Le
“Feste dell’Uva” di epoca fascista furono
progettate al centro del sistema,
dal governo fascista nel 1930 su un’iniziativa dell'allora sottosegretario
al ministero dell’Agricoltura e delle Foreste Arturo Marescalchi,
con l’approvazione di Mussolini, e poi diffuse capillarmente in
periferia.
"Voluta
da S.E. il Capo del Governo", così recita la 'Circolare
prefettizia del 21 agosto 1930, n. 962 f gab. in ASCBc (Archivio storico
comunale di Bagnacavallo), carteggio amministrativo 1930, cat. XI, ci. 1,
fasc. 2, ins. "Giornata dell'uva 28 settembre 1930", la
manifestazione veniva elevata dal regime a Festa nazionale con le 'evidenti
finalità di diffondere il consumo dell'uva, di cui sono note le benefiche
qualità nutritive e dietetiche e di dare incremento ad un importante ramo
della produzione agraria'.
Le
motivazioni reali che portarono ad organizzare una celebrazione dell'uva
sull'intero territorio nazionale, furono di ordine economico e
strettamente politico.
Per
il primo, si trattava di promuovere la vendita e il consumo sia di vino e
che di uva da tavola, esaltandone l’efficacia nutritiva e terapeutica;
tutto ciò per fronteggiare la grave crisi in cui versava il settore
vitivinicolo a causa della sovrapproduzione e conseguente svalutazione del
prodotto.
La politica economica del fascismo tentò di risolvere la questione
chiudendo il mercato italiano a quello straniero, incrementando
l'esportazione e il commercio con agevolazioni fiscali e organizzando una
o più giornate che, tramite la celebrazione del frutto della vite,
prevedessero un ampio consumo e smercio dello stesso. Dato che il consumo
si estendeva anche ai derivati dell'uva come marmellate, succo e
soprattutto vino, in aperto contrasto con la politica antialcolica del
regime, la propaganda venne organizzata in modo tale da sostenere che il
vino in dosi moderate era un valido alimento e un aiuto al miglioramento
della razza, e che l'uva aveva importanti proprietà terapeutiche. Vennero
così riprese le feste legate al tempo della vendemmia, radicate quasi
ovunque nel territorio italiano da antica data.
L’obiettivo
politico, presente sin dall’inizio, era quello di usare questa festa
come veicolo di propaganda politica: l’idea di recupero e di
valorizzazione delle tradizioni folkloristiche locali serviva al fascismo
per divulgare la sua immagine di un partito di cultura ruralista e
paesana.
Il
recupero poi di tradizioni che andavano scomparendo causa il processo di
industrializzazione e urbanizzazione del primo Novecento, serviva al
fascismo per divulgare la propria immagine di partito di cultura paesana
mirato a formare un largo consenso tra i ceti contadini. Qualunque
occupazione doveva essere accompagnata da tradizioni ad essa correlate e a
tal fine si istituirono le Giornate del pane, del frutto, del gelso e
dell'albero. E' su questa ripresa delle tradizioni paesane che si
manifesta la motivazione dì ordine politico che portò lo stesso
Mussolini a volere una celebrazione dell'uva, che su sua esplicita
indicazione passò dalla denominazione di Giornata a quella di Festa:
elevandola al grado di nazionale diventava un momento di coesione sociale,
altamente patriottico, mirato all'acquisizione di largo consenso sulle
masse meno politicizzate. 'La
giornata dell'uva che si celebrerà in tutta Italia per propagandare fra
tutte le classi il consumo dell'uva come frutta fresca non è quindi una
festa bacchica e un'orgia, ma la vera celebrazione della semplice,
modesta, gustosa uva in grappolo con tutti i suoi svariati pregi
nutritivi, terapeutici, economici'. Diffondendone
l'organizzazione a livello regionale e locale, il fascismo tendeva a fare
della Festa dell'uva uno spiccato momento di regionalismo intrecciandosi
con la domanda di svago che proveniva soprattutto dalla provincia.
Durante
tutto il corso degli anni ’30 ottennero un enorme successo popolare,
specialmente nelle zone di tradizione vitivinicola.
Il
lavoro di preparazione doveva essere svolto da appositi
comitati locali nominati dal Podestà di ogni comune.
E’
assodato comunque che la totalità della popolazione di
Alfonsine partecipava a questa festa, anche se diventò sempre
più smaccatamente una festa di propaganda, a sostegno del
fascismo.
Eppure
l’insistenza con cui la stampa batteva sul tasto della
peculiarità fasciste della festa potrebbe alludere alle difficoltà incontrate nel momento di
far recepire il messaggio.
