La disperata voglia di vivere di
Costanza Monti Perticari (figlia di Vincenzo Monti)
a cura di Luciano Lucci,
(con un
mix di testi tratti dal sito Casamonti,
dalla Treccani, da Wikipedia e soprattutto dalle pubblicazioni di Luciano
Baffioni Venturi, su Lo Specchio della Città, Gennaio 2008 Pesaro)
Il giorno 7 settembre 1840 a Ferrara
moriva Costanza Monti (Roma 1792-Ferrara 1840), unica figlia del celebre
Vincenzo, poeta ufficiale dell'Italia napoleonica, e vedova dei conte
pesarese Giulio Perticari.
Se ne andò povera, sola, assistita soltanto
dal cugino Cesare e dalle suore Orsoline del collegio dove aveva studiato
da fanciulla e dove aveva insegnato poi, negli ultimi tempi, finché la
malattia gliel'aveva permesso. Poco restava della sua fulgida immagine che
ne aveva fatto una delle donne più corteggiate del suo tempo. Il volto,
bianca cera di morte, scavato dalla malattia, il corpo macerato, il seno
devastato dal cancro che l'aveva divorata negli ultimi mesi, il braccio
sinistro gonfio e piagato. Gli occhi chiusi celavano definitivamente
quella luce intensa che li aveva illuminati fino alla fine, le labbra
ancora carnose, finalmente distese in un sorriso di pace dopo giorni di
incessanti lamenti. Le suore le avevano concesso la sepoltura sotto
l'altare dell'Addolorata, privilegio concesso raramente e solo a nobili o
a chi moriva "in fama di santità".
Chissà cosa avranno allora pensato i
benpensanti pesaresi che diciott'anni prima, alla morte di Giulio
Perticari, il marito, avevano assistito indifferenti alla sua clamorosa
cacciata da Pesaro con l'accusa di essere una "scellerata che si
mostrò sempre indegnissima di sì virtuoso marito ... di indole più
ferma che umana ... scaltra e rea femmina" che condusse anzitempo
il marito alla tomba.
MA
PARTIAMO DALL'INIZIO
Costanza Monti, in un ritratto di Filippo Agricola |
Costanza,
amatissima figlia del poeta Vincenzo Monti, era nata a Roma il 7 giugno 1792
dove visse fino all’età di 5 anni. Aveva ricevuto il nome della madrina
di battesimo, Costanza Falconieri Braschi, moglie del nipote di papa
Pio VI, don Luigi Braschi, di cui Vincenzo era segretario.
La
sua vita fino al matrimonio trascorse tra collegi e famiglia: a
partire dal 1797, quando, il padre Vincenzo Monti fuggì da Roma
a Bologna poi a Milano, causa delle amicizie francesi.
Costanza lo raggiunse con la madre a Bologna, dove restò in
collegio fino al 1798, seguendo poi i genitori a Milano. Di qui, nel
1799, prima dell’esilio in Francia del padre. |
In questi
anni tormentati Costanza trascorre lunghi periodi a Maiano, in Romagna,
presso la casa degli zii paterni, che continuerà a considerare per tutta
la sua vita un rifugio felice e prediletto e dove venne sempre accolta con
ricambiato affetto dagli zii e dai cugini.
Nel
1801 Vincenzo, fatto ritorno in Italia, la iscrisse al collegio delle
Orsoline di Ferrara, presso il complesso di S. Maria dei Servi, dove
Costanza risiedette, con frequenti soggiorni in famiglia, negli anni 1801-
1805. Sul finire del 1805, quando i genitori mossero in viaggio per la
Germania, si trasferì nel conservatorio di M.me de Bayan, sorella del
cardinale Alphonse-Hubert de Latier de Bayan. In seguito, probabilmente
fra il 1807 e il principio del 1811, fu di nuovo a Ferrara, presso il
monastero di S. Antonio, nel reclusorio diretto dalla signora Maria Chiara
Raspi. Studiò presso il
collegio delle Orsoline, lontana dai genitori, con i quali ebbe talvolta
rapporti conflittuali, lamentando il dominio assoluto della madre, donna
bellissima ed austera, nei confronti del padre.
COSTRETTA
DALLA MADRE A RINUNCIARE A UN MATRIMONIO D'AMORE
L’educazione
di Costanza, bella figlia di bella madre, fu seguita con amore dal Monti, per
la quale ebbe tante cure da cercarle un degno matrimonio, anche per il
prestigio del ruolo acquistato.
