Cristina e Leo in fuga a Viareggio
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Francesco
Tavalazzi (Frazché), padre di
Cristina |
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Leo
e Cristina abitarono insieme ai genitori di lui in via Mazzini,
mentre poi nella casa che dava in piazza Monti, di fianco al bar
Tavalazzi, gestirono la vecchia bottega-spaccio
"sali e tabacchi", già tenuta in precedenza dell'Augusta
Alessandri Turchetti, (la spazièra), dopo che questa si
era sposata (1931) e aveva abbandonato l'attività.
Nel
1931 subentrarono quindi alla "Spaziera"
(nella gestione del negozio di "Sale e
Tabacchi"), che era all'epoca di proprietà di
Maria Minarelli, vedova Mariani e vedova Dradi. Questa
aveva avuto 5 figli: dal primo marito Marcellina Dradi,
sposata Tavalazzi (Frazché), poi dal secondo marito:
Marcello Mariani, Antonio Mariani, Maddalena Mariani
detta Lina e Giulia Mariani. Nella spartizione
della proprietà alla morte di Maria Minarelli, un'erede
fu Marcellina Dradi sposata a Frazché (Francesco
Tavalazzi), e
madre di Cristina Tavalazzi, a cui alla sua morte
lasciò in eredità il negozio e il primo piano della
casa.
Pagavano
l’affitto della licenza a un signore che abitava nella zona
della Cilla, lungo il canale Destra Reno.
Durante
il periodo del fascismo Eleo e Cristina vissero dal
guadagno della bottega 'e spazi', la più
importante di Alfonsine, più che dalla coltivazione dei
terreni del padre 'Cencio'. Eleo,
carattere indipendente, sognatore e amante dell’arte,
della musica e delle amicizie di persone indipendenti.
Non
aderì mai al fascismo e fu definito come un
‘anarchico stravagante’. Lui stette a questo gioco
ed ebbe vita abbastanza tranquilla, anche se era tenuto
strettamente sotto controllo dai fascisti locali. Fu
anche arrestato insieme a Guido Errani e ad altri
repubblicani alfonsinesi e inviato in un carcere a
Modena per alcuni giorni.
Nel
1929 Leo e Cristina (Tina) ebbero il primo figlio Angelino, poi nel 1936
Francesco. Ma solo nel 1938 andarono ad abitare nella
casa-bottega di Piazza Monti, nelle
camere attigue e sopra la bottega di Piazza Monti.
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Leo
fu collezionista di radio con grammofono,libri e dischi
di musica, e radunava a casa propria circoli di amici ad
ascoltare musica, non visti bene dai capi fascisti locali.
Questi incontri
era momenti in cui si discuteva di cultura, di politica
e di antifascismo, e furono stimolo di
formazione per diversi giovani tra i quali anche il
maestro Alberoni, (qui si ascoltava clandestinamente Radio
Londra).
Quando
ad Alfonsine fu inviato dal CNL Sergio Telmon, del
Partito d'Azione, questi si
recò nello 'spaccio' di Leo, per prendere contatti con
simpatizzanti locali.
Nel
1943 nacque il terzo figlio Roberto. Ma cominciarono in quegli
anni ad arrivare le prime bombe del vicino fronte di guerra e
furono costretti a chiudere il negozio e a stabilirsi prima nel
rifugio creato nei sotterranei comunali, sempre in piazza
Monti, e poi nella primavera del '44 presso la famiglia della
Cia ad Giazol, sottofiume, ancora oggi (2016) abitata dalla
Cia e dalle famiglie dei figli Mazzotti.
Sotto
un mastello del bucato
Ogni
tanto i tedeschi facevano dei controlli per trovare persone
adatte al lavoro (ragazzi e uomini), quindi in queste
occasioni tutti quelli abili al lavoro scappavano nei campi in
cerca di rifugio.
Durante
uno di questi rastrellamenti Leo si attardò troppo, non riuscì
a scappare e si rifugiò, all’ultimo momento, sotto un
mastello del bucato che era, capovolto, nel cortile. Su quel
mastello, però, si sedette il graduato del gruppo e, in
attesa che i soldati controllassero la casa, i bassocomodi,
ecc..., si mise a fumare una sigaretta con una gamba
appoggiata a terra e l’altra penzoloni con il piede, e lo
stivalone che batteva ritmicamente sul mastello.