Insomma
la festa dell’uva, se
lasciata in libertà, avrebbe potuto far emergere le medesime
componenti delle feste veramente popolari, nei loro aspetti di
baccanali e sagre del passato, che ancora esistevano in alcuni
borghi di Alfonsine e che erano rimaste “incontaminate”:
il protagonismo popolare, sciolto da controlli, poteva essere
un rischio.
Ciò potrebbe significare che esistesse ancora un diffusa
coscienza tra le masse di non condivisione del fascismo, o
semplicemente che i fascisti, per prevenzione, tenevano gli
occhi e le orecchie ben all’erta.
Ad
Alfonsine tale festa ebbe un successo enorme, che aumentò nel
tempo, fino alla fine degli anni ’30.
Le
prime due feste dell'Uva del '30 e del '31
A
differenza di quanto avvenne in altri comuni i primi anni
della Festa ad Alfonsine furono quelli organizzati con minor
enfasi: forse perché l'allora primo podestà Scopinelli,
originario di Lavezzola era stato catapultato in un ruolo non
ancora ben rodato.

Quando poi nel 1932 fu podestà Marcello
Mariani questi tentò di abbinare tale festa 'all'antica e
unica festa cittadina denominata 'festa gròssa', rimasta
sempre viva nell'animo della cittadinanza'. Era questa una
più antica festa tradizionale alfonsinese che si teneva a
mezz'agosto, la festa gròsa, che si era imposta già
dalla metà dell' '800 come un'occasione festiva di rilievo,
coniugando affari e commerci con svaghi e spettacoli.
La Festa dell’Uva come ripristino della vecchia
"Festa Gròsa", abolita nel 1921 in seguito a
scontri tra repubblicani e socialisti il 1° Maggio
La
Festa dell’Uva venne quindi proposta come festa collegata alla
più vecchia e tradizionale “Festa Gròsa”, che era stata
abbandonata – come scriveva il podestà Marcello Mariani –
per motivi di parte. In un carteggio amministrativo del
1932 conservato nell'Archivio Comunale di Alfonsine il
Podestà Mariani in una nota trasmessa alla Prefettura di
Ravenna precisava che la 'festa grossa non veniva più
celebrata dal 1921 poiché, causa le discordie
politiche allora esistenti, si cercò di evitare pubbliche
manifestazioni. Il Mariani faceva riferimento agli scontri tra
socialisti e repubblicani avvenuti in occasione della
celebrazione del 1° Maggio del 1920.
Sappiamo
poi che la Fiera di Ferragosto era stata ripresa
dall'Amministrazione comunale fascista nel 1923 e nel 1925 per
'rinvigorire la più grande fiera annuale che indubbiamente
porta un vantaggio al commercio e all'industria locale e
valorizza sempre più l'allevamento del bestiame di questa
plaga ubertosa' (dal carteggio amministrativo del 1925
conservato nell'Archivio Comunale di Alfonsine)
Ai
vecchi alfonsinesi “la Festa dell’Uva” comunque
fin dal 1932 essa fu proposta come
la vecchia “Festa grossa”.
Il
podestà Mariani riuscì a caratterizzare la nuova Festa dell’Uva come continuazione di quella più tradizionale,
imprimendo alla manifestazione una veste assai più varia e
articolata, in
modo attirare persone che ancora non sopportavano le continue
parate propagandistiche del fascismo.
La
struttura organizzativa della festa prevedeva un lavoro di
preparazione e allestimento demandato a comitati locali
composti da Segretario del PNF o dal Podestà, con
associazioni e enti quali il Consiglio Provinciale
dell’Economia, la Federazione degli Agricoltori, dei
Commercianti, il sindacato fascista dell’Agricoltura, i
tecnici agricoli, il dopolavoro, il fascio femminile, gli
avanguardisti, i balilla (insomma l’associazionismo di
allora).
La
III Festa dell'Uva del 1932
Il
Comitato organizzatore della Festa dell'Uva del 1932 fu
composto da 17 membri, tra cui l'arciprete don Luigi Liverani.
Questo
comitato doveva organizzare anche la coreografia con la
sfilata dei carri.
Ad
Alfonsine il comitato era presieduto dal Podestà Mariani e da
autorità fasciste, membri dell'OND e delle associazioni
economiche e sindacali locali, ai quali si aggiunse anche il
prof. Umberto Pasini, medico chirurgo dell'Ospedale di
Alfonsine, che avrebbe poi avuto un ruolo di primo piano
nell'ideazione e nell'allestimento coreografico della sfilata
dei carri allegorici, vero fulcro scenografico della festa del
paese.