Andrea Mustoxidi |
Ma
nel 1810, sfumati altri disegni, Vincenzo progettò di dare in sposa
la figlia all’esule greco Andrea Mustoxidi, di cui Costanza si era
innamorata, era da lui ricambiata. Questi era uno studioso
valorosissimo e dotato di notevoli doti morali, ma spiantato, di
brutto aspetto e soprattutto povero e socialmente inadeguato. Per
quanto si fosse creato tra Mustoxidi e il padre di Costanza un
rapporto di mutua riconoscenza (il grecista aveva aiutato Monti
nella traduzione dell'Iliade, mentre il secondo lo aveva
accolto nella propria casa), la
moglie Teresa si oppose con fermezza, vincendo la ribellione della
figlia innamorata, e il marito Vincenzo l'accontentò.
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LE
NOZZE A MAIANO CON IL CONTE PERTICARI
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Mossisi
alla ricerca di un nuovo pretendente, nel 1811, superandone le
iniziali resistenze, Costanza fu promessa in sposa al conte
Giulio Perticari di Pesaro, che era anche lui grande amico del
Monti, altrettanto erudito del Mustoxidi, ma anche bello della
persona, affabile, faceto e ricco, seppur di cagionevole salute. Nonostante intrattenesse una relazione con la popolana Teresa Ranzi, da
cui aveva avuto un figlio Andrea, e avanzasse esose richieste dotali,
(il contratto nuziale prevedeva, infatti, una dote di 6000
scudi, l’interesse del 5% su altri 8000 scudi, oltre a 200 scudi
annui e al dono dei beni futuri con riserva di usufrutto per la
moglie) le nozze ebbero luogo il 7 giugno 1812 nella cappella della
famiglia Monti a Maiano e ricevettero l’omaggio della raccolta Inni
a gli dei consenti, coordinata da Bartolomeo Borghesi e offerta in
stampa da Giambattista Bodoni (Parma 1812). |
COSTANZA
VENTENNE PIENA DI VITALITA'
Costanza Monti, in un ritratto di Filippo Agricola
Costanza
quindi arrivò a Pesaro, come sposa al conte Giulio
Perticari, primogenito di una famiglia di piccola nobiltà, proprietaria
di un palazzo nel Corso cittadino e di poderi e ville a S. Angelo in
Lizzola. Il marito la inserì nell'Accademia letteraria cittadina, di cui
era un fondatore. Se da un lato però la passione per le lettere fu un
motivo di unione tra lei e il marito, di certo la sua bellezza, la sua
esuberanza e la sua voglia di vivere questa intensa esperienza culturale e
sociale alimentarono invidie e maldicenze sulla sua condotta morale.
Ventenne piena di vitalità, cordiale ed espansiva come è il carattere
dei romagnoli, non appena dava confidenza a qualche galante frequentatore
dei salotti immediatamente alimentava allusioni e maldicenze.
Il
matrimonio non fu felice, ma il conte tenne sempre la moglie in grande
considerazione, e anche Costanza, rimasta vedova, riserverà al marito
dolci parole dimostrando di averlo amato.
Ma
quella società solo in apparenza moderna ed aperta, in realtà di piccola
provincia pontificia, andava stretta per lei.
LE
MALDICENZE SU COSTANZA, 'DONNA DI FACILI COSTUMI':
NON ERANO VERE...
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Ritratto
di Costanza Monti in veste di Beatrice
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Ma cosa c'è di
certo sulla sua "vita licenziosa"? Sulla base di quali
pettegolezzi o fatti ella fu condannata come donna di facili
costumi, e ancora oggi la sua vicenda stimola morbose curiosità? La
meticolosa ricerca, da cui è presa la maggior parte delle cose qui
testualmente scritte, fatta da Luciano Baffioni Venturi, su Lo
Specchio della Città, Gennaio 2008 Pesaro, su lettere e
documenti d'archivio dimostra ben poco a sua colpa. |
Costanza
nel 1816 provò sicuramente una forte simpatia per un poeta aretino,
Tommaso Sgricci, fascinoso giovane e già celebre improvvisatore di versi
e persino di tragedie teatrali, amico del padre e di Giulio. Costanza
non s'accorse che lo Sgricci era un noto gay, e forse più
interessato a Giulio che a lei, ma poco importa perché l'infatuazione fu
breve anche se Costanza si dovette giustificare con il fidato amico
Antaldi per le maldicenze che circolavano nei suoi confronti.
Mentre
ben poco si mormorava contro il marito, il quale aveva varie amanti e un
figlio illegittimo da una popolana che ancora frequentava, e Costanza era
l'unica a non saperlo. D'altra parte, come volevano l'educazione e le
consuetudini dell'epoca, una donna doveva essere "figlia, moglie e
madre esemplare" mentre l'uomo poteva permettersi quelle
trasgressioni che soddisfano ai debiti di natura, come lo
giustificava la stessa madre di Costanza.
