Alfonsine


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DIARIO DI GUERRA

(di don Luigi Liverani)

Diario di guerra

  (dal Diario di guerra di don Luigi Liverani, archivio parrocchiale di S. Maria, inedito) 

INTRODUZIONE DI ADIS PASI

“Diario di guerra” è scritto su un quaderno a righe, ai miei tempi chiamato "quaderno di quinta", perché si usava solo a partire dalla quinta elementare, da pagina 1 a pagina 20. Fino alla sesta riga di pagina 9 è scritto a penna, dalla settima, a matita. 

Sulla pagina 21 è incollato un blocchetto di foglietti (cm. 9,6x 17,3), tutto scritto a matita, che porta la pubblicità di una crema di latte: MOU PECORI CREMA DI LATTE.

Sui venticinque foglietti è contenuta la cronaca degli avvenimenti alfonsinesi dal 25 luglio 1943 al 4 dicembre 1944. 
Il Diario è scritto in maniera affrettata e ben lontano da quella correttezza che si rileva negli scritti su "L'angelo della famiglia". 
Probabilmente furono righe scritte affrettatamente per fissare date e avvenimenti e da rielaborare in seguito. 
La Chiesa onorò don Luigi Liverani conferendogli il titolo di Monsignore. La repubblica Italiana gli conferì il titolo di Commendatore.
                                                                        A. P.

 

26 luglio 1943 Alfonsine
  A capo delle città sorelle della Provincia insorge contro il fascismo e la guerra. La casa del Fascio è presa d'assalto, vien distrutto quanto vi è dentro; un gruppo di persone scorazza nel paese e paesi circonvicini più che altro per esprimere la gioia della caduta del fascismo...  alla fine della guerra. Ma poi prendendo le cose una tinta più di rivoluzione che altro, ci vuole tutta la tattica dell'arma dei C.C. il Tenente Cappelletti e il Maresciallo Novi. 
    Più tardi sopravvenne un gruppo di allievi ufficiali comandati da un capitano che unitamente ai carabinieri presero il  comando della piazza e poiché la faziosità di alcuni teneva vivo un sentimento che non era di tranquillità imposero il copri fuoco. Fu in questo periodo che il barbiere Scudellari Enrico avendo tentato di opporsi alla forza che imponeva di obbedire agli ordini dato fu ferito ad una gamba. 
    Gli allievi ufficiali rimasero quasi due mesi. Si erano installati nelle scuole elementari e nel palazzo ex Marini di proprietà del sig. Preda Antonio. La sera dell'8 settembre si seppe per radio la prima notizia dell'armistizio. I commenti sono vari. Tutto però rimane tranquillo. Al mattino del 9 un gruppo di persone si radunarono nella piazza. - Terzo Lori, Fenati ecc. - e decidono per il pomeriggio un corteo per il paese. Ottengono dal Tenente e dal Maresciallo precise assicurazioni che tutto si sarebbe svolto con ordine, l'autorizzazione. Alle 18 difatti il corteo si snoda per corso Garibaldi Via Reale, Via Mazzini, Via Mameli e ritorna in piazza. Tutto si è svolto in silenzio, ma non si può lasciare l'immensa folla così senza dire nulla. Era venuto per l'occasione uno studente di Ravenna il quale avrebbe voluto parlare ma non sapeva dove perché dal palazzo comunale non fu dato l'ordine. 

Si chiese la canonica e fu data. Lo studente disse alcune parole di incitamento, ma o non avvezzo a parlare o non troppo sicuro di ciò che doveva dire, non soddisfece la folla avendo detto di obbedire alle autorità accennò anche all...  

Fu allora che Bonetti (Fiamet) a nome di alcuni organizzatori venne a chiedere che parlasse l'Arciprete. Dietro anche l'insistenza del Tenente e del Maresciallo che con l'Arciprete avevano creato un trinomio per un aiuto reciproco fattivo e sereno, l'Arciprete parlò. Cercò di calmare gli animi a non illudersi di fronte all'armistizio che poteva anche essere qualche cosa di non così bello come si poteva pensare, raccomandò l'unione, la fortezza, la serenità ed invitò a mostrarsi sempre degni della Patria e della libertà per cui si combatteva. Per il popolo e per tutti da quel momento l'Arciprete divenne l'elemento equilibratore e la persona di cui ci si serviva per le cose più delicate. Il 10 difatti essendosi sparsa la voce che i tedeschi avrebbero occupato il paese, una folla immensa corse alla caserma per chiedere le armi onde combattere; voleva l'ordine di prelevare il grano dell'ammasso per nasconderlo nelle case; formare una commissione per l'alimentazione quotidiana di carne e altri viveri ecc. Chiamato l'Arciprete presso i carabinieri dopo un lungo colloquio si riuscì a persuadere la folla a ritornarsene tranquilla perché i tedeschi da notizie avute da paesi vicini non erano né vicini né in movimento. Per l'approvvigionamento granario dopo aver sentito il responsabile dell'ammasso Minarelli Alfeo che aveva preso gli ordini dal centro parrocchiale in una adunanza tenuta la sera nel palazzo comunale - assenti il commissario prefettizio Dr. Lucherini e il segretario comunale Avv. Fantuzzi fu combinato di dare un po' di grano a tutti nei giorni successivi. La calma che aveva incominciato a regnare ad Alfonsine non fu solo apparente, ma reale. I fascisti stessi non furono toccati. Anzi fu chiamato l'Arciprete dai dirigenti il movimento generale a far opera di pacificazione passando presso gli stessi fascisti più in vista a dichiarare loro di muoversi liberamente che nessuno li avrebbe tormentati. Intanto essendo i soldati dopo il 9 sett. ritornati a casa, verso la fine del mese si ha notizia di manifesti firmati dai tedeschi e da Mussolini che era stato liberato che richiamavano alle armi i... fuggiti sotto pena anche di fucilazione. 

