"PAM-PAM-PAM
/ CIÒCA IN MAN / CIÒCA IN TERA / TIIIRA LA GUÈRA!"
C'è
una filastrocca che mi è rimasta in mente fin da piccolo: fa così "Pam-pam-pam
/ ciòca in man / ciòca in tera / tiiira la guèra!"
Alcuni
dicevano "Pam-pam-pam
/ gioca in man / gioca in tera / tiiira la guèra!", ma
per altri era proprio 'cioca', che significa 'schiocca' - 'fai un
botto' o anche 'spara'.
Poi
in una versione trovata in internet "col sciop in man/col sciop in
tera” che giustifica anche chi diceva “cioca in man / cioca in
tera”.
(clicca o tocca sull'immagine per andare al sito web dove l'ho trovata)
La
cantavamo nei primi anni '50 del secolo scorso, noi bambini alfonsinesi di
sei-sette anni, a coppie, camminando con passo marziale, le mani nelle mani,
ma con le braccia intrecciate. Nel finale "...tiiira la guèra" ci
si rigirava in undietro-front
rapido, tirando con entrambe le braccia: poi si ripeteva la storiella
all'infinito. Non so quanti se la ricordino o se fosse solo un gioco dei
bambini che abitavano in corso Garibaldi... Il significato di quella
filastrocca era sconosciuto a tutti (sia adulti che piccini).
Quando sono
diventato grandicello ho considerato questo uno dei tanti misteri
alfonsinesi che rendono anche questo paese addormentato una fonte
inesauribile di stupori.Iniziai qualche rapida ricerca qua e là, ma nulla emergeva, nessuno
sapeva niente di quella filastrocca.
Finché.....
Una
mattina di giugno del 2006, me ne stavo in bibliotecaper una ricerca sui caduti di Alfonsine nella guerra del 15 -18. Il
caro amico Gian Luigi Melandri mi suggerisce un libro "Giovecca, anche
qui è nata la resistenza", dove, secondo lui, si parlava della
"Grande Guerra" e di come era stata vissuta nelle nostre zone. La
Giovecca è un paesino vicino a Voltana. Apro il libro a caso e incontro
alcune righe: "Prendi il fucile /gettalo a terra/ vogliamo la pace /
e mai più la guerra la guerra". Si trattava di una canzoncina
cantata dalle donne proletarie durante una rivolta contro la guerra iniziata
nell'agosto 1917, che coinvolse tutta l'Italia .
Le
combinazioni nascono quando un angelo immerge un piede nel fiume del tempo,
creando un'alterazione, un ingarbugliamento, una specie di caos temporale:
da lì escono le folgorazioni, le magie.
Ecco qual era l'origine della
nostra filastrocca che cantavamo nei primi anni '50!!!
Una
specie di capsula del tempo, inviataci dal passato dai nostri nonni e
bisnonni, una canzone di lotta contro la guerra, trasformata
inconsapevolmente via via in innocua
canzoncina, forse dalla forza mediatica del fascismo, (ma così riuscì a superare le censure) e arrivata fino a noi tramite i
bambini.
Un
giorno del 2006, scendendo in bici giù dalla rampa del ponte sul Senio che
porta in piazza Monti, trovai la "violina" sbarrata davanti al
ristorante "Al gallo". C'era l'obbligo di svoltare a sinistra:
alcuni operai stavano lavorando per costruire uno dei tanti dossi
alfonsinesi. Facevano uno scavo che tagliava in due la strada, proprio nei
pressi della vecchia lapide del 1904 in cui si ricorda l'albero della libertà.
Era
stato piantato in occasione dell'avvento dell'autoproclamata
"Repubblica Romana" del 1849
Il tutto era durato appena 5 mesi, dal 9 febbraio
del 1849 al 5 luglio dello stesso anno.
Poi
le truppe francesi, al
comando del generale Oudinot, invasero le sale dell'Assemblea a Roma, ordinandone
lo scioglimento. Nelle due settimane di bombardamenti e combattimenti che
precedettero la fine della Repubblica Romana, la partecipazione popolare fu scarsa, disorganizzata,
e numerose furono le diserzioni. Come tante altre volte vedremo nella Storia
nazionale, rifulsero alcune figure, Luciano Manara, Giuseppe Garibaldi e
altri, ma i romani, per lo più restarono alla finestra. L'utopia era
finita, le baionette avevano riportato ordine, il papa era tornato a Roma.