Questa
festa inaugurò il copione di attrazioni che si replicò,
sebbene con qualche variante, fino alle ultime edizioni.
La
manifestazione iniziava con la benedizione dei grappoli nella
piazza decorata con trofei, bandiere, festoni ricavati con
tralci di vite. Poi c'era la successiva Messa officiata dal
parroco. In chioschi opportunamente allestiti si procedeva con
la vendita dell'uva. Fra il pomeriggio e la sera si
raggiungeva l'apice con la musica del Corpo Bandistico di
Alfonsine, la sfilata dei carri allegorici folkloristici
diretta dal prof. Pasini, la tombola a scopo benefico e il
gran finale, alle ore 21, con l'uscita del carro a sorpresa
nella cornice notturna illuminata da fuochi d'artificio.
Il
carro che nel 1932 suscitò l'ammirazione non solo della 'folla
strabocchevole', ma anche dei cronisti locali, fu quello
denominato EVOE': una curiosa costruzione elaborata da
giovani del paese recante su cuspidi e piramidi teorie
di finestrelle illuminate (così si legge in Santa
Milizia, 1 ottobre 1932, Celebrazione della Festa
dell'uva e della Festa Grossa). Su queste finestrelle
erano riportati i dati relativi al raccolto dell'uva nelle
ultime annate. La rinnovata organizzazione della Festa giovò
anche al consumo dell'uva: quaranta quintali contro i sette
dell'anno precedente, venduti ed offerti nei cestini
confezionati dalla comunità artigiana di Villanova di
Bagnacavallo.
La
IV e V Festa dell'Uva del '33 e del '34
Durante
la IV Festa dell'Uva tenutasi l'8 Ottobre del 1933, il
podestà Mariani e il Comitato di Alfonsine pubblicarono un
"Numero unico folkloristico vendemmiale" di
otto pagine con vari inserti fotografici (molti dei quali
riprodotti qui di fianco) che documentano in modo unico e
assoluto come si svolgeva la festa.
Alla
coreografia rituale del corteo folkloristico dei carri, nel
'34 si aggiunsero de gruppi appiedati e a cavallo, in costuni
storici o tradizionali, e oltre ai carri c'erano anche
birocci, calessi, tricicli e carrozzini opportunamente
decorati di motivi vendemmiali e simboli del fascio, allestiti
tutti in gran segreto per timore di essere copiati. In
entrambe le edizioni furono messi in palio decine di premi in
denaro e distribuiti a tutti i partecipanti diplomi di
partecipazione e cestini di pane e uva 'appositamente
conditi su ricetta del podestà' Particolare cura fu
dedicata anche all'apparato scenografico di piazza Monti e di
Corso Garibaldi, dove si svolgeva la sfilata: grappoli e
tralci d'uva, cartelli e strisce multicolori inneggianti al
Duce, bandiere e stendardi, luminarie di vari colori.
Nel
'34 ci furono anche alcune 'originali creazioni: un
gigantesco grappolo collocato dall'industriale [Giuseppe ndr]
Marini al sommo della sua casa e la fontana vendemmiale
felicemente ideata dal Prof. Pasini) (tratto da un
articolo pubblicato in Santa Milizia del 13 ottobre 1933, p.
3)
Secondo
le cronache assistettero alla festa del '33 e poi anche a
quella del '34 circa 15.000 persone.
Venivano
da tutti i paesi vicini e anche da qualche città. Ma quanti
erano?
Così
si chiede in un articolo il segretario del fascio di Alfonsine
Arturo Taroni:
“Quanta
gente ha gremito la piazza (Monti ndr) in quella
indimenticabile giornata? un tale, con cifre alla mano, ha
creduto di potervi rispondere con certezza, fissando in 15.000
il numero dei convenuti alla manifestazione. Calcolando egli
ha spiegato, che i due lati maggiori della piazza misurano
all’incirca m. 80x120: si ha una superficie totale di 10.200
(qui
l’autore ha commesso un grossolano errore di calcolo
perché il prodotto dà 9.600 ndr), escluso dal
computo l’adiacente piazzetta della Chiesa, tenuto conto
della minore densità di folla, valutando a due il numero di
persone per metro quadrato, il totale che ne deriva è sempre
superiore al numero sopra menzionato di 15.000” (due
persone per metro quadro sembrano un’esagerazione, il
fascismo riusciva a piegare anche i numeri al proprio volere .
ndr)
Così
recitava un articolo tratto dal numero unico di un opuscolo in
forma di giornale, pubblicato dai fascisti alfonsinesi
nell’occasione della IV Festa dell’ 8 ottobre anno XI (1933):
Titolo“Sulle
orme del fascismo”:
Il
social-nazionalismo vede nel contadino la pietra più solida
dell’edificio che ospita la società umana. In un recente
discorso Hitler ha affermato essere naturale che la
rivoluzione delle Camicie brune coinvolga nel suo turbine
rigeneratore in modo particolare il ceto rurale; l’elemento
più prezioso della Nazione, che feconda la terra e nutre
l’umanità.”