Ad Alfonsine non fu visto nessun manifesto perché man mano che uno compariva veniva immediatamente strappato. Ai primi di ottobre il fermento cresce perché si sa di qualche soldato preso e inviato a combattere. L'Arciprete in chiesa a varie messe invita i giovani a non presentarsi dichiarando che il giuramento militare non l'avevano prestato a Mussolini ma al Re. Il discorso fa colpo. I giovani si irrigidiscono e rimangono a casa nascosti. Frattanto il capitano [F.] che in un primo momento dietro suggerimento dell'Arciprete e del priore di S. Alberto D. Zalambani aveva accettato, se fosse stato necessario, anche di organizzare un piccolo gruppo di ufficiali e soldati locali, per difendere la zona dai tedeschi se si fosse dovuto combattere, improvvisamente si presenta al distretto di Ravenna e vien messo a capo del reclutamento dei soldati sbandati. Trova un aiuto in [ un ] sergente, che ogni tanto viene ad Alfonsine per osservare e riferire poi per una eventuale chiamata, quanti e quali fossero quelli che erano ancora a casa. Nonostante le insistenti chiamate molti resistono. Anzi organizzandosi allora i partigiani i più preferiscono questi all'esercito. Per consiglio dell'Arciprete stesso il Geom. Montanari Rino ufficiale dell'esercito organizza per istruirli un folto gruppo di giovani che, preparati, saranno più tardi futuri partigiani. 

La resistenza di Alfonsine secca a Ravenna. Il discorso dell'Arciprete in chiesa non poteva che essere stata la causa di queste risposte negative. Oltre la metà d'ottobre su "S. Milizia" appare un articolo contro l'Arciprete di Alfonsine definendolo porco, traditore ecc. e ricordando il discorso tenuto in chiesa, l'articolo conclude con delle minaccie. Pochi giorni dopo difatti nel tardo pomeriggio appare sulla piazza un camion di camicie nere le quali dopo aver tirato alcuni colpi di arma da fuoco in aria per intimorire prendono alcuni giovani fra cui il barbiere Guer rini Primo e li costringono a scrivere sui muri particolarmente della chiesa e canonica frasi contro Badoglio e il re e in favore di Mussolini e soci. 

E' da quella sera che la banda Cammilli si installa nella casa del Fascio per 5 mesi. Dai giorni dell'armistizio il Dr. Lucherini podestà dà le dimissioni. Viene un commissario prefettizio da Ravenna che cerca di barcamenarsi. 

Cammilli ha l'ordine di fare libro nuovo. Si installa commissario comunale e commissario del Fascio. In comune per paura che gli impiegati non facciano ciò che egli vuole instaura il terrore. Nella Casa del fascio sua dimora chiama tutti i giorni qualcuno a rapporto. E minaccia se non rispondono come egli vuole. In un primo momento un po' di paura entra nell'animo della popolazione anche perché specialmente di notte si udivano scariche nutrite di fucileria un po' dappertutto. Verso la fine dell'anno sul ponte della Reale Cammilli istituisce il posto di blocco per controllare chi va e chi viene. Ma poi a tutto si fa l'abitudine. Cammilli non fa più una grande paura. Per mezzo del Maresciallo e del Tenente Cappelletti si riesce a sapere tutto quello che vuole, chi chiama, perché chiamerà e si riesce così ad avvertire in tempo i futuri chiamati. Però Cammilli é riuscito a costituire il nuovo gruppo dei repubblichini. Alcuni [ hanno aderito per convinzione altri come Tassinari Sante, Vettese per forza. La sera del 26 dic. in piazza viene ferito [ un fascista ]. Al suo fianco vi [ un amico ]. [ Il ferito] viene portato all'ospedale. [L'amico] con Cammilli fanno fuoco dagli occhi. È il primo attentato contro il fascismo. Bisogna vendicarlo. E purtroppo nella notte nonostante che i benpensanti volessero farli desistere un gruppo di fascisti va a prelevare Pezzi Antonio a Taglio Corelli e lo uccidono. Per 8 giorni coprifuoco. Chi [è stato l'attentatore?] Mah! Qualcuno pensa che sia stato librì. E i repubblichini pensano di prenderlo. Ma sono così ingenui che lo dicono. Lo sa l'Arciprete per mezzo di [R.]; lo sanno i carabinieri. Librì vien fatto fuggire. E quanti altri sono stati fuori sono fuggiti, sapendosi le cose antecedentemente, I fratelli Pescarini son sempre rimasti a casa. Ma né i Carabinieri, né i fascisti li hanno mai trovati perché quando avveniva la visita non... c'erano mai. Per affermare la sua autorità con la paura, Cammilli quando non riusciva a far fare ciò che voleva imprigionava. Per mezzo suo furono parecchi in carcere: Bendazzi Bruno, Stoppa Domenico, Raffaele ecc. Dietro il lavoro indefesso e silenzioso dell'Arciprete riuscirono sempre e tutti ad uscirne. Siccome Cammilli s'accorgeva che tante sue cose non andavano a punto, e si era convinto che molta colpa l'avesse l'Arciprete che riusciva a sapere in antecedenza, se l'era presa con lui. E varie volte lo faceva chiamare per rimproverargli cose inesistenti o lo metteva alla prova dando ordini senza senza comunicarli all'Arciprete presenziando poi alle Messe la domenica per sentire se parlava. Ma l'Arciprete riusciva a sapere sempre a mezzo dei Carabinieri e parava la botta. Sulla fine di febbraio una notte venne assaltata la casa del fascio. Colpi d'arma da fuoco al ponte, colpi d'arma da fuoco alla Casa del fascio. Al mattino fu vista appoggiata sul retro una scala a pioli da campo mal legata, messa in posizione come di gente che fosse salita per essa onde assaltare la abitazione. Si sparse la voce che nella notte i partigiani avessero voluto far fuori i fascisti: si impara più tardi che l'assalto alla casa del fascio c'era stato realmente ma non da parte di partigiani, ma di fascisti ferraresi che l'avevano con Cammilli. È certo che dopo questo fatto Cammilli non si sente ad Alfonsine più a suo agio. Ai repubblichini fa sapere che avrebbe lasciato libero il paese qualora si fossero trovati un commissario per il fascio e uno per il comune. L'Arciprete messo al corrente dai Carabinieri ne parla con Guido Errani con cui era in relazione e si propone, qualora accettassero, di nominare commissario del fascio Tassinari Sante e commissario del Comune Pietro Vettese. Il compito di persuaderli è dell'Arciprete, il quale ci riesce e dopo la metà di marzo finalmente Cammilli e soci se ne vanno. Si respira. Il lavoro di osteggiamento al fascismo che si compiva sotto sotto, va riprendendo, rafforzandosi, allargandosi. 

