di
Luciano Lucci
"Animo bellicoso, di statura media, Cesti, altrimenti detto
Pirazza, ha l'aspetto di un torello di tipica razza romagnola: capelli neri tagliati a zero e per contrasto un barbone ispido da guerrigliero, sguardo fiero, simpaticamente attaccabrighe, di umore volubile; grida, sghignazza o ti confessa sconsolato qualche segreto stato d'animo, va d'accordo con chi gli va a genio”.
Un simpatico profilo di Pietro Cesti pilota, descritto da un compagno d'armi e d'avventure, il maresciallo dell'aeronautica Aldo
Bargaglio.
Un profilo che descrive come meglio non si potrebbe il personaggio.
Marzo 2012:
se ne è andato Pietro Cesti.
Nel giugno 2011, come si vede dalla
prima foto, Pietro era ancora uno splendido vecchietto
novantaduenne che si aggirava per le strade alfonsinesi a piedi con
una 'zanetta'.
Non più (come fino a un anno prima) alla guida una Panda
bianca con cui sembrava sempre in fase di atterraggio e ciò rendeva
preoccupato e un po' allarmato chiunque assistesse al suo passaggio.
Eppure incontrando quegli occhi ancora vispi, e quella faccia da Ho Ci Mhin
era possibile cogliere un'aura, un qualcosa che faceva trasalire, che ci
rimetteva in contatto con le cose, i luoghi e le persone "magiche" "geniali", con l'anima di questo
paese |
Pietro
Cesti (2011)
(un
click o un tocco sulle foto per avere gli ingrandimenti)
Pietro
Cesti (2006) |
Nato ad Alfonsine nel 1919 da Giovanni Cesti e da Maria Marini, sorella di Giuseppe (Fitti) e Antonio
(Magass), Pirì d'Cesti si caratterizzò fin da giovane per il suo spirito fiero e indipendente, deciso nei giudizi, non amante di giri di parole o di mezze verità: bianco è bianco e nero è nero. Questa
fu la casa di tre generazioni "Cesti". Si trova a Borgo Seganti.
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Sopra:
Casa della famiglia Cesti, com'era anni fa
A destra: la casa venduta dagli eredi,
ma ora (2021) disabitata |
Pietro
Cesti frequentò la scuola di Borgo Gallina a destra nella foto
Un episodio della sua vita che lo rese impermeabile alla retorica fascista
fu quando il padre, che era stato un fascista della marcia su Roma del '22, (espulso dal PNF nel 1923) ebbe uno scontro con i nuovi squadristi degli anni '30: questi stavano infierendo contro un professore di musica, amico del padre, che era diventato alcolizzato per motivi esistenziali.
Quel giorno suo padre lo stava accompagnando a casa dall'osteria del Bar Centrale, all'incrocio di via Reale con la via
Raspona, quando uno squadrista della
milizia fascista, tal Osvaldo Santoni, veterinario del paese, insieme ad alcuni camerati
lo insultò e picchiò.
Il padre di Cesti li apostrofò ma il Santoni, per questo, lo prese a schiaffi.
Quell'episodio ebbe conseguenze sulla vita di Piero tanto che non diventò mai
fascista convinto.
Prenderà la tessera solo per avere il brevetto di
pilota civile.
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1^ fila in alto da
sin.: Valdo Montanari, Ernesto Vecchi, Angelo Emaldi, Giuseppe Galletti, Pietro Cesti, Ezio
Marcucci.
2^ fila: Elsa Tasselli, Gigina Trioschi, Tonina Manetti, Amedea Ravaglia, Luigi
Bedeschi, Bruno Tramontani.
3^ fila: Antonio Emaldi, Bernardina?, Antonio Marini, Iride Costa, Innocente Castelli, Giovanni
Ravaglia.
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"A 16 anni fui picchiato
dai fascisti che finalmente
dopo diversi tentativi mi
tesero una imboscata nell'angolo
della carraia Pastogi e canale naviglio
(Bastogi ndr)
Fui fortunato che avevo lasciato la
pistola ai Bedeschi a Villanova,
altrimenti avrei sparato e sarebbe
stata la rovina di tutta la mia
vita. Non tolleravano che parlassi
male del fascismo e della guerra
in Africa.