E'
evidente che la Festa dell'Uva era una manifestazione
di mobilitazione popolare che mirava a creare un altro
tassello di quella liturgia di massa del fascismo, non
smaccatamente politicizzata, e quindi più adatta a influire
sulla mentalità delle masse, ancora diffidenti o
recalcitranti ai messaggi sfacciatamente ideologici.
Data
la notorietà a livello regionale raggiunta dalla Festa
dell'Uva di Alfonsine, il podestà Mariani inviò nel 1934 al
direttore dell'Istituto Luce una prima richiesta di ripresa
cinematografica della manifestazione, seguita da altre in anni
successivi: tutte purtroppo con esito negativo.

Ma
era
veramente una festa popolare a cui tutti gli alfonsinesi partecipavano
Le
foto dimostrano che era veramente una festa popolare a cui
tutti partecipavano. Il fascismo era ormai affermato e
vincente. La Festa dell’Uva era posta come alternativa alla
festa dei lavoratori del 1° maggio, che era stata abolita dal
fascismo, e che nei primi anni venti era stata occasione di
scontri violenti anche ad Alfonsine, perché le squadre
fasciste intervenivano alla Festa dei Lavoratori provocando,
manganellando e a volte sparando.
Il
cronista del giornale esprime così il suo giudizio:
“....
vera festa di popolo (Festa dell’Uva ndr), che ha portato un
raggio di luce e un’onda di calore nel grigiore della vita
quotidiana di ognuno. Vera festa civile, ad un tempo, perché
purificata di tutte quelle contrastanti passioni, che
rendevano incivile la festa dei lavoratori, di tempi ormai,
spiritualmente lontani. “Ad maiora!”
Feste
di borgata
Ad
esempio nel quartiere Borse si svolgeva una festa del borgo,
non nel periodo della festa dell’uva, dove il clou
era nel gioco della Cuccagna.
Qui
non c’era messaggio fascista che potesse passare, né
personaggi in divisa che potessero partecipare, (ci si
imbrattava di grasso e cenere!): qui era proprio la gente vera
del popolo, che si arrampicava su per quel palo per vincere un
prosciutto o un fiasco di vino: lo spirito di un tempo, prima
del fascismo, ritornava del tutto a galla.
E
questo poteva far ancora paura anche a un fascismo, pure
ormai vincente.
Una
festa simile era quella di "Sant'Apollonia" che si
teneva il 9 febbraio lungo il borgo della via Reale. (E'
l'unica festa tradizionale rimasta ancora oggi 2004)
Nella
Festa dell’Uva però, come si è scritto sopra, venivano coinvolte persone
“importanti” del paese, che non erano fascisti convinti,
ma per le quali era ormai d’obbligo stare al gioco, come il
direttore dell’ospedale Umberto Pasini o l’arciprete don
Liverani.
La
loro collaborazione era strumentalizzata come un messaggio che
tentava in qualche modo di caratterizzare la festa come non di
parte.
Nel
ringraziamento del podestà Marcello Mariani a coloro che avevano collaborato
alla buona riuscita della festa del 1933 si citano espressamente il “Rev.
Dott. Luigi Liverani, Arciprete, che ha benedetto l’uva sulla pubblica
piazza e ha poi ricevuto, con ogni attenzione, una rappresentanza del Comitato
in Arcipretale, per assistere alla Messa , da egli stesso celebrata per
l’occasione.”
E
ancora “il Prof. Umberto Pasini che ha messo a punto e diretto il corteo
perché fosse possibile quella sfilata che, per intelligente disposizione dei
gruppi e delle masse, ha suscitato l’unanime entusiasmo e il vivo consenso
dell’autorità.”
Umberto
Pasini (proprio in quell’anno 1933 si era iscritto al
fascio, insieme a un’altro dottore un po’ recalcitrante, il dott. Preve,
segno che evidentemente non c’erano più spazi per rimanere senza tessera)
scrisse un articolo nel medesimo giornale, in cui tra l’altro elogiava il
ruolo terapeutico dell’uva nella dieta quotidiana, per avere una vita più
sana.