Si pensa al Comitato di Liberazione nazionale. Nella domenica delle palme alle 16 l'Arciprete, Servidei Bonafede, Manzoli Annibale, Guido Errani e Augusto... rappresentante degli anarchici si radunano nel Fiumazzo in casa di Carlón verso la fossa Bacécla per costituirlo, e iniziano il lavoro. Si ha uno scambio di idee si nominano le cariche. L'Arciprete Presidente, Guido Errani cassiere, Fidèna o Servidei Bo nafede segretario. Giacché però non è prudente radunarsi in ambienti privati si preferisce fare le altre adunanze nel teatro parrocchiale. Ci sono tante porte per poter entrare! La prudenza consigliò anche più tardi che ciascuno dei primi membri nominasse una persona di fiducia che frequentasse l'adunanza mentre i primi membri per sviare in qualche modo le spie, se ne andavano per il paese. Si riuscì così per parecchio tempo a lavorare nascostamente raccogliendo offerte per i partigiani e ad organizzare il lavoro di aiuto. A maggio le cose cambiano. Al 2 nel pomeriggio un fascista di S. Alberto che aveva indossato la divisa il giorno stesso, viene ucciso nei pressi del canal Naviglio. I fascisti del posto di blocco non se ne sono accorti. Se ne accorgono pas sando alcuni dirigenti del fascio di Forlì, che oltre ad avvertire il posto di blocco vanno a mettere sossopra la federazione di Ravenna. Sulle 7 di sera un camion di iene fasciste piomba sulla piazza V. Monti e comincia a sparare all'impazzata a destra e a sinistra. Tutti corrono nelle case e chiudono le porte. Il deserto esaspera sempre di più questi disumani. Si buttano per tutto il paese alla caccia dell'uomo. In poco più di mezzora sotto la Cassa di risparmio dove s'erano fermati il camion e i comandanti sono state radunate oltre una quarantina di persone. Un milite si porta in canonica e impone all'Arciprete di presentarsi al comandante. L'Arciprete risponde che è in casa e che se il comandante ha bisogno di parlargli l'attende. Alcuni minuti più tardi i militi che si presentano sono due con l'ordine di sparargli se l'Arciprete non si fosse presentato. Fra l'Arciprete e il comandante avviene questo colloquio: Com: Perché non siete venuto quando vi hanno chiamato? Arcip.: All'autorità che ha bisogno si presenta, non si comanda. Com: Che autorità siete voi? Arcip.: Fino a prova contraria sono la prima autorità religiosa del paese. Com: Non fate troppo il gradasso perché vi possiamo fucilare. Arcip.: Se credete che abbia commesso delitti tali degni di fucilazione fate pure. Com: Perché andate predicando in chiesa che non si ubbidisca ai fascisti? Arcip.: Io in chiesa spiego il Vangelo e non faccio politica. Com: Lo vengono poi a dire le donne. Arcip.: Se voi credete a ciò che le donne possono riferire ne potete sentire delle belle. Com: Basta, fatela finita col rispondere così arrogantemente. Il Dr. Augusto Errani che è fra i rastrellati si presenta come medico e dice che deve andare per un ammalato molto grave. Il comandante lo lascia. Arriva in questo momento anche il Dr. Cesare Montanari capitano della milizia, il quale con l'autorità del grado e con la conoscenza che ha delle cose di Alfonsine cerca di calmare i fascisti e riesce a fare inviare alle rispettive case i rastrellati. Finalmente anche l'Arciprete dopo una ramanzina di fare il prete e non il capo partigiano viene rilasciato. Anche i fascisti se ne vanno. Ritornano nella notte con l'ordine di impiccare 10 persone fra cui l'Arciprete, il Dr. Sgarbi, Grazioli ecc. Il Dr. Montanari riesce anche questa volta, pur con molta fatica a far rientrare gli ordini. 