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Pietro Cesti fa parte di una lunga schiera di alfonsinesi (dodici per
l'esattezza) che negli anni '30 presero il brevetto di pilota aeronautico
e che quando furono chiamati al servizio militare pilotarono aerei da
guerra. Quando la guerra scoppiò per davvero furono richiamati e
impiegati in varie operazioni belliche.
Studente con la 3° complementare, frequentò il corso di pilotaggio alla
Spreta di Ravenna conseguendo il brevetto, come avevano fatto prima di lui
vari alfonsinesi. Quando fu chiamato sotto le armi decise di partecipare
al concorso bandito dalla Regia Aeronautica per l'arruolamento di
sottufficiali piloti di complemento e fu inviato in congedo illimitato
provvisorio come allievo sergente pilota. Pochi mesi prima della
Dichiarazione di Guerra dell'Italia, venne richiamato.
Assegnato alla "scuola Caccia" a Gorizia, con la nomina di sergente pilota durante un volo di prova su un aereo revisionato vide una vampata uscire dal motore. Le fiamme invasero l'abitacolo con un'esplosione che sembrò squassare la fusoliera.
"Perdevo rapidamente quota e decisi quindi di lanciarmi; precipitavo nel vuoto con le mani appoggiate al ventre e aspettavo lo strappo di apertura del paracadute, ma mi resi conto che questo tardava più del previsto. Aprii gli occhi e vidi volteggiarmi davanti il moschettone rotto. Non mi restava che tirare la maniglia di sicurezza e poco dopo dondolavo lentamente. Il vento mi spostò verso la sponda, proprio dove correvano i cavi dell'alta tensione.”
A fatica riuscì a salvarsi tirando le corde del paracadute
da una parte e dall'altra, allontanandosi dalla traiettoria di
caduta che lo avrebbe portato sui cavi dell'alta tensione.
Un
mese dopo, il 3 marzo del '42 fu assegnato al 51° Stormo Caccia del
comandante Remondino, schierato a Ciampino Sud e in procinto di
trasferirsi in Sicilia per prendere parte alle operazioni sul
Mediterraneo.
All'inizio
di luglio, però, un altro incidente. "Era quasi mezzogiorno
quando il comandante mi ordinò di provare un Macchi 200. Facendo
acrobazia in salita verticale, a 2.000 metri il motore
improvvisamente perse potenza e l'apparecchio, dopo diversi
capovolgimenti, non rispose più ai comandi e cadde in vite piatta.
Pur sapendo che il Macchi 200 non usciva da quella posizione, tentai
più volte di rimetterlo in assetto normale di volo. Tutto inutile:
i comandi erano come in folle, inefficaci, per cui decisi di
lanciarmi col paracadute. Mi trovavo a testa in giù e credevo che
questo mi avrebbe facilitato il compito, invece, per quanto tirassi
a più non posso aggrappato alla carlinga con le braccia fuori
dall'abitacolo, la forza centrifuga mi teneva schiacciato dentro.
Rientrai e ripresi i comandi, ripetei la manovra, ma tutto inutile.
Intanto avevo perso molta quota e cominciò ad assalirmi il panico:
lo spettro della morte confondeva i miei pensieri, vidi mia madre
che piangeva, il mio funerale, poi tra tutti i fulmini che mi
attraversavano il cervello ebbi un'illuminazione: carrello e flap
fuori, tutto motore. Eseguii istantaneamente e l'aereo si fermò col
muso rovesciato leggermente verso terra ed io mi tirai fuori. Contai
fino a dieci, tirai la maniglia di sicurezza e il paracadute si
aprì. Dopo pochi secondi toccai il suolo sano e salvo".
Qui
c'è tutto il diario di Pietro Cesti su quel periodo (cliccare o
toccare qui)
La visita medica alla quale viene sottoposto trovò però qualcosa
che non andava. Fu infatti dichiarato "idoneo al pilotaggio e al servizio coloniale, ma inabile al volo in alta quota".
Fu
poi destinato alla 300° Sq. Caccia Notturna schierata alla difesa
di Roma, ma per dissapori col comandante trasferito a Caselle in
forza a una squadriglia di caccia che dovevano scortare i convogli
aerei da Reggio Calabria alla Tunisia e alla Libia. Il sergente
Cesti effettuò in quel periodo parecchi voli fino a quando la sua
esuberanza gli giocò un altro brutto tiro: alla conclusione di un
ennesimo volo decise di compiere una serie di piroette in cui
sembrava voler prendere la coda a sé stesso. Infine si presentò al
campo
radendo il prato, mietendo gli steli
dell'erba fino a terra, finché il motore ferito emise un lamentoso
ruggito e le pale dell'elica si piegarono a baffo.