Disegno
di Tullio Samaritani
In
quei cinque mesi attorno a quell'albero di Alfonsine vi furono matrimoni
laici, in cui i promessi sposi girandovi attorno così
recitavano:"
Sotto
quest’Albero /
Di verdi foglie,
O cari amici, /
Questa è mia moglie.
Sotto a quest’Albero /
Bello e fiorito,
Questi, il vedete, /
E’ mio marito
E
alla fine erano marito e moglie!
(A proposito: ho rubato uno di quei sassi che formavano il vecchio
ciotolato emerso dall'asfalto durante il lavoro per fare il dosso e me
lo sono portato a casa. Mi sentivo carico di energia, pieno di
entusiasmo e felicità come un bambino che avesse tra le mani la
lampada di Aladino con la possibilità di esaudire tre desideri...
potrei provarci, perché no?)
Anche
ad Alfonsine di
quell'albero era rimasta sottoterra solo la radice: annientata la Repubblica Romana, l'Albero della Libertà fu abbattuto e i sogni degli alfonsinesi
riposti nel cassetto in attesa di tempi migliori.
Quella
radice in realtà fu trovata fin da
quel lontano 1904, quando la prima giunta di sinistra, nei lavori di
ristrutturazione della 'violina' la estrasse e la conservò presso la biblioteca del Comune,
e pose la lapide a ricordo. Poi con
la distruzione della guerra nel 1945 distrutto il municipio e la
biblioteca anche quella radice era andata persa e certo nessuno
a quel tempo si preoccupò più di cercarla. (ma chissà...)
P.S.
Tempo fa il circolo di amici "Alfonsine
mon amour" fece alcune proposte per ristrutturare
piazza Monti. Una era di "togliere l'asfalto e far riemergere il
vecchio ciottolato della strada che, probabilmente, era ancora lì sotto":
il vecchio ciottolato è ancora lì sotto l'asfalto, e la proposta è ancora
valida. Ci sarà mai un sindaco intelligente e fantasioso che se ne farà
carico?
Dal 1995
si svolse ad Alfonsine in estate, ad ingresso gratuito, "Lavori in pelle" (negli ultimi anni
aveva cambiato nome in 'Ammutinamenti') - un festival-vetrina della giovane danza d'autore".
Per tutti i primi nove anni, fino al 2004, seguii lo spettacolo della gente dell'ex-bar Unità (in piazza
Gramsci) e dell'ex-bar Tavalazzi (in piazza Monti) mentre assisteva alle performance di alcuni gruppi di danza urbana, che venivano presentate nelle due piazze principali di
Alfonsine.
Nei primi anni, mentre i danzatori svolgevano le loro esibizioni,
al bar si continuava a giocare a carte, anche a voce alta, molti con le spalle ancora voltate agli artisti.
Negli anni successivi alcune performance hanno iniziato a svolgersi tra i tavoli da gioco
coinvolgendo, volenti o nolenti, gli avventori, i quali sono sempre stati simpaticamente al gioco.
Infine al nono
anno, meraviglia delle meraviglie, prima ancora che iniziasse lo spettacolo annunciato, i clienti del bar erano già appostati con le loro sedie rivolte alla piazza, tutte occupate,
in silenziosa attesa dei vari gruppi di Danza Urbana che si sono succeduti dal venerdì al sabato.
Li
guardavo con tenerezza e stupore questi miei concittadini, che in pochi anni
avevano cambiato atteggiamento e sensibilità: seguivano attenti, incantati,
ipnotizzati (quasi) dai movimenti dei gruppi che si esibivano (veramente
bravi). Alla fine tra gli applausi scroscianti degli appassionati venuti da
fuori, solo alcuni di loro avevano applaudito... gli altri erano rimasti
fermi. Non eravamo ancora al totale entusiasmo, ma va bene così: l'evoluzione
c'era
stata, sofferta, guadagnata, anno dopo anno, sentita e forse anche profonda.
Non abbiamo niente (credo) da invidiare alle varie feste di Bagnacavallo o
Fusignano: forse Alfonsine sarà ancora un paese "superficiale",
"gretto", "a-culturale": ma preferisco vederlo crescere,
sforzarsi, incuriosirsi a tutto, disponibile, fatto di gente popolare capace
ancora magari di incantarsi, più che ammantarsi di una immagine fasulla,
non sua, a volte costruita ad hoc da qualche illuminato intellettuale
locale.
Ecco perché amo profondamente questo paese.