Due giorni dopo, vien ucciso [ un fascista ] lungo la via Reale. Le cose si fanno serie. Il Dr. Montanari, il Sig. Vettese e Tassinari Sante riescono però a fermare spedizioni punitive anche per la prudenza del federale Montanari. L'Arciprete viene però consigliato di cambiare per un po' di tempo aria finché si calmano le cose. Rimane fuori 10 giorni e poi ritorna anche perché va male per i carabinieri. I fascisti non si fidano più di loro. O si organizzano volontariamente nella milizia o forzatamente venivano inviati in campo di concentramento. Riescono tutti a fuggire. Solo il Tenente Cappelletti vien scoperto. Preso viene inviato a Bologna e di là in Austria, da dove riuscirà a tornare solo dopo la guerra. 

Durante la trebbiatura avvengono dei guai. Gli operai non vogliono trebbiare. O si cresce loro il prezzo delle opere o altrimenti boicotteranno il lavoro. Dal federale Montanari vien chiamato l'Arciprete perché cerchi di persuadere gli operai ad agire in conformità agli ordini. Ma l'Arciprete risponde che non ha ascendente e... non sa a chi rivolgersi. La questione pian piano si rimedia e il grano si trebbia. Al 25 luglio vien ucciso [un altro fascista]. Al funerale prendono parte le autorità federali e si vede aria di minaccia. Non succede nulla però. 

Al 7 agosto sulla Via Reale cade ferito da arma da fuoco [un uomo]. Trasportato all'ospedale riesce a ricevere i Sacramenti e muore il giorno dopo. I funerali si svolgono con intervento di fascisti abbastanza imponente. Al cimitero il federale Montanari ferma l'Arciprete e lo avverte che se avesse dovuto succedere ancora qualche cosa, responsabile sarebbe tenuto lui. Il giorno dopo in via Destra Senio alcuni giovani tentano di bloccare una gips tedesca. L'arma fa cilecca, uno dei giovani viene ferito gli altri riescono a fuggire. Il ferito viene portato all'ospedale. Nella notte tedeschi e fascisti iniziano un grande rastrellamento. Al mattino anche il sagrestano vien prelevato e avviato nelle scuole elementari dove avevano radunati tutti gli altri rastrellati. è domenica. Come al solito in chiesa s'è celebrata la 1° Messa ma con poca frequenza di gente che non arrischiava di uscire. Sono le 8 è ora della seconda Messa. L'Arciprete s'è preparato per iniziarla. Quando entra in chiesa due militi col mitra spianato lo fermano e ordinano di seguirli: l'Arciprete insiste adducendo la scusa che deve celebrare la Messa. Non vale. Deve togliersi i paramenti sacri e seguirli. Appena si presenta al portone delle scuole i tedeschi che avevano fatto il rastrellamento ordinano che il pastore se ne ritorni via, ma i fascisti che hanno l'ordine di prendere anche l'Arciprete riescono a persuaderli e caricati lui e alcuni uomini su camionette li conducono alle carceri di Ravenna. 12 Agosto. Dirigeva l'operazione il camerata Andreani. 

Il 15 mentre l'Arciprete è in carcere avviene il 1° bombardamento di Alfonsine in cui perdette la vita Galletti Armando. Il 17 a Ravenna viene ucciso Cattiveria. Il 22 agosto l'Arciprete per interessamento dei suoi, del Dr. Montanari Cesare, del Vescovo e del Prefetto Grazioli vien rilasciato dal carcere con l'ordine assoluto di non presentarsi più ad Alfonsine. Libero, l'Arciprete di Alfonsine, poteva essere un elemento pericoloso. Raffaelli il comandante della zona di Faenza che anche egli deve subire l'ordine del Prefetto assieme ai fascisti della liberazione dell'Arciprete cerca di individuare il luogo dove possa essere rifugiato. Venuta la cosa all'orecchio del Dr. Cesare Montanari, da vero amico corre ad avvertirlo perché fugga in tempo. E l'Arciprete riesce proprio a rifugiarsi a Bologna il 1° settembre poche ore prima che nella villa del Seminario di Faenza a Marzeno arrivassero i militi a cercarlo. Il 2 settembre ad Alfonsine avviene intanto l'assalto alla casa di Runcaia (Emaldi) in Via Mameli dove vengono uccisi il commissario prefettizio [...], [un milite] e vengono feriti alcuni [altri] militi. È la fine... per i fascisti. Non comanderanno più ad Alfonsine. Il nuovo commissario [...] sarà buono remis sivo farà tutto quello che può per accontentare la popolazione. Ma con la fine di ottobre cesserà ogni autorità. Il 3 novembre l'Arciprete torna ad Alfonsine, ma per prudenza rimane nascosto in casa fino al 4 dicembre quando s'incendiò il cinema Aurora. 
(Il diario continua nelle pagine a righe da pagina 1 a pagina 20)

