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| Ricerche
sull'anima di Alfonsine |
Al
Bar Dollaro, nella “vecchia” Alfonsine di
Alice Lucci Ricordo
di aver interrogato più di una volta il mio professore di scienze
attorno ai miei dodici anni, quando la catalogazione in solidi
liquidi e gassosi non mi convinceva completamente: allora il
fuoco? Il fuoco – rispondeva – è reazione chimica. Se la
reazione chimica è una trasformazione della materia, è vero allora
che il fuoco fa degli uomini e delle donne che ci restano accanto
una piccola società, un vicinato. Ho
scoperto il concetto teorico della parola vicinato
studiando antropologia culturale per l’università. Arjun
Appadurai, antropologo statunitense di origine indiana, affermava
tra le pagine del libro, che “un vicinato è un contesto
all’interno del quale si può generare e interpretare un’azione
sociale dotata di significato”. Mi è stato così tanto difficile
capirne le spiegazioni che dopo poco Appadurai era diventato il nome
di una specie di amico invisibile di cui non comprendevo le teorie. Superato
l’esame, nella prima giornata di sole utile per il giardinaggio,
ho incontrato Claudio – il mio vicino
di orto, come mi piace pensarlo – che mi ha invitato al Bar
Dollaro per la salsicciata.
Il
Bar Dollaro a descriverlo diventa per me il casello autostradale per
lasciare la Statale Adriatica ed entrare nel paese dalla “parte
vecchia”: subito sotto il ponte, subito vicino al Senio, subito lì.
Un angolo dalle pareti di vetro, una saletta in fondo, l’argine a
confinare, un po' di prato attorno e moltissima gentilezza. Una
banconota da un dollaro incorniciata tra le fotografie di famiglia,
dietro al bancone. Il
27 febbraio è un sabato sera in cui la Romagna tenta di ricordarsi dei Lom a
Merz. Al
Bar Dollaro due splendidi signori impacchettati in divise da
“cucinatori” inforchettano pancetta e salsiccia come se non
avessero fatto altro nella vita. O come se non avessero voluto fare
altro. Un ventilatore improvvisato dimentica che l’estate sarà
ancora tarda ad arrivare e
soffia il fumo dalle braci verso il Senio. L’odore passa per il mio
naso. Il
fuoco è attore esperto, difende la scena, recita a memoria le battute. E
scalda, riscalda. Un
porco di terracotta con un sorriso da salvadanaio per bambini mi dà
il suo benvenuto. Sto
bene a far parte delle facce al Bar Dollaro. Sorridono. Ci
si siede attorno al fuoco, tutti lì. Sedie di plastica e aria
invernale. Un signore non sa di avere in testa un berretto coi colori rastafari
– mi chiedo se preso in prestito dal figlio o comperato con
consapevolezza – e ne porta in giro anche la faccia serena. Claudio
mi dice che è tutta un’idea di gente che lo fa per piacere, che
bisogna fare così altrimenti non si fa più niente. Sua moglie e
altre splendide signore servono panini e allegria. Le signore
infreddolite invece restano all’interno, dove si chiacchera, dove ci
si toglie il cappotto. Passa veloce un’ambulanza con le sirene
spiegate. È sempre curioso vedere come tutti ci si giri, si segua con
lo sguardo una sfortuna, tutti si faccia fulminei un pensiero. Non
posso restare molto. Qualcuno mi aspetta in
città. Dico grazie, saluto. La
mattina seguente ritrovo il Bar Dollaro per il caffè del risveglio. Il
fuoco è ancora acceso e non si può far altro che guardarlo. La legna
deve pur finirsi e in fondo è un tentativo di spalmare via la nebbia
della Bassa. Appadurai soffia al mio orecchio. Ogni
occasione, ogni situazione, ogni incontro possono diventare vicinato.
Piccoli riti ripetuti come quello del caffè. Una salsicciata attorno
a un fuoco. Un invito. Un buongiorno. La
grande capacità che ha l’uomo – il bisogno istintivo in quanto
“animale sociale” – è quella di creare situazioni che possano
avere un ruolo, anche semplice, di aggregazione e festeggiamento. Aggregarsi
perché? Perché non siamo esseri eremiti, ma individui che
necessitano dell’altro per riconoscere se stessi. Allora, se in
tempi passati le numerose famiglie che vivevano in unici nuclei
potevano rappresentare un piccolo mondo che fungeva anche da vicinato,
oggi siamo di certo tutti più sparpagliati e lontani e inventiamo
bar, fuochi e salsicce per costruirci una casa più “allargata”
che ci faccia stare comodi. Ma
poi, per festeggiare cosa? Accidenti, di esserci! Di avere un corpo
che vicino al fuoco si scalda, occhi che si incantano a guardarne le
fiamme. Di avere bocche che masticano bontà e ne sentono il gusto. Di
poter stare sotto le stelle, in un pezzo di erba sorseggiando un
bicchiere di vino. Di poter ringraziare e salutare i vicini
di festa che ci rammentano così che anche noi ci siamo.
Vicini di fuoco
Le belle occasioni per festeggiare
Attorno
al fuoco si resta a guardare. A guardare niente. Come se il piacere
fosse sempre e solo quello di allenare le pupille a dilatarsi nel
seguire le fiamme accendersi, quello di muovere veloci i nervi per
restare appresso alle vampate in alte e basse maree, quello di
manovrare i ricordi verso un passato tutto nostro, intimo, sereno.
Poi panino, salsiccia, vino e ciambella.