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Ricerche sull'anima di Alfonsine

Il secondo romanzo giallo-politico dell’alfonsinese Guido Pasi 
 “Doppio Errore”
Uno spettro si aggira per l’Europa, è quello del Comunismo

di Luciano Lucci 

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Guido Pasi, a Mosca

 

“Uno spettro si aggira per l’Europa”, proclamavano Marx ed Engels nell’incipit del Manifesto del Partito Comunista, come un auspicio per una futura nuova umanità.
Ma nel libro di Pasi “Doppio Errore” lo spettro che si aggira per l’Europa, al di fuori di ogni metafora, è proprio quello del Comunismo: un cadavere, morto e sepolto, su cui si può indagare chi ne sia stato l’assassino, o gli assassini...
E’ questo il gioco da cui Pasi si lascia avvolgere nello scrivere questo secondo libro (il primo “Ciao Assassino” risale a due anni fa), inventando di fatto un nuovo genere letterario, definito “giallo politico d’azione”. 

Il morto non appare subito in questo libro e tu ti chiedi man mano che leggi “che giallo è se non c’è mai un morto assassinato?”, poi ti accorgi che appunto è l’utopia comunista ad essere stata assassinata fin dai suoi albori e i suoi assassini sono stati i comunisti stessi.

 

Così il romanzo di Guido, ambientato nel 2007, procede con rapidi flash-back a partire dalla guerra di Spagna, passando dalla rivoluzione ungherese del ‘56, intrecciandosi col terrorismo italiano.


Varie tragedie dei comunisti

Sulla Spagna è il nonno Vincenzo che lascia al protagonista il fardello su cui indagare.
In Spagna i comunisti erano gli unici ad avere le idee chiare... però non mancavano i problemi: anarchici fucilati alla schiena dagli stalinisti mentre andavano in battaglia, delazioni e scontri fratricidi... nonno Vincenzo si era fatto l’idea che l’Urss non era proprio un paradiso”. 

Sull’Ungheria è un viaggio col babbo nel 1962 e l’amicizia con un ragazzo ungherese che obbliga Enzo a scoprire la storia della rivoluzione tradita del ‘56. “Di lì a tre giorni arrivarono le truppe russe. Kadar era con loro, la comune di Tuzoltò venne attaccata e finita in pochi giorni. Ma il sette novembre, in piena invasione, con la legge marziale e la rivolta ormai schiacciata, quei pazzi alzarono la bandiera rossa accanto al
tricolore ungherese sul garage di via Tuzoltò. Angyal uno dei capi della rivolta contro i sovietici venne arrestato. Si era rifiutato di fuggire e distribuiva volantini. Venne condannato a morte e impiccato. Comunisti e ribelli uccisi da comunisti, di nuovo come in Spagna o come nelle galere degli stalinisti.

Cinema Corvin uno dei punti nevralgici dell'insurrezione


Così l’aggancio storico con la politica e i luoghi dove gli avvenimenti più tragici del secolo passato prosegue nello sviluppo del romanzo fino a toccare i giorni nostri con i brigatisti che uccidono Moro, la società ungherese che si evolve dopo la caduta del muro di Berlino, i reduci del ‘68, dopo le esperienze politiche extra parlamentari del gruppo del “Manifesto” e quelle parlamentari più recenti di Rifondazione.

Questi sono i temi che attraversano il romanzo a cui Guido si lega per intrecciarli con l’aspetto narrativo, spesso lasciando chiaramente intravedere, per chi lo conosce, anche gli aspetti personali a cui ha attinto. Enzo, il personaggio principale ne è chiaramente l’alter ego, e il nome, forse non a caso, è quello del proprio padre Enzo Pasi, con cui effettivamente nel 1962 fece quel viaggio a Budapest, portando la lambretta al compagno alfonsinese Tonino Pezzi che lavorava a Radio Budapest, come giornalista.
Alfonsine S.S. n° 16 Giovedì 9 Agosto 1962. Era mattina di buon’ora quando la millecento si era mossa tra una folla di parenti e amici sulla via Reale.”
Qui sta la peculiarità del Pasi romanziere, la lettura procede senza fatica e la trama ti rapisce e “corre veloce e lascia con il fiato sospeso fino al coinvolgimento finale”.