"Chi ai primi di dicembre del 1944 avesse detto agli Alfonsinesi che la guerra avrebbe sostato ai confini del comune per oltre quattro mesi e che per lo stesso tempo la vita si sarebbe svolta in prima linea, il minimo che gli sarebbe potuto tocare era certamente una lunga sequela di improperi e una cacciata a furia di calci. Era tale la sicurezza che la guerra ad Alfonsine sarebbe passata come una cosa dolce dolce, che il minimo dubbio in contrario non poteva sorgere. E la sicurezza s'era poi accresciuta quando sulla fine di novembre i partigiani partendo avevano dato l'appuntamento ai loro per una decina di giorni dopo. 

Penso che anche questa sicurezza abbia cooperato e non poco a vivere quotidianamente la lenta agonia di questa febbre intermittente che metteva a dura prova i nervi, i cuori nella lunga attesa della liberazione. 

Alfonsine per 125 giorni - quanti ne sono passati dall'arrivo della prima granata fin al giungere delle truppe italiane - ha vissuto la pagina più bella della sua storia, del suo eroismo della sua fede italiana. Granate che piovevano quotidianamente ed in abbondanza producendo scoppi e danni non lievi, quattro ordini di sfollamento, con bombardamento, saccheggi ripetuti da parte degli S.S. costrizione al lavoro, deportazioni, incendi, distruzione quotidiana di case non hanno valso a rimuovere la maggior parte della popolazione dal proprio paese. Da una casa all' altra, da un rione all'altro, da un borghetto all' altro, stringendosi, quasi come le sardelle nel barile, abbandonando tutto quello che man mano si rendeva meno utile, s'abbarbicava questa gente, tenendo testa al tedesco che minacciava, che faceva soffrire, che derideva i dolori e le sofferenze, che cercava di provare la pazienza, di provocare anche l'incidente per poter avere un punto d'appoggio di più alle sue barbarie. Paziente, serena, forte, decisa essa ha sostenuto questa lotta passiva per salvare tutto ciò che era possibile, contendendo palmo a palmo il terreno alla distruzione, oggetto per oggetto le proprie cose, minuto per minuto il tempo, sempre attendendo con ansia. Cadevano quasi tutti i giorni le vittime: una lacrima tributo della pietà umana scendeva dal ciglio, una parola di conforto per i colpiti dal dolore, poi subito la ripresa più forte per una resistenza più tenace. La vita per tanti si svolgeva quasi completamente di giorno e di notte, nei rifugi o sottoterra alle volte anche con l'acqua, nei pochi sotterranei esistenti in alcune case, nelle camere più riparate a pian terreno. L'affiatamento più completo tra famiglie che forse mai s'erano trovate vicino s'era iniziato; si mangiava alla stessa tavola, nello stesso modo, come si poteva, facendo a meno di tante comodità che una volta sembravano indispensabili; si dormiva in letti non sempre molto puliti e spiumacciati, in due o tre in una rete sola senza che il russare di uno o di vari, che gli aliti accumulatisi lungo la notte il giorno, o l'aria che penetrava da finestre poco chiuse, che la strettezza del posto che impediva alle volte anche il muoversi desse luogo a lamentele o fastidi insuperabili. Combattevano i soldati, i partigiani, gli alleati per noi per liberarci, ma noi ci si doveva rendere degni della liberazione. Erano essi in prima linea, ma c'eravamo anche noi. E la nostra lotta, il nostro sacrificio non ammetteva sosta o riposo. Bimbi, donne, giovani, uomini anziani erano tutti tesi ad una stessa meta: arrivare in fondo uniti. La paura era una cosa sconosciuta. Bisognava vederli i giovani, anche sotto le granate portarsi dove veniva segnalato un ferito od un morto onde recargli soccorso. Bisognava vederli nel loro coraggioso lavoro di approviggionamento quando passavano i ponti stretti, le strade appena praticabili o si recavano nelle case a recuperare quant'era possibile perché o non cadesse in mano ai tedeschi o rimanesse sotto le macerie. Bisognava vederli quando presi per rastrellamento cercavano il momento per sfuggire o per boicottare; incanalati, nessun alfonsinese è rimasto prigioniero o è stato deportato in Germania. Donne, uomini. bambini si aiutavano a vicenda, si nascondevano, si rendevano utili l'uno all'altro. E ciò per oltre quattro mesi. (...) 