Gli
comminarono un po' di giorni di "cipierre"
per dargli modo di valutare il suo colpo d'occhio. In seguito fu
trasferito col reparto in Sicilia a Sciacca (Ag), in zona
d'operazioni. Ormai pilota militare da tempo, aveva volato molto e
ne aveva passate delle brutte, ma adesso il ballo cominciava per
davvero: partecipò ad azioni di guerra, scortò gli aero-convogli
che facevano la spola con gli aeroporti dell'Africa settentrionale,
andò incontro al nemico e toccò con mano tutti i limiti della
nostra organizzazione. "Avevamo pochi aeroplani, se c'era una cosa mancava l'altra, senza l'olio di ricino i motori si surriscaldavano... non si poteva mandare dei ragazzi a morire in quel modo. Che schifo la
guerra!".
Fedele al personaggio un po' guascone, fuori dagli schemi, Cesti si
lasciò crescere la barba, si fece tagliare i capelli a zero: era
davvero la "mascotte" della squadriglia.
Col barbone al vento ghignava con beata incoscienza
Nel marzo del '43 l'ennesima missione: due aerei in tutto, quello del
serg. Bargaglio e lo stesso Cesti, dovevano assicurare la scorta diretta a
un convoglio di aerei da trasporto e bombardieri, che da Castelvetrano
andavano ad El Aouina, cento minuti di volo. Durante l’atterraggio
all'improvviso un gregge sbucato da chissà dove attraversò la striscia
di atterraggio: il Cesti ne investì un mucchio riuscendo ciò nonostante
a mantenersi in linea, senza inclinarsi.
Due
estremità delle pale dell'elica risultarono piegate a baffo
(ancora!). Ma Cesti era un tipo pieno d'inventiva e cogli occhi
luccicanti, illuminati da una brillante idea, si rivolse al compagno
di viaggio: "Senti un po', se noi segassimo le estremità
piegate e pareggiassimo ad esse quella rimasta dritta, il problema
dovrebbe essere risolto. Cosa vuoi che sia un po' di pala in più o
in meno?!" Il proposito venne subito messo in atto e, seppur
contro ogni logica della tecnica aeronautica, Cesti riuscì a
decollare e a raggiungere Sciacca, con il motore che sembrava avere
il ballo di San Vito e lo stesso pilota che, col barbone al vento,
"ghignava con beata incoscienza”.
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A
17 anni
17 anni Tanti sogni nel cuore!
Il brevetto
di pilota civile.
L’aereo lo pilotava io, come l’avevo sognato fin da fanciullo,
ogni volta che un aereo passava nel cielo.
17 anni finalmente brilla l’Aquila sul mio petto.
Chi può cancellare il ricordo, il palpito del cuore, quando in un
mattino di sole l’aereo lo pilota l’istruttore, dopo
l’atterraggio rulla sulla pista e ferma l’aereo verso la pista
di decollo, scende si avvicina ti guarda negli occhi, batte sulla
spalla e dice: “Adesso fai tre atterraggi”. VAI! Da solo
l’aereo stacca le ruote, battono i tacchi delle scarpe nella
carlinga. Emozioni? No il cuore vuole scoppiare. Sono io che ti
porto in cielo caro avione.
Pietro
Cesti davanti al "suo" aereo
Non avevo ancora 22 anni pilotavo questo aereo
MACCHI 200, che era il più veloce e acrobatico del mondo . La prima volta che mi alzai nel cielo, alla scuola di acrobazia di Gorizia,
l'aereo era integro senza serbatoio supplementare e senza armi, non finiva più di
salire verso il cielo e il toneau in piedi, lento bello quasi accarezzevole si impossessò di me, due grossi goccioloni scesero sulle
guance, era una sensazione meravigliosa che mi ha accompagnato e mi accompagna sempre. L'aereo aveva un difetto:
non bisognava virare coi piedi, ma con la cloche quando veniva costretto in virate strette, oltre un certo
GRADO G, partiva in auto rotazione, o a sinistra o a destra, secondo dove il pilota aveva
il piede fuori centro. Non c'erano descrizioni d'uso, gli istruttori lo avevano ben sperimentato,
ma non conosciuto fino in fondo. Dopo la guerra nel tunnel del vento sembra fosse
appurato che il difetto aero dinamico fosse nei piani di coda in corrispondenza del grosso motore
stellare, quando in virata stretta, o cabrate e a rovesciata d'ali, l'aereo dava una leggera battuta d'ala.