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Leo
in età matura
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Quando
i tedeschi se ne furono andati, le donne dovettero tirarlo
fuori a braccia perché lui, bianco come un cencio, non aveva
la forza di muoversi.
Quando poi i tedeschi il 1° gennaio 1945 obbligarono tutta la popolazione a
sfollare dalla piazza e da corso Garibaldi, Leo con tutta la
famiglia si stabilì nella casa del babbo di via Mazzini, la
quale in parte era occupata dai vecchi del ricovero 'Boari'.
Lì nacque nel marzo del 1945 il quarto ed ultimo figlio
Daniele, il cui nome fu poi mutato in "Rino" in
onore di Rino Bendazzi, cugino di Cristina, giovane partigiano alfonsinese che
morì il 28 aprile 1945 sul Brenta, in uno scontro coi
tedeschi.
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Piazza
Monti distrutta.
La freccia indica la casa della bottega 'è
Spazi' di Tina e Leo
Dopo
la caduta del fascismo Leo fu invitato a far parte del
Comitato di Liberazione.
La
foto qui sopra mostra la tessera del C.L.N. di Alfonsine,
firmata da Giuseppe Bedeschi (Pinaz)
Finita
la guerra, nel 1946, fu eletto nel primo consiglio comunale di
Alfonsine.
Tornarono
con la famiglia nella casa miracolosamente
risparmiata dal minamento che i tedeschi avevano fatto di
quasi tutte le abitazioni
di Piazza Monti, compresa
la chiesa.
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Tessera
di Congressista di Leo
al primo congresso del Partito d'Azione |
Nell'immediato
dopoguerra Leo era del Partito d'Azione.
Alla sconfitta
di quest'ultimo alle prime elezioni nazionali, non fece più attività politica di partito.
Il
Partito d'Azione si sciolse e si formò una coalizione
socialista di nome "Unità Socialista",
seguita da Luigi Mariani (Gigino il maestro), che ottenne di mettere la
scritta nella casa da abitata dalla sua famiglia.
La
casa di piazza Monti, ancora dei Tavalazzi, negli anni
'60 con la vecchia scritta che ricordava il partito di
"Unità Socialista", che poi si dividerà in
'socialdemocratico' (PSDI) e socialista (PSI).
Al centro la tabaccheria gestita da Cristina e Leo. A
destra il negozio di elettricista di Pino Vecchi,
Piretto Bassi e Rino Faccani, a sinistra la bottega di
Walter Marri (macellaio).
La scritta rimase fino ancora agli anni '60.
La
sua grande passione rimase ascoltare la musica e anche
essere un punto di riferimento per incontri importanti
tra intellettuali alfonsinesi: i fratelli Pescarini, Franzcòn d’Preda
l’anarchico, Oreste Rambelli (Suster) e Giuseppe
Bedeschi (Pinaz).
Leo aveva salvato una potente radio a
valvole con tanti dischi di musica classica, e tra un
bicchiere di vino e una fetta di ciambella trascorrevano
la serata ascoltando buona musica e facendo due
chiacchiere di politica.
Per
la ricostruzione del paese, Leo, che faceva parte del
consiglio comunale, accettò, per coerenza, il piano
regolatore che prevedeva gli espropri delle terre alla
sinistra del Senio.
Il babbo di Leo, Cencio, subì così l'esproprio
del terreno annesso alla sua casa di via Mazzini, per una cifra
modesta con la quale acquistò da Fulvia Gessi (sorella di
Mino e Ottorino Gessi) un podere di 10 ettari a Fiumazzo.
Sarà
Leo a continuarne qui l'attività di agricoltore verso la quale si
sentiva veramente portato, più che a fare il 'bottegaio',
attività questa che lasciò quasi totalmente alla moglie 'Tina', che era la titolare.
ALCUNI
ANEDDOTI
LEO AL TEATRO 'LA SCALA' NEL 1952
ll
programma del concerto di Arturo Toscanini
Leo
era solito recarsi a Bologna per acquisti di merce per
la bottega-tabaccheria. Usava un valigione che riempiva
poi di tutti gli acquisti. Poichè era venuto a sapere
di un concerto alla Scala di Milano diretto da Arturo
Toscanini, non ci pensò due volte e terminati gli
acquisti a Bologna si recò in treno a Milano, acquistò
il biglietto di 2° Galleria. Con sé aveva sempre il valigione
stracolmo. Nell'affannarsi per raggiungere il proprio
posto, mentre tutti correvano, si
aprì la valigia e ne uscirono le palline
di terracotta che Leo aveva acquistato. che ruzzolarono lungo la scalinata.