Non si era però impreparati alla resistenza anche materialmente. Ogni casa aveva il suo vettovagliamento specialmente in farina in grande abbondanza. 
Due volte la settimana veniva fatta la distribuzione di carne. I fornai cuocevano il pane anche arrischiando la vita per quanto era possibile tutti i giorni. Per le cure sanitarie oltre all'ospedale civile al di là del Senio si era adibita parte del palazzo comunale ad ospedale civile. E il palazzo comunale divenne anche per un po' di tempo il rifugio dei senza tetto, del comitato clandestino di L.N. Il più  calmo fu il mese di dicembre; ma all'ultimo giorno dell'anno il primo ordine di sfollamento inizia lo stillicidio dei dolori più gravi. Tre giorni di tempo e l'ordine non ammette scuse. è un soldato tedesco che lo promulga e perché tutti lo sappiano passa e fa passare in tutte le case richiedendo la firma del visto. Si partirà? Sotto le granate è l'Arciprete che con alcuni altri, non potendo trovare il comando germanico si reca a quello della X Flottiglia Mas, brigata Lupo, ed ottiene dal co mandante 36 ore di proroga. Qualcuno decide di partire, anzi vari se ne vanno; ma per la strada o sono derubati, o sono fermati, gli uomini presi a lavorare. Che si fa? La mattina del 2 gennaio un attacco forte da parte degli alleati impedisce anche ai più coraggiosi di partire. Ci si trova sul tardi e si decide con la maggioranza di restare, costi quel che vuole. Ci cacceranno. E si rimase. Si circolava prudenti ma si riprese la vita di prima. Il 14 gennaio gli S.S. che già da vari giorni sono giunti in paese iniziano l'opera di razziamento. Non c'è stata casa che non sia stata visitata da loro, in cui non sia stato rubato tutto ciò che a loro era utile e rotto e calpestato e rovinato ciò che non serviva. E ciò o sotto gli occhi dei legittimi proprietari impuntati col fucile, o mentre questi erano rinchiusi a chiave in qualche camera senza modo di sfuggire. E ciò di giorno e di notte in qualunque ora. E alle volte si era costretti anche a portare la roba propria dove essi volevano, come successe all'Arciprete, o a rubare e caricare la refurtiva per loro. Quanti però in questo secondo caso han fatta persa varie cose o ridandole al legittimo possessore o consegnandola ad altri per essere poi ricuperata. Il passaggio di questi razziatori non piegò però menomamente l'animo degli alfonsinesi. E non c'era stata casa in cui anche i più segreti ripostigli non fossero stati violati e saccheggiati. Difatti quando alcuni giorni dopo la Feldgendarmerie ingaggia uomini per lavorare ne trova pochissimi e solo ammalati ed è costretta a fare il rastrellamento, a chiudere in varie case in ostaggio quelli trovati nelle case. Verso la fine di gennaio l'ordine di sfollamento si ripete. È un capitano tedesco, quello comandante di piazza, che l'ordina. Chi pensa di poter fare come la volta precedente. È ancora l'arciprete che si presenta, ma il capitano è irremovibile. Anzi ha dato anche ordine che la stessa infermeria di piazza dal palazzo comunale venga sgombrata e all'uopo, dice lui, mezzi di trasporto saranno procurati per il trasbordo.
  Luogo di rifugio: Ferrara. Anche questo capitano aveva dato tre giorni di tempo. Non capiterà pure questa volta una qualche circostanza che o ritardi o impedisca? Al mattino del 3° giorno una notizia sinistra si sparge nel paese. Il Senio sulla sinistra ha straripato. La falla si allarga di momento in momento. I ponti, già distrutti dal bombardamento di aeroplani sono stati travolti nelle parti rimaste. Nel borghetto adiacente al fiume l'acqua è salita a 2 metri. Invocazioni di soccorso. Si corre. Squadre di giovani si prodigano in tutti i modi per salvare persone e cose. Già l'acqua si è incanalata. Le prime case cadono. Il disastro s'allarga. L'Arciprete si porta dal capitano per fargli capire la situazione, ma la risposta è ancora questa: si deve ugualmente sfollare. Se non ci sono altri ponti c'è ancora quello della ferrovia che verrà subito allargato. Ed aggiunge: Chi dentro domattina non sarà sfollato sarà cacciato coi fucili ed internato. Cedere? No! Si deve resistere ancora. Ma purtroppo al mattino dopo, quella iena eseguisce la minaccia. La piazza è la prima che subisce l'affronto. Anche tutti i civili rifugiati nel l'ospedale devono iniziare lo sfollamento. Solo i malati rimarranno per il momento. Il personale maschile di servizio è fermato. Si vuole prenderlo per costringerlo a lavorare diversamente. Ma riesce a fuggire e quasi nessuno sfolla. In due giorni nella parte destra del Senio tutti partono. Solo i pochi ammalati rimangono a popolare la zona. Inizia a questo momento anche la distru- (parte scritta a matita) - zione materiale sistematica da parte dei tedeschi, di Alfonsine. La chiesa, che cade minata da 30 bombe di 1/2 quintale l'una appostate lungo le navate e le colonne da alfonsinesi costretti dai distruttori, poi la canonica, l'asilo e via via tutto il resto specialmente di corso Garibaldi. 

Il 4 febbraio dal palazzo comunale una parte dell'ospedale viene spostato in casa Argelli dietro al palazzo Ferné che serviva da infermeria per i tedeschi, mentre il comando l'avevano traportato in via Mameli nella casa Santoni. Il prof. Pasini era riuscito a far riconoscere per mezzo dei partigiani dagli alleati la zona compresa da via Mameli Mazzini e Saffi. come un grande ospedale e fu questa una vera fortuna perché pochissime furono le bombe che piovvero in questa parte del paese durante i due mesi d'attesa. Coadiuvarono il prof. Pasini nel campo chirurgico nei sotterranei del palazzo Ferné il Dr. Sartori di Padova e vari infermieri volontari. Nell'ospedale civile oltre al Dr. Lucherini direttore vi era il Dr. Minarelli, il Dr. Stella e lo studente in medicina Nandino Baioni. Sulla destra nel palazzo comunale era rimasto il Dr. Errani. Per l'assistenza religiosa l'Arciprete pensava all'ospedale di Casa Argelli e del Palazzo comunale: all'ospedale di Via Reale i due cappellani D. Fioravante Zanelli e D. D[omeni]co Parmeggiani che era già stato ferito da bomba il 28 dic. 1944 in canonica durante un bombardamento. 