La pistola

Il filo conduttore è sempre un oggetto emblematico: una pistola che passa di mano in mano da una generazione all’altra, probabilmente a rappresentare il pesante fardello che si sono trovati addosso figli e figli dei figli di quelli che dall’inizio credettero nel comunismo
: l’idea cioè che ci fosse stata sempre una “rivoluzione”, o una “resistenza tradita” o perlomeno incompiute, e qualcuno che doveva continuare o terminare l’opera dei padri. Questa volta si tratta di una pistola della guerra di Spagna che, passata di mano in mano, si trova essere una delle armi con cui fu assassinato il presidente della Dc Aldo Moro.


Nonostante questo sottofondo storico-psicopolitico possa far pensare a un romanzo dalla lettura pesante, l’abilità letteraria e linguistica di Guido riesce a rendere scorrevole e godibile la narrazione, con l’inserimento di indicazioni eno-gastronomiche e dei luoghi dove poterle trovare sia a Ravenna, che a Venezia, che a Budapest. Infatti la storia si dipana in tre situazioni spazio-temporali diverse: Ravenna e dintorni, Venezia e dintorni, Budapest e dintorni; intrecciate in varie dimensioni temporali: 1936, 1956, 1962, 2006.
I personaggi, in continuità col romanzo precedente “Ciao Assassino”, sono ben caratterizzati con riferimenti precisi a figure di compagni e amici che hanno accompagnato la vita dell’autore. In particolare a un amico ungherese Bètlen Jànos, incontrato nel 1966, con cui un gruppo di amici di Alfonsine (quelli del ‘Manifesto’) condivise le speranze del ‘68, e che fece loro capire che cos’era il socialismo “reale”. Jànos dopo più di cinquant’anni è rimasto ancora legato a quel gruppo di amici e in particolare a Guido, ed è proprio lui che fa da specchio al personaggio ungherese che nel romanzo è chiamato Varga Sandor.
Alla fine dell’avventura i protagonisti si trovano ormai a porre a sé stessi domande nuove: “Pensi che sia possibile che io non sia più comunista?”
“Non è impossibile, ma trattandosi di te direi che è molto improbabile”
“Allora che cos’è?”
“Probabilmente lo stesso che è capitato a me tempo fa” “Cioè?” “Ho smesso di avere una risposta per tutto”
“E adesso?”

“Potremmo smetterla” “Smetterla... di fare cosa?”
“Tu il comunista indignato e io l’intellettuale schifato” “E cosa ci mettiamo a fare?”
“Potremmo fare del nostro meglio, e... dato che torno a casa, direi che si potrebbe ancora dare qualche battaglia, come una volta. Mi sa che ce ne sarà bisogno”.

Bètlen Jànos e Guido 50 anni dopo

 


Una chicca


I cappelletti di Natale hanno un altro sapore il giorno dopo. Si sono fatti completamente diafani e a stento tengono unite le pieghe che chiudono il ripieno nella cupola. Il corpo di pasta è divenuto inconsistente e il sapore, diventato impreciso, si confonde con quello del brodo. Questo, in compenso, incorpora tutto il sapore dei due elementi.
‘Non sono pochi coloro - disse Enzo - che preferiscono la versione post-natalizia del piatto forte romagnolo. Sono dei filosofi sincretisti, dei dialettici post-hegheliani di destra, che teorizzano la composizione in uno degli opposti, del tutto dimentichi della citazione di Mao, contraria al due che si compone in uno. E’ nell’uno che si divide in due il succo della dottrina rivoluzionaria’. Trebbi aveva ascoltato con occhi increduli per domandare ‘ma sono migliori o no?’ Enzo aveva soppesato a lungo la risposta. ‘Il fatto è che sono migliori a Natale e anche a S. Stefano. Solo che questo distrugge su tutta linea la dialettica hegheliana, travolgendo anche Marx e Mao. Praticamente è come se ogni volta dovessimo ripartire da Kant’. Detto questo finì il suo piatto.

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