Alfonsine

 

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Il maestro Marcello Polgrossi

 a cura di Luciano Lucci (suo alunno dal 53 al 56)

 

Negli anni '30 era diventato fascista perché si era trovato in quella fascia di età per cui non aveva partecipato né alla 1° Guerra Mondiale né alla Marcia su Roma perché ancora troppo giovane, e per avere un po' di visibilità (a cui teneva molto per carattere) non gli restò che aderire al fascismo locale.

                       

Il maestro Marcello Polgrossi durante il fascismo diventò 
“Capo istruttore premilitare”. In pratica insegnante di ginnastica.

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Era amante delle belle divise, delle sfilate e dell'attività ginnica, ma era sostanzialmente contrario alle ingiustizie e soprusi, come risulta da una testimonianza di Mario Cassani (futuro sindaco di Alfonsine nell'immediato dopoguerra), che gestiva una bottega da barbiere, in via Borse.

Un giorno gli mandarono l'avviso di presentarsi al sabato pomeriggio al "premilitare". Lui non poteva andarci perché il negozio doveva funzionare soprattutto di sabato, e si rivolse a vari gerarchi fascisti, dicendo che lui non poteva andare al campo dove avvenivano le esercitazioni premilitari, era barbiere, con famiglia, orfano di guerra. Da tutti ebbe un rifiuto.

Mario si rivolse al maestro Marcello Polgrossi, l'Istruttore del servizio premilitare, che era stato anche il maestro di ginnastica di Mario in quinta e in sesta classe. Polgrossi gli disse: "Non ti preoccupare, io ti segno presente e tu fai il tuo lavoro da barbiere. Però non dire niente a nessuno. Questa cosa la sappiamo solo io e te. Tu risulterai presente come se avessi frequentato regolarmente il corso”. Così Mario Cassani risolse il suo problema.

Si sentiva un atleta

Polgrossi aveva una bicicletta da bersagliere pesante su cui saliva al volo dal retro. Quando usciva di casa se la caricava sulle spalle e faceva le scale della rampa per salire sul ponte della "Violina".

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Durante il fascismo fu maestro di scuola elementare.

Nella foto sotto tutte le maestre di Alfonsine.

Polgrossi era l'unico maestro.

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A processo nel campo di Fossoli a Modena

Nel dopoguerra fu inviato a processo nel campo di Fossoli a Modena dove venivano valutate le richieste di epurazione e di compromissione coi repubblichini.

Fu prosciolto e tornò a casa.

Ma qui fu travolto dalla paura, non per le minacce ricevute che anzi non ebbe mai e fu spesso ben trattato dai comunisti locali, ma dai sussurri che arrivavano da chi era stato fascista e che lo avvisava dei rischi che correva coi comunisti locali, che l’avrebbero fatto fuori ecc.

Mentre fu chiamato a fare il presidente di seggio nelle lezioni del '46 gli toccò il seggio di Fiumazzo (99% comunisti).

Durante la pausa pranzo i vari rappresentanti di lista si alternavano per andare a mangiare.
Polgrossi disse “vado anch’io”.

C’era lì un noto comunista contadino Minghi d’Zorz che faceva il rappresentante di lista che gli disse "no lei non va a casa". Polgrossi ammutolì: " Come!?... "Lei è ospite a casa mia – e fu invitato a pranzo a casa del comunista, dove ebbe tre tipi di pasta asciutta e un lauto pranzo.

In seguito fu interpellato per aderire ai comitati per la pace a cui aderì. Ma riceveva sempre chiacchiere da parte dei suoi camerati di un tempo, tanto che scivolò in una forma depressiva che lo portò a compiere gesti strani.

Si recava infatti spesso davanti alla sezione del partito comunista (la tana del lupo) e qui sragionava sulle palline:
"Per sapere il colore delle palline non dovete guardarle ma lanciarle contro un muro e vedere qual è il colore che lasciano". (testimonianaza di Giuseppe Faccani-Bonot)

Fu ricoverato alcuni anni in una clinica da dove uscì totalmente rimesso. Poté così continuare la sua attività di maestro alla scuola elementare di Alfonsine.

Maestro all'avanguardia

Si caratterizzò come uno dei maestri più all’avanguardia dell’epoca.

Famosa la prova sull’elettricità con una fila di scolari che si tenevano per mano, mentre il primo con due forbici nella presa di corrente faceva correre una scarica di corrente (allora era 120 Volt, e non 220 come oggi!), che però non era intensa perché diffusa tra molti (solo l’ultimo della fila la sentiva più forte)

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Noi ragazzini dell’epoca imparammo cos’era la corrente elettrica, e comunque a non infilare mai più le dita nelle prese di casa.

Era molto attratto dall'insegnamento della matematica: una sua idea erano le competizioni tra gli scolari/e ad eliminazione diretta con "la gara delle tabelline": era una vera propria gara di calcolo mentale.
A volte non solo dovevi sapere la risposta, ma dovevi anche essere veloce ad arrivare alla cattedrale, tipo Musichiere, e poi ginnastica tutti i giorni per la ricreazione, lavori ad intaglio sul cartoncino con la lametta, tagliata a metà...

Ogni suo intervento non aveva nulla di episodico, ma rientrava in un progetto didattico e pedagogico ben preciso.

Non faceva fare delle semplici gare di "tabelline" che potrebbero rientrare solo in un esercizio mnemonico, ma delle gare di calcolo mentale veloce che sollecitavano invenzioni tecniche personali.

 Anche gli esperimenti di elettricità venivano svolti in modo che gli alunni potessero fare ipotesi che venivano poi avvalorate tramite l'osservazione e la conclusione. 

C'era anche l'ora settimanale di attività manuale di scambio di esperienza da femmina a maschio. 

Faceva sedere a coppie miste in modo che le femmine insegnassero ai maschi a cucire, ad attaccare i bottoni e altri lavoretti simili. A quei tempi tutte le bambine, a dieci anni, se la cavavano già in queste attività e, secondo lui, anche i ragazzi dovevano essere autonomi in lavori che di solito venivano demandati solo alle donne.

Insegnava anche chimica spiegando come fare la polvere da sparo: zolfo, carbonio e salnitro, cioè nitrato di potassio che si poteva trovare come  "muffa bianca" su vecchi muri. Si tratta di cristalli di sali minerali che compaiono dopo l’evaporazione dell’umidità presente nella parete; queste efflorescenze saline sono anche chiamate salnitro. Da allora alcuni suoi ex-studenti cominciarono ad amare la chimica... e da grandi si laurearono in Chimica Industriale.

C'era anche un'ora di lezione di musica: aveva un diapason "corista", con cui dava la nota il "do" o il "la" e da lì verificava l'intonazione dei vari alunni, poi si cantava tutti in coro l'inno nazionale "Fratelli d'Italia" e la canzone del "Piave".

Famose le gare di corsa sui tappi, e quando faceva molta neve la scuola di sci che organizzava nel suo orto dietro casa sua. Costruiva una pista per sci di fondo con una collinetta dove  tutti i ragazzini/e potevamo giocare.

E poi le gite in bicicletta di fine anno, fino al "Magazzeno" a vedere dove il fiume Senio entrava nel Reno.

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Fu anche notevole studioso di cultura romagnola.

 

 

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