La cucina nell'ospedale civile era (no) tenuta dalle suore, nella casa Ferné oltre che dalle suore che che vi lasciarono vittima una loro consorella Suor Nanda anche dalle sorelle dell'Arciprete e da alcune giovani locali: da giovani d'ambo i sessi in piazza. 

Alla raccolta dei feriti, all'approvvigionamento pensavano i giovani della G.A.P. Il centro organizzativo aveva sede nella casa Argelli dove ogni settimana i membri della C.L.N. si radunavano. 

Grandi cose non avvennero in questi due mesi, se si vuol togliere il trasbordo dalla sinistra Senio anche dell'ospedale del Palazzo comunale nella casa Pezzi in via Mameli 44 perché il palazzo comunale doveva saltare. I più terribili furono gli ultimi 10 giorni. I fascisti non si erano più fatti vivi ad Alfonsine dall'ottobre 1944 se non si vogliono considerare fascisti i giovani della X Mas che per alcuni mesi stettero prima in Via Stroppata alla pesa Piancastelli poi in Via Roma e che ebbero nell'ultima sera dell'anno un soldato morto per cui chiesero l'intervento dell'Arciprete perché cercasse uomini che lo seppellissero. Due si prestarono.

I fascisti si fecero vivi dunque alla fine di marzo con la scusa di un'opera filantropica: trasportare tutti gli ammalati. Siccome si era saputo che si sarebbe stati alle corte, si cercò di resistere più che era posibbile (sic). E si riuscì in parte. La notte del venerdì santo un gruppo di questi guidati da un capitano si portarono sia all'ospedale di Via Reale come a quello di casa Argelli per ritirare un certo numero di ammalati. Nella 1° sera non riuscirono. Però l'ordine così tempestivo e perentorio mise in condizioni di doverne cedere loro alcuni dei vecchi alla sera dopo. Le condizioni inumane di trasporto - li caricarono su di un camion aperto, rannicchiati alla meglio e li fecero viaggiare tutta notte fino a Tresigallo - allarmarono la popolazione Alfonsinese, la quale insorse di fronte a questo barbaro sistema di trasporto di malati. Due difatti morirono pochi giorni dopo. All'insurrezione prese parte anche il tenente medico austriaco direttore dell'ospedale tedesco che aveva sede nel palazzo Ferné nella parte superiore. Il tenente era un buon giovane. A quanto si sapeva aveva sposato la nipote del Card. Innitzer Arcivescovo di Vienna. 

Orbene questo tenente si prestò ad accompagnare in macchina il Prof. Pasini fino a Portomaggiore a parlare coi suoi superiori per impedire un nuovo esodo di malati. Quando il tenente e il Prof. Pasini ritornarono con l'autorizzazione di sospendere qualunque invio di malati, si fece una vera dimostrazione antifascista. 

Purtroppo alcune sere dopo i fascisti ritornarono e stavolta con ordini di autorità superiori di quelle che erano a Portomaggiore. 
Accompagnati dal podestà di Argenta questi mentre un tenente medico ed un capitano sceglievano i più gravi per caricarli, si portò in casa del Prof. Pasini dove quella sera vi era a conversazione anche il capitano tedesco comandante il presidio di Alfonsine. Era costui un oriundo romagnolo - Ricciardelli - a quanto si seppe, figlio di una tedesca di cui aveva dovuto prendere il cognome. Parlava sufficientemente l'italiano ed era molto umano. Mentre dunque in casa Pasini si faceva conversazione nella sala da ospedale che si era formata nella casa Argelli a pian terreno il Dr. Sartori e l'Arciprete erano alle prese col tenente medico e il capitano ricordati più sopra. Il Dr. Sartori e l'Arciprete facevano il possibile esagerando anche la gravità per far comprendere che tutti gli ammalati erano intrasportabili. Vi era difatti la figlia di Antonio Mariani in condizioni gravissime per ferita di perforazione al fegato in seguito a bombardamento nel mezzogiorno di Pasqua. Morì il giorno dopo. Alquanto gravi vi erano l'attuale economo del ricovero e Minghinen allora attacchino che  se sono salvi lo devono proprio all'Arciprete e al Dr. Sartori. 

