio".
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Per lui, figlio unico, i genitori coltivano grandi progetti.
Avrebbero voluto che studiasse per costruirsi un avvenire migliore del loro, per riscattarsi da una condizione fra le più umili, ma Ugo
aveva un chiodo fisso in testa: "A voj fé l'aviatór - ripeteva fino alla noia
- se mi mandate a scuola muoio". Intraprendente e di poche parole, con la sesta elementare e la qualifica di meccanico, a vent'anni appena compiuti
conseguì sull'aeroporto "Gastone Novelli" di Ravenna il brevetto di pilota civile sul Fiat AS.1.
Ugo Antonellini era amico d'infanzia e di scuola di Pietro Cesti.
“Un giorno strabiliò tutti. - ricorda il Cesti, a cui si deve gran
parte di questo articolo. -
Arrivò in volo su Alfonsine con un aeroplano della scuola della Spreta
di Ravenna (La Runa), volando davvero basso e salutando, tra
l'ammirazione e lo stupore di bambini e amici.”
Fu così che tanti altri giovani alfonsinesi del tempo lo vollero
imitare.
Antonellini nella primavera del 1939,
durante il corso per il brevetto di pilota militare
Ugo conseguì a pieni voti il brevetto civile
di primo grado il 19 ottobre del 1937. Entrò come militare nella scuola
della Regia Aeronautica e ottenne il brevetto civile di secondo grado.
Con l'inizio della guerra fu richiamato in servizio come secondo pilota
dei modernissimi velivoli da trasporto, i SIAI Marchetti S.82, allora i
più grandi del mondo. Più volte atterrò in Libia, alla base di Tamet,
a Tobruk, Bengasi e Derna, dodici voli quasi quotidiani da Roma ad Addis
Abeba, e molti altri fino ad Asmara e Massaua in Eritrea. Volò anche in
Tunisia, Grecia, Pantelleria, Albania, Sicilia, ovunque ci fosse
necessità di portare soldati e rifornimenti di ogni genere. Voli
difficili, sul territorio nemico, voli notturni, senza alcun ausilio per
la navigazione che non fossero la bussola e l'orologio. Ottenne così la
promozione a sergente maggiore. Aveva un fisico eccezionale e tante
volte accadeva che, dopo uno di questi voli in cui il personale arrivava
sfinito, per il viaggio di ritorno non ci fossero piloti disponibili. Si
doveva partire e tornare e Antonellini, senza batter ciglio, si sedeva
sul seggiolino e affrontava senza timori il viaggio di ritorno. Man mano
che le sorti della guerra si fecero sempre più sfavorevoli all'Italia,
gli aeroconvogli pagarono un tributo altissimo nel tentare di
rimpatriare quanti più uomini possibile, feriti in particolare, e di
portare in Nord-Africa rifornimenti volando a pelo d'acqua sul mare,
nella speranza di non essere avvistati dagli apparecchi nemici ormai
padroni del campo.
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Antonellini al posto di pilotaggio.
Cronometro al polso e bussola erano gli strumenti per la navigazione aerea
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UNA
MEDAGLIA D'ARGENTO, UNA DI BRONZO E DUE CROCI DI GUERRA
Per il servizio reso alla patria in guerra e
per le sue capacità di pilota, il Ministero della Difesa Aeronautica lo
decorò di una medaglia d'argento, una di bronzo e due Croci di Guerra
più un encomio che così recitava:
“Secondo pilota di velivolo da
trasporto prendeva parte a numerosi voli svolti in difficili e rischiose
condizioni per l'intenso contrasto con il nemico. In uno degli ultimi
voli di trasporto dalla Tunisia, il suo velivolo era costretto a un
atterraggio notturno fortunoso che ne causava la distruzione con
incendio. Si prodigava con particolare senso di responsabilità e valore
per il salvataggio dal rogo dell'equipaggio e di gran parte dei
passeggeri” (10 maggio 1942-7 maggio 1943).
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Dopo l'8
settembre
Il caos che si abbatté sull'esercito l'8 settembre del 1943 portò
alla costituzione di due aeronautiche, una con gli inglesi, l'altra con
i tedeschi. Antonellini decise di tornarsene a casa e tra varie
peripezie arrivò ad Alfonsine, alla sua famiglia. Qui manifestò la
profonda delusione per tanti sacrifici affrontati inutilmente, per la
pochezza di idee, di risorse e persino di valore che troppo a lungo si
era nascosta dietro la propaganda fascista. Fu un risentimento il suo
che lo portò a simpatizzare e a collaborare con l'antifascismo locale
con la militanza nelle fila dell'antifascismo, e a partecipare alla lotta di Liberazione.
Rimase nascosto in paese, riuscendo in più circostanze a sottrarsi alla
cattura e alla deportazione. In una circostanza fu addirittura un
soldato tedesco a preavvertirlo di un imminente rastrellamento, al quale
riuscì a sfuggire travestito da donna, con la moglie che teneva in
braccio una figlioletta di pochi mesi. |
Nel dopoguerra
“Nel dopoguerra avrebbe potuto facilmente fare il comandante o
l'istruttore, ma nessuno si ricordò di lui” - raccontò di
Pietro Cesti - “Così restò senza stipendio. Svolse diversi mestieri per
tirare avanti. Non chiese niente a nessuno, nonostante in molti cercassero di
convincerlo a mettere a frutto la sua lunga esperienza di pilota”.
La nuova
aviazione civile stava allora nascendo e uno come lui avrebbe potuto trovare
un lavoro certo come pilota. Forse la tentazione ci fu, ma prevalse la
decisione di non mettersi al servizio di un ambiente nel quale ormai non si
riconosceva. Acquistò un automezzo e con questo fece dapprima il
trasportatore di un'orchestra, poi come camionista entrò in una cooperativa
di trasporti e visse a lungo lontano da casa, seguendo i cantieri
dell'autostrada in costruzione in Liguria. Si impegnò molto a far crescere le
sue figlie con dignità e decoro, facendole studiare. Fu sempre accanto alla
moglie Sina Galvani, che aveva conosciuto fin da ragazzina. Rimasto vedovo,
ormai pensionato, andò a vivere a Marina di Ravenna, dove abitava una figlia.
Dal 1996 riposa nel cimitero di Alfonsine e sulla sua tomba giacciono quattro
stellette argentate, testimoni delle sue quattro decorazioni.
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