Pietro
Cesti: allievo sergente pilota
Pietro
Cesti mentre sale sull'aereo
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8 settembre
Dopo l'8 settembre piantò tutto e raggiunse Alfonsine.
Restò un po' indeciso sul da farsi poi si presentò come altri alla 2a Z.A.T. (Zona Aerea Territoriale) a Padova.
Qui qualcuno insistette perché andasse nell'Aviazione della Repubblica Sociale, ma lui non ne volle sapere:
"I tedeschi proprio non li sopportavo - commenta
- con quelli le ho sempre prese!".
La sua scelta fu invece un'altra, netta e totale come ogni altra sua decisione:
entrò nella Resistenza e da partigiano combattente partecipò attivamente alla lotta di liberazione.
Cliccando
o toccando qui c'è il suo resoconto su "La battaglia della
Rotta Martinella" a cui partecipò in prima persona
Si trovò così a essere commissario politico della 5° Compagnia della 28 Brigata Garibaldi,
a combattere la battaglia delle Valli e a partecipare alla liberazione di Ravenna.
La sua immagine è immortalata nella foto qui a destra in cui si vedono i reparti di partigiani sfilare, in piazza del Popolo a
Ravenna il giorno della smobilitazione della 28° Brigata.
Tornò alla vita e
cominciò a lavorare la terra dei suoi vecchi, "... ero esperto pilota dell'aviazione italiana, la guerra mi faceva schifo. Non chiesi un posto in comune né della camera del
lavoro.
Badai a me stesso, chiesi solamente un poco di rispetto, che non sempre ho
avuto".
Iscritto al PCI, ne uscirà nel 1958
Nel dopoguerra si iscrisse al Partito Comunista Italiano e svolse attività giornalistica per il quotidiano di partito l'Unità.
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La
tessera da partigiano
"Il
primo partigiano ad entrare alla porta S. Alberto al mattino del
5/12/44 Evviva."
Il partigiano sulla moto
a destra è Pietro Cesti in Piazza del Popolo a Ravenna il 20 maggio 1945, giorno della smobilitazione della 28° Brigata Garibaldi.
Il motociclista di sinistra: Alessandro, (Nadalì dFrò), il porta ordini della 28° brigata.
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Qui
sulla destra, la foto e la storia dei palloncini lanciati ad Alfonsine nel
1953 contro la Legge Truffa e contro la condanna dei coniugi
Rosenberg, e il suo articolo sull'Unità.
Il
Cesti ricorda che l’evento del cartello coi palloncini aveva il
motto “liberate i Rosenberg” (una battaglia che i progressisti
di tutto il mondo fecero negli anni della “caccia alle streghe”
negli USA contro la condanna a morte, poi avvenuta, di una coppia di
ebrei accusati di spionaggio. Non ci furono mai prove certe su
questo e anni dopo si dimostrò la loro innocenza. Furono condannati
a morte con un processo pieno di falsità.)
Nella
foto scattata dal Cesti si vede il cartello che nella parte leggibile riporta “Abbasso
la legge truffa”, e forse
nell’altro lato citava il caso ‘Rosemberg”.
Il
maresciallo dei Carabinieri di Alfonsine lo richiamò in caserma per
avere la foto, ma Pietro rifiutò e la fece pubblicare il giorno
dopo sulla cronaca locale del quotidiano "L'Unità".
Per
questa sua azione Pietro Cesti scrisse, in una memoria qui di
fianco, - “dopo 15 giorni su ordine del Ministero degli Interni
mi fu ritirato Passaporto, e Brevetto da Pilota".