La lotta si fece serrata. All'Arciprete e al Dr. Sartori che s'erano posti davanti alla porta per impedire il trasporto degli ammalati il capitano fascista fece puntare il mitro. L'Arciprete approfittando della momentanea distrazione del milite puntatore chiamato dal capitano riesce a fuggire fuori a portarsi a casa del Dr. Pasini ed a raccontare che cosa stava succedendo in ospedale. Il capitano tedesco ascolta silenzioso poi dà ordine al suo sergente di chiamare assolutamente il capitano fascista. Il sergente tedesco esce con l'Arciprete il quale concorda col sergente intanto la fuga del Dr. Sartori negli appartamenti tedeschi di casa Ferné. Il colloquio fra i due capitani fu parecchio movimentato. Ciascuno diceva gli ordini che aveva e come doveva eseguirli. Ad un tratto il capitano tedesco esce in questa frase: Parta subito prima che i miei uomini non debbano sbagliare tiro. E non si permetta di ri tornare più. L'ordine era così perentorio che il capitano fascista uscì dalla casa Pasini alquanto sconcertato e consigliato dal podestà di Argenta che aveva sentito tutto credette opportuno squagliarsela coi suoi. 

10 Aprile 1945. Neppure i dirigenti del C.L. N., al corrente di ciò che sarebbe avvenuto in quel giorno, pensarono che la si sarebbe cavata così a buon mercato. Fu circa alle 11,30 che da Fiumazzo una staffetta viene ad avvertire che sono giunti gli alleati. La notizia è contenuta fra i dirigenti per non suscitare scalpore e movimenti inopportuni. Intanto si vigila. Anche i tedeschi hanno avuto sentore di qualche cosa. Si muovono più del solito. Passa mezzogiorno e il pranzo è come il solito. Sulle 15 circa si sentono alcuni spari. Non si esce. Si ripetono in continuità. Qualcuno si muove alla chetichella per vedere. Vicino alla casa Gagliardi un tedesco col mitro spara oltre  la riva del fiume.

 Chi c'é? Giacché la casa Ferné era stata già vuotata da alcuni giorni dai tedeschi, si sale nelle camere superiori per vedere. Gli alleati! È un grido che si ripercuote. Da una finestra di casa Gagliardi vien sventolata una bandiera bianca.
I soldati della Cremona - perché furono essi i liberatori - stanno per slanciarsi quando il tedesco di guardia presso casa Gagliardi spara ancora e colpisce un soldato della Cremona.
La sparatoria dei soldati si intensifica, il tedesco se la vede brutta e fugge, ma poco dopo dai paesani stessi vien fatto prigioniero. Intanto tutta la folla vien fuori, si porta sulla riva sinistra del Senio e salta e chiama i liberatori i quali finalmente attraversato il fiume a mezzo di zattere improvvisate e di una barchetta trovata nei pressi, entrano in Alfonsine. Sono le 15,30 del 10 aprile.
Intanto da Fiumazzo anche i primi hanno avanzato e sulla sera si uniscono a quelli che erano entrati ad Alfonsine per Via Mameli. Nel pomeriggio e nella notte tutti i tedeschi trovati nel territorio o sono uccisi o fatti prigionieri. Anche il capitano Ricciardelli è ucciso. Non meritava però tale fine. Nonostante tutto aveva voluto bene ad Alfonsine.
Ma la guerra non sempre guarda a tutto. È sepolto nel cimitero locale.

I soldati fraternizzano subito con la popolazione: In un momento Alfonsine è imbandierata.
All'ospedale di casa Argelli nasce in quel giorno una bimba. È segno di fortuna. Il comandante della Cremona propone che sia chiamata Cremonina Alfonsina Liberata.
E con questo nome viene battezzata il giorno dopo dall'Arciprete.
Il comandante della Cremona dovendo proseguire col suo battaglione per avanzare su Voltana, Argenta ecc. dà alcuni incarichi all'Arciprete in attesa che il capo alleato si installi quale autorità diretta. Questo viene subito il giorno dopo: dà gli ordini di sfollamento. Firma i vari permessi inerenti il movimento verso l'Italia liberata, poi finalmente anche dietro consiglio dell'Arciprete chiama il C.L.N. a cui si presenta e al Sindaco designato - Manzoli Annibale - comunica quale autorità abbia.

Purtroppo da parte del C.L.N. si incominciò subito a sgarrare un poco. Furono difatti chiamati tutti coloro che si pensavano anticomunisti o che avevano collaborato coi fascisti o coi tedeschi, e, dopo averli chiusi in una casa di via Mameli sotto la custodia di Baracca Sante, furono interrogati e... fortunatamente per allora quasi tutti prosciolti. Quasi!! Perché una bionda signorina [F.] di Ravenna - che si sospettava di collaborazionismo spinto coi tedeschi fu trattenuta qualche giorno, ma poi anche lei prosciolta.
Venne poi il maggio che fu il mese più nero e triste, più anche della guerra. Gli asportati, gli scomparsi, gli uccisi ascesero a oltre 20 persone. Come avvenne, perché avvenne, per ordine di chi successe tutto questo è rimasto un segreto ancora per gli uomini.

Non si possono chiudere queste pagine pur così belle nell'affiatamento avvenuto mentre tutti si soffriva con fatti di sangue e di odio. 

Un atto di amore sollevi ancora lo spirito. 

A 8 giorni di distanza mentre stava diventando un problema anche il vettovagliamento il Vescovo, a nome del S. Padre per mezzo (parole cancellate .ndr) di assistenza inviava con un camion militare oltre 10 quintali di viveri che furono dall'Arciprete consegnati al Sindaco per la distribuzione alla popolazione. Fu questo il 1° atto di una serie di opere sociali di bene di cui anche Alfonsine ha potuto godere nella sua sofferenza del Dopoguerra dal grande cuore amoroso e paterno del Papa Pio XII."

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