Il titolo del
libro fa riferimento al fatto che, come tutti i bimbi appena nati,
“sono arrivato sulla terra senza calzini ai piedi, senza calzini adoro
vivere e senza me ne andrò”. Una metafora di libertà che pone
l’accento sulla necessità di rimanere puri come i bambini, e che
Gennarino ha scelto come via per raggiungere la propria felicità. Genna
non è uno scrittore, e leggendo le sue pagine si può avere
l’impressione che siano scritte proprio da un ragazzino adolescente,
che non usa un linguaggio letterario, dove sarebbe fondamentale l’uso
e la scelta delle parole, che acquisiscono poi una capacità di
coinvolgimento che non hanno nell’uso comune della lingua. Niente uso
di grandi metafore o similitudini, riferimenti figurativi o quant’altro.
Ma
qui si trova il primo piacevole paradosso: Genna non si sente (e voi con
lui) per nulla impoverito dalla semplicità del suo vocabolario, da
qualche errore di ortografia, di punteggiatura o di grammatica. È come
se le parole avessero più corpo, più spessore, più autenticità ed
immediatezza. Un altro
paradosso è che vi trovate tra le mani un libro di 230 pagine, scritto
a mano tutto in stampatello maiuscolo. Niente battitura con macchina da
scrivere o al computer, ma proprio un manoscritto stampato: tale scelta
ha reso difficile la correzione di molti errori, anche se “San
Bianchetto” è venuto spesso in aiuto a Gennarino, per eliminarne
alcuni (“a volte però li ho lasciati volontariamente”).
A prima vista vien da pensare che ci vorrà un bel coraggio per leggere
una roba simile, vista la nostra abitudine a libri ben impaginati e a un
uso di caratteri raffinati e studiati da designer e grafici per rendere
piacevole anche agli occhi la lettura. Ma poi ci si accorge che è come
avere tra le mani i fogli stessi usati dall’autore nel momento in cui
scriveva, e dato che il libro è stato scritto in India, dal novembre
2012 al aprile 2013 a Gokarna, città sacra nello stato di Karnakata a
sud-ovest dell’India, con l’autore seduto al balcone della sua
stanza alla Nimmu Guest House, e ci racconta di vita vissuta tra viaggi
e imprese in tutte le parti del mondo, è proprio tramite quei caratteri
così infantili che la mente e il corpo del lettore non prevenuto
viaggiano con Gennarino, non solo in India ma in tutti i continenti.
“Ho avuto la fortuna e l’immenso piacere di mettere i miei piedi
sopra tutti i continenti di questo meraviglioso pianeta, Gaia, la nostra
nonna”. E nonostante spesso Gennarino racconti di sensazioni
spirituali, quasi mistiche, si coglie in tutta la narrazione di questo
suo vissuto la presenza dirompente della passione per il corpo e
di voler metterla al centro: mai mortificare la biologia, ma vivificarla
è la via che porta all’evoluzione, è la vita stessa. Giocatevela,
sembra dirci Gennarino, con il vostro corpo! E lui l’ha fatto e lo sta
facendo, innanzitutto viaggiando.
GENNARINO
È NATO NEL 1968, proprio quando gli hippies di San Francisco
dichiaravano morto il loro movimento con una cerimonia-spettacolo. E
paradossalmente il destino ha voluto che proprio lo spirito di quegli
hippies abbia scandito tutte le fasi della sua vita.
Iniziò a 25
anni, dopo il servizio militare, ispirandosi al Dalai Lama “Almeno una
volta all’anno vai in un posto che non hai mai visto prima” o a
Sant’Agostino “La terra è come un libro se non la giri abbastanza,
ne leggerai solo poche pagine”. Così un capitolo intero del libro è
dedicato al periodo dei viaggi. Dopo l’Italia, la Spagna, e poi la ex
Jugoslavia, e la Francia, Olanda e Germania e Austria e poi più volte
ad Amsterdam e Londra. Seguirono le isole mediterranee: quelle greche da
Creta a Santorini, poi le spagnole da Formentera a Fuerteventura. Poi
venne il tempo dell’Africa. Espandendo il cerchio arrivò l’India. E
poi l’America del Sud: Argentina, Perù, Cile e Brasile, fino alle
isole caraibiche: Jamaica e Cuba. Per ultimo l’Australia dove viveva
uno zio tanto amato e qui emigrato.
TUTTI
QUESTI VIAGGI, su cui nel suo racconto Gennarino racconta qualche
dettaglio, si intersecano con le diverse vicissitudini della sua vita: a
partire dal periodo gioioso e giovanile del Calipso-Gulliver, (Calipso
era lo stabilimento balneare al mare di Casalborsetti, dove la tribù di
amici, di cui Gennarino era parte, trascorreva
l’estate, il Gulliver era lo spazio giovani, il bar d’incontro di
Alfonsine), e poi scontrandosi con la durezza e la paura della
contaminazione avuta col virus dell’Aids, la lotta per vincere la
malattia, infine la tragica fine dell’amata madre. È nata da qui la
spinta a una ricerca spirituale che lo ha portato a incontrare un gruppo
di ricercatori che praticano, per filo e per segno, i 7 sacri riti della
tribu' degli "OGLALA", appartenenti ai LAKOTA.
NEL 2012
GENNARINO ha realizzato un suo sogno: passare un periodo di tempo
sull’Himalaya, dove ha scritto il suo libro “Vivere senza
calzini”. Vale la pena
leggerlo, se non avete la puzza sotto il naso. Vi troverete a percorrere
la vita di un compaesano, a scoprire il coraggio e la forza con cui è
riuscito a superare tanti ostacoli, e a trovare spunti di riflessioni
‘filosofiche’. Il tutto senza fare troppa fatica nel capirle: perché
Gennerino Deo (questo il cognome) ci parla semplicemente della gioia e
della felicità, della scelte e della responsabilità, della ricerca e
dell’evoluzione e del tentativo di fare della propria vita un’opera
d’arte.
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