I
racconti e gli aneddoti raccolti dai primi biografi di Costanza narrano di
altri corteggiatori che tentarono di sedurla in vari momenti della sua
vita a Pesaro e che furono sistematicamente respinti:
il capitano dei
carabinieri pontifici Fortunato Gavelli che, rifiutato, la offese e la
colpi con un pugno;
Paolino Giorgi, giovane dandy pesarese che la
corteggiò e, respinto, sparlò di lei, mentre Costanza chiese piuttosto
all'Antaldi di calmare e pacificare il giovane che pure continuava a
infangarla.
Le lettere al "caro amico" Antaldo, di
ventidue anni più grande di lei e sposato da tempo con la bolognese
Lucrezia Hercolani, si concludono con "la tua Costanza" o con
"ti amo sempre teneramente", tanto che per le male lingue
anche l'Antaldi sarebbe stato un suo amante. I soliti "caccianosi"
riferivano persino di una sua morbosa simpatia per il giovanissimo
conte pesarese Terenzio Mamiani, mentre era studente a Roma nel 1818-19 e
visitava colà i Perticari.
Ad un
altro molestatore, il maggiore della Finanza Molinari, Costanza accenna in
una lettera ad Antaldo dell'agosto 1820.
Se da un lato l'amore per le
lettere rappresentava il vero punto di unione tra lei ed il marito,
dall'altro il suo carattere estroverso diede adito a numerose invidie ed
infondate accuse sulla sua condotta morale, che la costrinsero a lasciare
Pesaro, dove abitavano. Perticari
viene informato, dai soliti "amici" disinteressati, delle
chiacchiere sul conto della moglie, in particolare di incontri galanti nel
buio dei palchi del teatro, e ne è geloso ed offeso; ma, nonostante
tutto, egli l'amava.
Ecco che in una lettera all'avvocato Fazio Evangelisti,
rintracciata all'Oliveriana, così scrive: "Mio
caro amico, Madama me ne ha fatta una delle solite. Tutta ieri sera ha
civettato con un ufficiale: tutti i miei amici me lo hanno avvisato; mi
hanno illuminato; mi hanno consigliato (..). Per carità fate conoscere a
madama che queste non sono visioni o stravaganze e che io ho ragione, e
che l'amo ".
ALLA
MORTE DEL MARITO
La situazione poi peggiorò drasticamente quando
il Perticari morì a causa di un tumore al fegato e Costanza venne
pubblicamente accusata dai familiari del marito, ormai decisi a congiurare
contro di lei.
I
fratelli di Giulio in particolare, Gordiano e Giuseppe, per impossessarsi
della notevole dote e dei suoi preziosi manoscritti che stavano per essere
stampati, insinuarono persino che Costanza avesse avvelenato il povero
marito, col quale rifiutava di avere rapporti perché "aborriva
dall'aver prole"; addirittura che lei stessa aveva causato la
morte del figlioletto Andrea a pochi giomi di vita per essere più libera
nella sua vita libertina.
L'ultima
infamia prima della sua partenza fu allestita dal cugino prediletto di
Giulio, Francesco Cassi, che pagò dei monelli perché gridassero al
passaggio della contessa per le vie di Pesaro: "Traditora,
schifosa, avvelenatrice!". Purtroppo allora i tribunali tenevano
in ben poca considerazione le vedove, per giunta senza figli, e Costanza
dovette partire da Pesaro, infangata e depredata, nell'agosto 1822.
VEDOVA
E TRASFERITA NELLA CASA DEI GENITORI A MILANO
Ormai vedova, e trasferita in casa dei genitori a Milano,
Costanza fu corteggiata e chiesta in moglie da personaggi noti e
facoltosi, ma rimase vedova per rispetto al marito, come allora si usava
da parte delle donne. Rifiutò persino un proposta del celebre patriota
milanese Carlo Cattaneo che per lei scrisse due sonetti d'amore e che, si
dice, amava appoggiare il capo tra le sue ginocchia.
Costanza non si
liberò mai delle "chiacchiere" e nel 1825, a trentatré anni,
ancora giovane e bella, conobbe Paride Zaiotti, giudice e letterato
milanese, ammiratore e biografo del Monti. La madre scopri però
rapidamente la "tresca", accusò la figlia di avere sedotto
Zaiotti e fece in modo che Monti la cacciasse di casa. Così si esprime
Costanza nel suo diario: "Signore dammi la forza di perdonare a
questa donna crudele, dammi la grazia di amarla, ricorda alla snaturata
che mi perseguita ch'ella mi è madre, apri gli occhi all'accecato mio
padre e se è tuo decreto che una vittima cada in sacrificio, salva colui
che per sola mia cagione è ora bersaglio degli ingiusti colpi de' suoi
nemici". Costanza temeva, infatti, per il coinvolgimento della
innocente famiglia di Zaiotti, la cui moglie, Cattina, era stata
strategicamente informata di tutto dalla madre con la classica lettera
"anonima". Con l'abate Ambrosoli, suo confessore, si scagiona
dalle accuse.
non
si ribellò più
Diceva
Shakespeare della donna bella: "Se anche tu fossi casta come il
ghiaccio e pura come la neve, non sfuggirci alla calunnia". E
Costanza era bella, specialmente per i criteri dell'epoca, con i suoi
capelli biondo-castani ondulati, la carnagione lattea, le forme opulente,
gli occhi neri, luminosi e intensi, un sorriso dolcissimo appena velato di
malinconia.