Così perdette i primi posti.
Ma pur dovendo assistere dall'ultima fila del loggione,
utilizzò il valigione per sedercisi sopra, insieme a un
giovane compagno australiano, appena conosciuto, poi
rimasto amico epistolare per lungo tempo.
A
MONTECATINI A UNA MOSTRA DI DE CHIRICO
Leo
durante una villeggiatura a Montecatini visitò una
mostra di quadri del celebre pittore De Chirico. Ad ogni
quadro faceva i suoi commenti e osservazioni, tanto che
diversi visitatori gli si erano messi intorno come fosse
una guida. Tra questi c'era lo stesso De Chirico. Quando
casualmente Leo lo riconobbe rimase perplesso e si
scusò un po' di quel suo blaterare. Ma De Chirico, con
un certo interesse e bonarietà, lo pregò di
continuare.
Il figlio Angelino si sposò
con Maria Montanari (d'Marlé)
Quando
nella metà degli anni '50 il figlio Angelino si sposò con Maria Montanari
(d'Marlé), questi si trasferirono nella casa di via Mazzini,
coi vecchi, mentre Leo Cristina e i figli Francesco Roberto e Rino
vissero nella casa di piazza Monti dietro e sopra
la tabaccheria. Da lì a pochi anni morì l'Angiulina.
Matrimonio
di Angelino Montanari e la Maria d'Marlé,
con Don
Vitt
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Agricoltore
innovatore,
ma poco
amministratore...
Per
l'impegno nella gestione dello
spaccio-tabaccheria e accudire ai due figli più piccoli
da parte della mamma Tina, questi furono entrambi
"messi" in Collegio, dai
Salesiani di Faenza, dove continuarono gli studi medi.
Alla
morte di papà 'Cencio', Leo e la sorella Emma si divisero i
beni: il terreno di Passetto fu venduto e il ricavato
servì per saldare la parte di eredità della sorella Emma e quello di
Fiumazzo fu ereditato da Leo, mentre la casa era già
stata donata anni prima al figlio Angelino da 'Cencio' e
'Angiulina'.
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Leo,
spirito anarchico e creativo, si impegnò a sperimentare forme
nuove e moderne per l'agricoltura di quei tempi. Acquistò in
proprio macchine trebbiatrici e trattori moderni. Dall'amico e sindaco Oreste Rambelli
gli fu chiesto di utilizzare due ettari dei dieci di Fiumazzo
per trovare la soluzioni ai rifiuti urbani comunali. Venne
così attrezzata la prima discarica controllata nei
suoi terreni di Fiumazzo.
(chissà dove andavano prima)
Leo si
impegnava molto anche nel lavoro manuale e gli piaceva sempre spendere le
proprie energie nella cura dei campi. Contadino-innovatore
più che contadino-imprenditore, quindi non ci guadagnava molto,
anzi!
Nei
primi anni '70, razionalizzando il lavoro, il figlio Angelino,
liquidata la Società "Romagnol Frutta", fabbrica di lavorazione frutta
di cui era socio, si affiancò a tempo pieno a Leo nella gestione dei
terreni agricoli di loro proprietà. La
produttività crebbe notevolmente.
Leo
si dedicò
comunque sempre alle sue terre, lavorando sodo, ed ancora
a 80 anni guidava il trattore.
Alla
morte di Frazché, padre di Cristina (Tina), i tre figli
Tavalazzi (Tina, Guido, Giulio) ebbero in eredità il patrimonio. A Cristina
spettarono i due terzi dell'edificio di piazza Monti.
Poi
nel 1962 Leo e la moglie Tina si costruirono una
seconda casa nel terreno edificabile di via Mazzini, col
frontale in via Bovio. Il
negozio della vecchia casa della piazza fu dato in
affitto, la licenza venduta, le camere sopra rimasero vuote per
anni.
"A
fugare il diavolo ci penso io"
Leo
non era credente ed era del tutto critico nei confronti
della chiesa istituzionale (negli ultimi suoi giorni
riuscì, a fatica, a ricordare ai parenti il testamento
di Garibaldi perché, come lui, non voleva che qualcuno
approfittasse di una sua sopravvenuta incoscienza per
impartirgli una qualche benedizione).