Ma alla
fine indulge anche lui in una tirata propagandistica a favore del duce:
“Perciò
scienza ed esperienza dimostrano,
- così scriveva il dott. Pasini - che il consumo dell’uva deve
essere ogni giorno più allargato, per avvantaggiare la nostra salute ed
allietare la vita dello spirito, coincidendo l’interesse scientifico-sociale
con quello della difesa economica del nostro paese. Così scrive il Duce:
"I
medici debbono insistere perché la vita si svolga in forma più razionale; ci
saranno allora meno malattie in giro, meno tubercolosi, meno cancro...”.
E concludeva “Sempre e dovunque, fervido istigatore (Mussolini
ndr), aleggia lo spirito suo!”.
La
VI Festa dell'Uva del 1935
Nell'ottobre
del 1935 era iniziata la guerra coloniale fascista in Etiopia,
che richiese un'enorme mobilitazione di forze militari e
umane. La chiamata alle armi e la conseguente assenza di molti
giovani del paese che 'contribuivano non poco alla riuscita
della festa specie nell'allestimento dei carri,' impedì
che la festa dell'Uva di Alfonsine fosse celebrata 'con
quella grandiosità che era diventata, oramai, un'ammirata e
invidiata tradizione' (dal Carteggio amministrativo 1936,
cat. II, cl 1 Archivio Storico Comunale di Alfonsine),
costringendo il Comune e il Comitato Organizzatore a
predisporre un programma fissato in sobrie manifestazioni.
La
VII Festa dell'Uva del 1936 Questa
festa fu posticipata per consentirvi la partecipazione dei
soldati alfonsinesi dell'81° Battaglione impegnati in Africa
orientale. Nel corteo sfilarono carri che richiamavano la guerra
in Africa come il carro "Faccetta nera" e
"Potenziamento dell'impero" che ottennero il secondo e
il terzo premio. Quest'ultimo, allestito dai Giovani Fascisti,
riproduceva un tucul circondato circondato da bambini in divisa
coloniale e 'mascherati' da indigeni, sormontato da un grande
stendardo con l'emblematica scritta 'te teneo leo'.
Anche
la scenografia del paese venne ulteriormente spettacolarizzata:
sul modello di Roma imperiale fasci littori e severe
colonne sormontate dall'aquila romana' delimitarono
i corsi e gli ingressi principali della piazza. Coerente
invece col tema vendemmiale della festa fu l'ingegnosa fontana
sprizzante canéna a getto interrotto eretta dal
Dopolavoro aziendale Marini davanti alla propria sede.


Piazza Monti: festa
dell'Uva del 1936
Il TUCUL e la scritta "Te teneo Leo" era rivolta alla
conquista dell'Eritrea (Abissinia) e alla sconfitta del Re Haillè
Sailassié.
Piazza Monti: festa
dell'Uva del 1936
Piazza Monti: festa
dell'Uva del 1936
Il
corteo dei carri in corso Garibaldi
La
VIII e la IX Festa dell'Uva del '37 e '38
Anche
le feste del '37 e '38 ebbero un grande successo con ampi finanziamenti
sia pubblici che privati, festa alla quale 'i cittadini molto
mal volentieri rinunzierebbero, specie i commercianti, che
risentirebbero dei suoi benefici effetti' (così recita la
delibera del podestà Mariani, per motivare la necessità di
continuare tale festa.
Il
comitato organizzatore della IX edizione raggiunse il numero di 26
membri, lo stanziamento comunale fu aumentato a 5.500 lire e i
contributi di enti e associazioni ammontarono a 2.000 lire.
La
celebrazione, che già da alcuni anni proseguiva anche nella
serata del lunedì, si articolò secondo il consueto copione,
con un evidente accentuazione di temi politici come la nascita
dell’Asse Roma-Berlino e poi il Patto d’Acciaio, come si
nota in alcuni dei carri folcloristici.

Una
Festa dell’Uva del 1937
L’Asse Roma –
Berlino è propagandata da questo carro
che sta passando sotto la casa dei Santoni, in
piazza Monti Il
secondo premio lo vinse il carro "Asse Roma-Berlino",
raffigurante un fascio ed una svastica che sorreggevano il
mondo, omaggio in chiave rurale del primo anniversario
dell'alleanza italo-tedesca. Il carro ottenne poi un secondo
riconoscimento: il premio
speciale della giuria per 'la sua alta significazione
politica'. 
Dal
settimanale la Santa Milizia del 1937 (n° 41 pagina 2)
Un
carro
della Festa dell'Uva del 1938
mentre passa davanti alla chiesa S. Maria di
piazza Monti
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