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Foto
scattata da Pietro Cesti Dall'Unità
del 29 gennaio 1953 (di Pietro Cesti)
"Non
è una comune operazione quella che alcuni giorni fa i carabinieri
hanno portato a felice compimento. Si trattava, nientemeno, che di
togliere un cartello contro la truffa elettorale, inneggiante alle
libertà democratiche ora minacciate, alla Costituzione
repubblicana, ecc. collocato nottetempo in luogo piuttosto scabroso
per un'azione di recupero. Accidenti agli acrobati. Un bel groviglio
di palloncini colorati sosteneva questo cartello a circa 20 metri
sopra il livello dell'argine del fiume Senio. Per nulla
impressionati, i militi della benemerita escogitavano allora un
piano che, con dovizia di mezzi, doveva portare alla rimozione del
terribile cartello. La pertica, che costituiva un po' la chiave di
volta dell'operazione, era purtroppo corta e così, dopo alquanti
sforzi materiali e mentali, il suo uso fu scartato. Gli spettatori,
in gran parte ragazzi che aspettavano i palloncini (non sapendo che
erano corpo del reato e quindi requisibili), respirarono in attesa
che si iniziasse la seconda fase dell'attacco. Che si sviluppò a
grandi linee nella seguente maniera: lasciati due piantoni, i
rimanenti carabinieri, improvvisati pompieri, partivano velocemente
in jeep e ritornavano immantinente con ciò che pareva servire al
caso. Un lungo filo cioè, con un peso legato in cima. E dopo
ripetuti lanci più o meno abili di questo peso, finalmente un grido
trionfale di vittoria: il cartello era preso. Terminava così alle
ore 12 e qualche cosa la brillante operazione iniziatasi alle dieci
circa, per il buon esito della quale devesi rendere assoluto merito
alla perizia ed allo sprezzo del pericolo dimostrati dalla nostra
benemerita arma."
|
Dopo
la guerra
durante il governo Scelba e la
Celere avvenne che in America
avevano condannato i Rosemberg
spie per i segreti atomici, ai
Russi! Si scatenò in Italia
una battaglia col motto liberate
i Rosemberg! Un cartello
grande era stato messo sui
fili Alta Tensione vicino al
Ponte della Piazza. Il cartello
pendeva volava sempre e tentativi
dei carabinieri erano ridicoli.
Io li fotografai. Il maresciallo
Manzo, siciliano, mi chiamò
in caserma. Mi dia le foto, è
un ordine. Risposì, sono corri=
spondente dell'unità e le foto
appartengono al giornale.
Le foto e l'articolo furono
pubblicate con successo. Fui
richiamato in caserma
e il maresciallo sorridente e a denti stretti mi disse:
Me la pagherà. E la pagai
salata. Dopo 15 giorni
su ordine del Ministero degli Interni mi fu ritirato passaporto,
e
Brevetto da Pilota. Differito
a tutti gli aeroporti a non
consegnarmi aerei. 10 anni senza brevetto militare
e vietato
passare alle linee civili.
Un brevetto come il mio richiedeva anni
di scuola
e di allenamento.
Il mio brevetto era
omologato su 35 tipi
di aereo e con moltissime
ore di volo.
Ma io avevo difeso i miei
diritti di giornalista a
l’Unità. Ironia
della
sorte: difesi il popolo Ungherese contro l’armata
rossa e
IMRE NAGY l’ultimo difensore della libertà. La
mattina che fu
fucilato, col giornale in mano detti le mie dimissioni scritte dal PCI, e
non me ne pento. Pietro
Cesti aveva partecipato al Festival della Gioventù a Budapest. dove aveva
fatto subito conoscenze e
amicizie ed era venuto in contatto con diverse persone importanti della intellighentia ungherese.
Dopo l'invasione sovietica del '56
era tornato ancora in
Ungheria.
Seguì l'evoluzione della situazione con apprensione e fu vicino agli intellettuali comunisti di Budapest, che avevano apprezzato Imre
Nagy.
Quando il 16 giugno 1958 si ebbe la notizia dell'esecuzione del ex-primo ministro Imre
Nagy, processato e condannato a Mosca da parte dei sovietici, Pietro Cesti decise di restituire la tessera del partito comunista.
|
Al
Festival Mondiale della Gioventù Democratica di Berlino, due
delegati di Alfonsine: a sinistra Pietro Cesti, a destra Ulisse
Ballotta.
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Alla Fiera dell'Est...
Personaggio strambo e curioso, oltre ad essere citato nelle memorie del suo ex-commilitone, maresciallo Barbaglio,
è al centro di un libro pubblicato nel 1959 da un famoso letterato ungherese Fusi Jozsef
"Tengeri szél".
Si erano conosciuti Budapest negli anni del dopoguerra e Füsi József aveva fatto viaggio in Italia, durato sei mesi, molti dei quali trascorsi a casa di Cesti, in
Alfonsine.
Il racconto di quel viaggio e soprattutto delle storie vissute a casa Cesti, ci dà uno spaccato autentico di vita
alfonsinese nell'anno 1958.
