Andando
verso Sant’Alberto, dopo Savarna, sulla destra… Una
lapide fra cinque pioppi di Luciano Lucci |
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Erano tutti stati imprigionati dai brigatisti fascisti
dopo un rastrellamento a Villa San Martino di Lugo, il 22 agosto, come
rappresaglia in seguito all’uccisione del brigatista Bedeschi Leonida. Il 26 agosto un gruppo di partigiani del distaccamento “Terzo Lori” eseguì un attentato lungo la statale 16 fra Mezzano e Ravenna, a Camerlona, lontano da case abitate. Nell’agguato all’autocolonna tedesca un soldato restò ucciso. La rappresaglia fu
immediata. I tedeschi chiesero ad Andreani, capo delle Brigate Nere di
Ravenna, alcuni uomini da fucilare. Furono indicati 11 nomi tra quelli già
incarcerati la settimana prima: 6 furono
fucilati a Camerlona e 5 impiccati a Savarna, dove giorni prima era stato
ferito un soldato tedesco, in un altro scontro con i partigiani. In carcere, le vittime erano state avvisate della loro sorte e ciò aveva spinto Nello Orsini a scrivere gli ultimi pensieri ai propri cari. |
La foto qui sopra dei tre antifascisti impiccati non è quella degli Orsini, ma di un analogo episodio avvenuto a Bosco delle Castagne (Belluno) il 10 marzo 1945. Tra i dieci impiccati c'era il ravennate medico e partigiano Mario Pasi, compagno della nota partigiana e scrittrice INES “SERENA” PISONI. |
Orsini Aristide, di 45 anni nato a Grosseto, residente a Lugo commerciante, coniugato – padre di Luciano e zio di Nello, repubblicano (mazziniano) membro del CLN romagnolo dal settembre 1943. |
Orsini Luciano, figlio di Aristide, di 22 anni, nato a Lugo di Romagna, studente universitario, laureando alla Facoltà di Medicina, (Laurea Onoris). Impiegato, celibe, repubblicano (mazziniano), figlio di Aristide Orsini e membro del Comitato organizzativo dei giovani repubblicani romagnoli. |
Il 26, alle prime luci del giorno, alcuni soldati tedeschi entrarono nelle carceri di Ravenna, accompagnati da un famigerato sgherro fascista. Vennero fatti uscire dalle celle undici uomini e velocemente trasportati verso Piangipane. Al bivio con la via Reale sei furono fatti scendere e avviati verso Camerlona dove furono fucilati; altri cinque sostarono in attesa del ritorno degli assassini in una casa di campagna. Venne ripresa la corsa verso Savarna. Dopo una sosta a palazzo Brocchi e un breve interrogatorio da parte di un sottufficiale austriaco. Luciano Orsini, più che difendere se stesso, difese i compagni e chiese ragione di tale feroce risoluzione. Sembra per rappresaglia, per l'uccisione di due tedeschi. Interviene il parroco don Carlo Siboni a smentire il fatto; che a Savarna non è successo nulla. E allora? Il sottufficiale tentennava; Luciano intravide la via della salvezza e si fece più convincente; l'austriaco stava cedendo. Ma già quando negli occhi dei condannati si faceva più viva la speranza della salvezza, irruppe una macchina; sopra c'erano, oltre ad un ufficiale tedesco, tre appartenenti alle brigate nere in divisa nazista. Seguirono ordini secchi e decisi: sia eseguita l'esecuzione. Il sottufficiale austriaco si rifiutò e chiese di essere inviato al fronte (partì il giorno stesso): due soldati russi fuggirono a nascondersi per non essere complici, mentre i cinque martiri furono fatti salire su un autocarro. E qui i carnefici vollero procedere con raffinata crudeltà: poiché il padre aveva implorato almeno la salvezza figlio egli fu costretto ad assistere invece alla di lui impiccagione.
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Orsini Nello, cugino di Luciano, di 30 anni, nato a Lugo, impiegato, celibe di ideali repubblicani (mazziniano) e attivo antifascista, dopo l’8 settembre 1943 si unì alle formazioni partigiane operative a Bobbio Pellice (Torino). Rientrato nella propria città natale, partecipò alla Resistenza locale con funzioni di collegamento e trasporto rifornimenti e armi, arrivando, nella 28a Brigata Garibaldi, al grado di vice comandante di Compagnia.
Calderoni
Ivo, di 30 anni, elettricista, |
D'intorno occhi piangenti di donne assistevano dalle fessure di porte e finestre mal chiuse a tutta la scena. Alle vittime furono legate la mani dietro la schiena e ad ognuna fu caricato sulle spalle un triste fardello: il capestro. In fila si
allontanarono da casa Brocchi, salirono sul costone stradale, e lì, a pochi metri, in un boschetto di giovani pioppi,
in mezzo alle erbacce, uno alla volta, Fiammenghi, Calderoni, Nello, Luciano e Aristide Orsini
furono strozzati, appesi agli alberelli: uno dei quali si spezzò sotto il peso divincolante di Aristide che
fu di nuovo appeso ad un'altra pianta. Nel frattempo Luciano, dimenandosi con i piedi riusciva ad allentare la corda che
lo riportò a terra tanto che poté reggersi ed assistere alla terrificante visione della morte padre, del cugino e degli altri sventurati compagni.
Anch'egli poi morì, ultimo della sorte.
Lettera di Nello Orsini alla fidanzata Renza Gallignani nella prima parte e alla madre nella seconda parte, scritta in data 26-08-1944 dalle Carceri di Ravenna prima dell’impiccagione. |
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Addio,
Renza, addio: ti ho chiesto |
Il
messaggio, scritto a penna su un bigliettino di carta bianca, fu affidato a un
compagno di prigionia anch’egli fucilato il medesimo giorno in località
Camerlona a pochi chilometri dal luogo in cui furono impiccati gli Orsini.
Un secondo messaggio scritto alla madre da Nello Orsini e ritrovato nel suo portafogli. |
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Da
consegnare |