Mentre alcuni dei soldati cominciarono una sistematica ricerca della casa, altri stesero un materiale plastico, probabilmente tritolo, sui letti al piano superiore e vi appesero fuoco (il tritolo brucia molto lentamente in mancanza di ventilazione). Altri ancora si recarono nella stalla e non trovando rifugi appiccarono fuoco al fieno nelle greppie ed alla paglia sotto le mucche. Eventualmente, mossi dai muggiti incessanti delle bestie, i soldati permisero alla famiglia di far uscire gli animali. Michele, il figlio di Giovanni, di soli sei mesi di età era rimasto solo al piano superiore, cominciò a piangere e nonostante l'insistenza delle donne fu proibito a loro di recarsi al piano superiore. Maria Argnani, in cerca del marito Stefano Dalla Casa, verso le due del mattino si era recata a casa di Ancarani e udendo il bambino piangere, forzando una porta, riuscì a soccorrerlo. Avendo trovato abbastanza vino nella cantina ed una cesta piena di uova fresche, i soldati costrinsero le donne a cucinare, festeggiando le loro imprese in una casa piena di lutto e di dolore. Alcuni dei soldati tedeschi appartenevano alle SS, altri alla Wennacht ed alcuni parlavano anche italiano, probabilmente di origine altoatesina. Col passare del tempo il fumo proveniente dai letti in fiamme cominciava anche ad invadere le camere al piano terra. Più tardi, quando qualcuno aprì le finestre al primo piano, il fuoco divampò più rapidamente distruggendo parte della casa. Nel frattempo, sceso dall'albero dopo qualche ora quando tutto appariva calmo, Giovanni si diresse verso la casa di vicini. Dopo aver ricevuto vestiti per coprirsi attraversò il fiume Senio rifugiandosi presso la casa di Silvio Tazzari (Tazér) nella Rossetta. Stefano Dalla Casa era sopravvissuto Miracolosamente, dopo le varie raffiche di mitraglia, Stefano Dalla Casa era sopravvissuto a quella tempesta di proiettili. Il corpo di Antonio, cadutogli sopra, lo aveva protetto da ferite mortali, anche se innumerevoli pallottole gli avevano crivellato i piedi e rotte parecchie ossa delle gambe. Aveva finto di essere morto, dentro al fosso, sotto il corpo di Antonio. Sapeva che Antonio era morto perché non lo aveva sentito muoversi; neppure lo aveva sentito respirare. Stefano non poteva muoversi e le gambe gli dolevano terribilmente. Ormai i soldati se ne erano andati senza lasciare alcuna guardia e da lontano li sentiva facendo un gran baccano in casa degli Ancarani. Un paio di loro erano anche usciti nel cortile per un bisogno corporale e li aveva uditi parlare a pochi metri da lui. Cercò di liberarsi dal peso del colpo di Antonio, ma le gambe non lo aiutarono, decise perciò di slegarsi le mani ancora unite con una corda a quelle di Antonio e dietro la sua schiena. Con gran fatica ed un tempo che gli sembrò un'eternità riuscì a slegarsi e finalmente poté muovere il corpo che lo immobilizzava. Doveva muoversi, ma come? E dove? Lo avrebbero cercato di sicuro appena fossero ritornati e certamente ucciso. A fatica si tirò sulla riva del fosso e si rese conto che non poteva camminare. Anche i muscoli delle cosce gli parevano di un'altra persona, con la sola eccezione che qualsiasi movimento gli provocava un dolore terribile. La casa più vicina era quella dei Tarroni, decise perciò di trascinarsi, senza l'aiuto delle gambe, in quella direzione. La distanza di circa duecento metri pareva essersi estesa di parecchi chilometri; solchi e fosserelli diventavano ostacoli insormontabili. Avrebbe potuto raggiungere la casa, ma si rese conto che avrebbe potuto metter a repentaglio la vita di tutti gli altri occupanti. Si diresse verso il pagliaio posto sul lato nord est del cortile. Poco era il fieno libero per coprirsi. Trovò un'area alla base del pagliaio dove il fieno era più soffice. In fretta rimosse quanto mai poteva, scavò un po' di terra ed entrò nell'angusto spazio coprendosi poi col fieno rimosso. Aveva esaurito