Segue
un'articolo scritto da Judit Józsa, Docente di italiano presso il Dipartimetno di Italianisti
dell'Univeristà
degli Studi di Pécs, dove insegna storia della lingua,
sociolinguistica e didattica dell’italiano
József
Fusi
(scritto da Judit Józsa)
Traduttore, insegnante di italiano, ex-direttore della
scuola italiana di Budapest nel 1959 vince una borsa di studio
di tre mesi, assegnatagli per fare delle ricerche su
Garibaldi. Così parte per l’Italia. Ne nasce un libro
“Tangeri Szel” (Vento di Mare), molto bello, commovente,
una vera descrizione di viaggio d’ autore. Fusi vive in un
ambiente italiano, in famiglia: il professore è ospite di un
suo amico italiano, conosciuto a Budapest, che vive in un
piccolo paese della Romagna, Alfonsine. Attraverso la vita in
famiglia si conoscono tante cose: un pezzo di mondo italiano
anni Cinquanta, tante persone e tanti luoghi non turistici: i
veri protagonisti del libro.
Il professore accompagna ogni
giorno il suo amico, il meccanico Pietro Cesti, nei suoi viaggi d'affari
nei dintorni, ma anche a Ravenna, a Bologna, a Firenze, avendo
così modo di conoscere tanta gente, tanti angoli nascosti,
tanti aspetti della vita di questo Paese.
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Qui
sopra la copertina del libro
“Tangeri Szel” (Vento di Mare)
(cliccando o toccando la foto di copertina potrete leggere alcune
della pagine del libro tradotte dall'ungherese dal sottoscritto che
riguardano Alfonsine e Pietro Cesti)
Pietro
Cesti con Giovanna, la terza figlia nata nel 1959
|
Di
questi viaggi vengono descritti non tanto i monumenti, i musei
(questo è stato già fatto da altri) ma le persone e le
caratteristiche della vita quotidiana con la tv, con il
Festival di San Remo (era l’anno in cui vinse «Il blu
dipinto di blu»). Nella seconda metà del suo soggiorno va a
visitare i luoghi garibaldini. Siccome ha pochi soldi, spera
di trovare ospitalità presso amici, ex-allievi che poi, come
risulterà, non sempre si comportano bene con il vecchio
professore senza soldi, che avrebbe bisogno di esser aiutato
un po'.
Comunque riesce a compiere il viaggio, ad arrivare
anche in Sardegna. Tornato a Budapest, scrive il libro su quel
viaggio in Italia dal titolo “Tangeri Szel” (Vento di
Mare) (1959), uno poi sulla vita di Garibaldi “Búcsúzom,
Garibaldi” (1959) e un anno dopo
muore.
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Un
disegno di Cernus Tibor che rappresenta József Fusi nel viaggio in italia descritto in “Tangeri Szel” (Vento di Mare)
Peccato che quel libro, molto diffuso all'epoca in Ungheria, non abbia avuto mai una traduzione in italiano.
(ci ho provato io traducendo alcune pagine che riguardano Alfonsine,
utilizzando google traduttore, cliccare
o toccare qui)
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In quegli anni il Cesti aveva
avviato ad Alfonsine un'attività nel settore maglieria, attraverso
una vasta rete di lavoranti a domicilio.
All'inizio degli anni
'60,
già padre di tre figlie, fu assunto alla ditta Marini (i
proprietari erano suoi cugini) dove ebbe il compito di aprire le
esportazioni sul mercato dell'est: cosa non facile per quei tempi.
Comunque, attraverso l'allestimento di stand alle fiere campionarie dell'Europa dell'Est
(8 Fiere a Budapest in Ungheria, 6 a Brno in Cecoslovacchia, 6 a Poznam in
Polonia, 2 a Belgrado e 3 a Zagabria in Jugoslavia, 3 in Bulgaria, 6 a
Mosca in Russia), utilizzando le conoscenze fatte nei periodi precedenti e un buon uso delle
lingue, riuscì ad aprire quel mercato ai prodotti della Ditta Marini.
Dal
1985, l’anno in cui la Marini divenne parte del Gruppo
Fayat, lavorò per alcuni anni come libero professionista per Fayat, poi andò in pensione.
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Pietro
Cesti il terzo da sinistra, in fiera a Budapest.
Pietro
Cesti (2008)
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