Però
ha sempre avuto conversazioni gradite con dei sacerdoti,
don Vitt. e don Marcucci. L’arciprete era solito, nel
suo giro di benedizioni pasquali, fermarsi da Leo per
farsi una bella chiacchierata senza naturalmente
accennare alla benedizione. Dopo la morte di don
Marcucci, essendoci un nuovo arciprete, Leo da un lato
non voleva la benedizione e dall’altro non voleva
mettersi a discutere con una persona che non conosceva
quindi, nel periodo delle benedizioni, appese alla porta
di casa un cartello con su scritto: "A fugare il
diavolo ci penso io".
Nella
nuova casa portò avanti per anni l'esperienza
conviviale di incontri culturali, coinvolgendo tanti
cittadini alfonsinesi come Adis Pasi, Don Vittorietti,
Don Marcucci, poi Vittorio Pagani allora sindaco, il maestro Costa, un ex
sindaco di Fusignano. Venivano
persone anche da Lugo (ad es. Goffredo Guerra, con dei
suoi studenti) ed erano primi esempi di quel dialogo tra
cattolici e marxisti che in quegli anni, dopo il
concilio, si stava sviluppando.
Non
fu legato a nessun partito
Leo,
non essendo legato a nessun partito dopo lo scioglimento del
partito d’azione, non era facilmente incasellabile dal punto
di vista politico.
E’
sempre stato aperto e curioso di quanto succedeva,
aveva conversazioni quasi quotidiane con Suster e con
Pinaz di cui condivideva quasi sempre le valutazioni
politiche; ha sempre commentato negativamente le varie
invasioni da parte dell’Unione sovietica (ebbe
conversazioni abbastanza concordi su questi argomenti anche
con Angelo Pescarini che continuava a venire a trovarlo
malgrado i numerosi impegni professionali e politici).
Gli
fu naturale, pertanto, simpatizzare con i fondatori del Manifesto,
giornale che cominciò a leggere regolarmente oltre ai
periodici Il Ponte e l’Astrolabio. Li leggeva e ne riempiva
i margini di annotazioni personali. Aveva visto favorevolmente
anche il movimento studentesco del ’68 e, negli anni ’70,
non mancava di partecipare a manifestazioni politiche (ad es.
contro la guerra; quando ritornava a casa, però, diceva “indo
ch’a veg, a so sempar e piò vec).
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Leo
intento nella lettura del "Manifesto" (1976) |
Leo con i
nipoti Matteo e Valeria.
A destra il figlio Rino |
Leo
rimane vedovo nel 1973.
La morte della moglie Tina,
dopo che Leo ne era stato un assistente premuroso ed assiduo, lo
gettò in una grande angoscia da cui riuscì a sollevarsi
anche grazie alla musica.
Paolo
Olmi a casa di Leo: il piano a
mezzacoda è quello che Leo aveva comperato per queste
occasioni.
Oggi è ancora ben tenuto e di proprietà di
uno dei figli di Leo, Riccardo. |
Fece
nuove amicizie in questo campo, soprattutto un certo Olmi di
Ravenna, di cui Leo elogiava molto il figlio Paolo Olmi, un
pianista che diventò poi un famoso direttore d'orchestra.
Il
giovane Olmi venne alcune
volte, "nelle sere conviviali", a suonare il piano a
mezzacoda che Leo aveva comperato appositamente per occasioni
come queste.
Leo era un grande estimatore anche di
musicisti alfonsinesi, la giovanissima Paola Bruni che andava
ad ascoltare col nonno, e di Gianni Valentini.
Fu tra i fondatori del gruppo locale alfonsinese "Amici
della musica"
Ha
sempre colpito, di Leo, la sua profonda cultura (da
completo autodidatta) sia in campo musicale che
letterario; sapeva discutere di Dante e Manzoni,
alla pari con studenti universitari, che studiavano
lettere.
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Alla
morte dell'amata moglie la di lei casa di Piazza Monti fu
ereditata dai quattro figli.
Le camere del piano superiore furono utilizzate come
laboratori fotografici da Giuseppe Masetti, un negozio del
piano terra fu dato gratuitamente al gruppo politico de
"Il Manifesto" e nel 1977 alcuni spazi del piano
superiore servirono come sede di Radio Mariposa.
In seguito, alla morte di Leo, la parte della casa di Cristina
fu venduta dagli eredi a Renzo
Tavalazzi, un nipote di Cristina.
A
Chianciano Leo con Camillo Bedeschi Leo
è morto all'età di 85 anni, nel 1986, sempre fedele ai suoi principi.
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