Pur
criticando, anche aspramente, la società ottusa nella quale è stata
educata, l'egoismo e la falsità degli uomini, non si ribellò più, cercò
conforto nella religione e sublima le pene del cuore, il vuoto d'affetto,
la fame d'amore.
Ma magari avesse trovato un compagno sincero e
disinteressato in quegli anni tristi, poi aggravati dal tumore al seno.
Magari si fosse abbandonata ad un amore passionale, magari fosse riuscita
a ribellarsi ai suoi "doveri" di vedova e figlia obbediente! Le
accuse continue dei maligni la sopraffanno, la sua forte personalità
vacilla, pensa alla fine di essere veramente lei la causa dei suoi mali,
malvagia e colpevole.
Cadde
così in uno stato di depressione che si aggravò quando il padre Vincenzo
Monti, colpito
da un ictus e accudito da lei e dalla madre, morì nel 1828 dopo lunghe
sofferenze.
COSTANZA
VOLEVA LA CASA DELL'ORTAZZO, AL PASSETTO DI ALFONSINE
Esclusa anche dal
testamento del Monti per volere della madre, Costanza cercò un po' di
quiete presso i cugini in Romagna a Maiano.
Dato
che nessuna delle proprietà di Fedele Monti era andata in eredità al
figlio Vincenzo, ma solo agli altri due fratelli: il sacerdote Don Cesare
Monti, che abitò la casa di Maiano, fu proprietario anche di quella di
Alfonsine, insieme all'altro fratello ingegnere Francesc'Antonio. Quando
Don Cesare morì (1808) lasciò in eredità tutto ai quattro figli di
Frances'Antonio, dividendo in parti eque.
La
casa dell'Ortazzo andò al nipote Giovanni Monti, che dopo essersi
allontanato dalla Romagna la vendette nel 1822 al sig. Cassiano Bagnara,
che fu poi ereditata dal figlio Giovanni sposato con Lucia Garavini.
Tale compravendita
aveva colpito negativamente la figlia di Vincenzo Monti, Costanza Perticari
Monti, legata alla casa di origine per rispetto alla memoria del padre, e
che nel 1830 accarezzò l'idea di ricomprarla. Ma tale progetto fu
vanificato dagli ultimi casi dolorosi della sua travagliata vita.
MALATA
DI CANCRO AL SENO
Dal 1836 si trasferì a
vivere presso il Convento delle Orsoline a Ferrara. Qui scoprì anche
l'evolversi della malattia: cancro al seno.
Giovan Battista
Niccolini, famoso letterato e patriota toscano, incontrò Costanza ormai
malata di cancro in casa dell'amico comune Laudadio Della Ripa e tra loro
nacque un amore spirituale, che i malevoli videro come una relazione a
fini di matrimonio. Ma Costanza ormai considera l'amore 'per le donne
solo un corso non interrotto di sacrifici; per gli uomini,
d'egoismo'.
Prima di morire all'età di quarantotto anni, dopo
più di tre anni di penosi tormenti fisici e morali, Costanza ordinò di
bruciare buona parte delle lettere personali (forse d'amore) che aveva con
sé a Ferrara. Il medico curante dottor Finzi, anch'egli affezionatosi
alla povera donna, così scrisse a Paride Zaiotti: "Col
più profondo dolore devo annunziarle che questa mattina volò in Paradiso
la impareggiabile Costanza. Colei che fu la nostra diletta amica, che
visse virtuosa ed è morta martire e santa, ora è beata nell'amplesso di
Dio. Io volea sfogare con voi il mio dolore, ma esso è troppo grande, e
sono istupidito come un uomo senza mente".
Ai
piedi dell'altare della Vergine Addolorata l'epitaffio della lastra
tombale, dettato per lei da Paride che l'aveva molto amata, recita: "La
figlia di Vincenzo Monti, la vedova di Giulio Perticari, Costanza, anima,
cuore, ingegno pari a questi gran nomi, di fortuna ahi troppo diseguale,
qui sotto l'altare di Maria Addolorata, suo rifugio e sua tutta speranza,
depose come aveva desiderato la terrena sua spoglia e i suoi patimenti.
Sempre buona, ora anche felice".
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