“Voi
siete qui”, dice il cartello turistico che sovrasta il mondo.
Bene, noi adesso siamo in Piazza Gramsci ad Alfonsine, proprio davanti al
municipio.
Siamo in piazza o, per meglio dire, al centro del centro del
centro del paese.
La
piazza (in dialetto, “piaza” con una sola zeta) è un posto dove non
succede mai niente, proprio come in paradiso. Esattamente quello che ci
vuole per la gioia di noi umani.
Al
di là di tutte le strade, di tutti i quartieri e di tutte le frazioni che
compongono questo paese, noi adesso siamo comunque in piazza (“piaza”),
e da lì, ci puoi scommettere, non ci sposteremo per nessuna ragione al
mondo.
Qui
ci sono i bar, le banche, la farmacia, la chiesa, i negozi, il notaio e i
geometri. Una volta, ma questa sembra una di quelle favole che si
raccontano ai bambini, c’erano anche il cinematografo, la casa del
popolo e la balera, per non parlare del tassista, del barbiere, del
fiorista e della callista.
La
piazza è l’unico pezzo di mondo, se si esclude casa nostra, dove è
possibile sentirsi sempre tondi come un uovo e sempre quadrati come un
portamonete.
In
Piazza Gramsci c’è il monumento alla Resistenza, sicuramente la nostra
creatura più sacra e più carica di presente, di passato e di futuro.
Sulla
qualità di questo lavoro artistico, ovviamente niente da eccepire. C’è
chi lo trova bello, c’è chi lo trova brutto, e c’è chi lo trova un
monumento e basta. A me pare invece molto scomodo e ingombrante, direi
quasi, esagerando, una via di mezzo tra una rotatoria e un TIR messo di
traverso.
Se
avessi la possibilità di rimescolare tutto secondo i miei capricci, credo
che di quest’opera d’arte conserverei soltanto i tre frammenti
riprodotti nelle foto qui sotto, e tutto il resto della piazza la
riempirei di panchine, di pini e di altre meraviglie capaci di dialogare
con l’acqua, il fuoco, la terra e l’aria.
L’omaggio
alla Resistenza non deve essere necessariamente un qualche cosa di
voluminoso o di abbagliante; al mondo esiste anche la discrezione, per non
parlare della leggerezza e della sottigliezza. Dice Callimaco:
“L’esile spiga è, per Demetra, molto più pesante della grossa
quercia”.
Sperando di non offendere la sensibilità di nessuno, cercherò adesso di
spiegarmi meglio. Quello che vedete nelle foto qui sopra è, se non
l’ombelico del mondo, certamente il capolinea delle mille anime
alfonsinesi.
Tutto
merito delle intemperie, del tempo e di tutti quei bambini che non hanno
mai smesso di girargli intorno e di calpestarlo.
Ma
è soltanto un trittico grande come un giornale, una cosa così minuscola
che rischia di perdersi nell’immensità della piazza.
Credo
di poterlo ammettere, è vero. Proprio così. L’importante è
l’armonia con il cosmo e con la vita di tutti i giorni. E poi questi tre
frammenti ci hanno messo una mezza dozzina di lustri per diventare parte
del paese, più o meno lo stesso tempo che ci abbiamo messo noi per
riconoscerli e capirne i bisogni.
Visto
che ci sono, adesso confesso anche di non averli mai degnati di troppa
attenzione. Erano lì da sempre e lì sarebbero sempre rimasti, proprio
come il municipio, le scuole e il mercato coperto.
Dovendo
azzardare un consiglio, suggerirei poi di guardarli in un modo non molto
diverso da come si guarderebbe un album di famiglia o, che ne so, una
bancarella del mercatino delle pulci. Sembra incredibile, ma in mezzo a
questi frammenti potremmo trovarci il paese delle meraviglie, la
terra desolata dei nostri bisnonni e dei nostri pronipoti, e forse
anche, ma non è detto, la copia carbone di quel monumento che sta
nella piazza del paese in cui ci troviamo a vivere.
Spero
di essere stato abbastanza chiaro, anche se ci credo poco. Per un
eventuale scambio di convenevoli, lui è comunque ancora qui al centro
della piazza, sempre più gonfio d’umidità, di crepe, di smog e di
ghirigori vagamente fangosi.
Come
si dice in questi casi, i materiali devono subire la disgregazione dovuta
al clima e all’inquinamento.
E’ il suo bello, e di sicuro anche la nostra più grande fortuna.
”Siamo di passaggio”, cantava Leonard Cohen.