tutte le sue energie e dal dolore cadde in un sonno delirante. Verso le tre del mattino sua moglie Maria furtivamente lasciò la casa degli Ancarani. Nessuno aveva potuto dirle cosa era successo a Stefano ed Antonio; doveva cercarlo. Con circospezione uscì dal retro della casa poi raggiunse la strada. Nel buio della notte riuscì a trovare un corpo adagiato nel fosso. Non era vivo e non era suo marito. Corse su e giù per i due fossi senza trovarlo. Cominciò a chiamarlo: "Stuanen? tuanen?" Nessuna risposta! A tasto non lo avrebbe mai trovato. Doveva essere vivo e certamente un po' più lontano. Vista e tatto erano stati mutili perciò decise di continuare a chiamarlo con voce sempre più alta man mano che si allontanava dai soldati. Meno udiva le loro voci e più alzava la sua per chiamare il marito. Dopo un tempo interminabile le parve di udire una voce. Lo chiamò di nuovo ed attese. Udì il suo nome da una voce famigliare che sembrava provenire da molto lontano. Si diresse nella stessa direzione, era vicina al pagliaio eppure non lo trovò finché Stefano le disse che era sotto il fieno. Voleva portarlo in casa ma Stefano rifiutò. L'alba era prossima ed i soldati non sarebbero stati lontano. Maria lo nascose un po' meglio poi raggiunse i Tarroni dove diede le tristi notizie agli adulti, mentre i bambini stavano dormendo. STEFANO FU CATTURATO DAI TEDESCHI I problemi per Stefano erano solo cominciati. I soldati uscirono dalla casa degli Ancarani verso le sette del mattino ed, avendo trovato un solo cadavere, si diressero immediatamente verso la casa dei Tarroni. Il giovane Angelo di 11 anni, ignaro dell'accaduto, fu interrogato a fucili spianati nel suo cortile, mentre gli altri soldati cominciarono una ricerca sistematica del fuggiasco. Tracce di sangue indicarono loro la direzione da prendere ed in poco tempo lo trovarono. Sotto il fieno vi era una dimostrazione vivente di estrema sofferenza ed angoscia. Furiosi per la piega che le cose avevano assunto, i soldati ignorarono le misere condizioni in cui si trovava Stefano ed incuranti lo tirarono fuori dal suo nascondiglio. Tutto grondante di sangue ed in gran dolore cercarono di metterlo in piedi. Stefano cadde al suolo; i piedi e le gambe non lo reggevano. Uno dei soldati procurò una sedia dalla casa e Stefano fu trasportato, seduto sulla sedia, in mezzo al cortile, dove si contemplava un'esecuzione sommaria e dimostrativa. Mentre Stefano in tedesco si appellava alla loro clemenza, Maria ormai provata da una notte di angoscia e disperazione si lanciò contro i soldati che mantenevano il fucile spianato su di lui. Piangendo, urlando e gesticolando Maria era una sicura dimostrazione di una determinazione che può essere presente solo dopo che tutto è stato perduto. Tanta fu la sua determinazione che i soldati desistettero dal loro compito e la lasciarono portare il marito in casa e se ne andarono. STEFANO FERITO FU LASCIATO IN CASA Incoraggiata dal successo Maria mandò una signora di San Savino a Masiera per far sapere l'accaduto ai suoi figli. La figlia Ornella in bicicletta si diresse immediatamente alla casa dei Tarroni dove arrivò alle ore nove circa, trovando il padre sdraiato su un materasso steso sul pavimento. Subito Ornella fu mandata a chiamare il Dottor Riccardo Babini a Fusignano ed alla farmacia per comprare una iniezione antitetanica. Ben sapeva il Dottor Babini quanto pericoloso fosse recarsi in quel luogo senza scorta ed incoraggiò Ornella ad interpellare l'aiuto dei fascisti locali. Ottenuta la fiala di siero antitetanico presso la farmacia dell'Ospedale San Rocco (Catoz), Ornella si recò immediatamente dal Tenente Piero Pacchioni (comandante della Milizia Fascista) alla Casa del Fascio, dove il Pacchioni offrì completa e totale cooperazione. Rimandò Ornella a Masiera e prese con se la fialetta antitetanica. Alle nove e mezza circa il Dottor Babini, accompagnato dal Tenente Pacchioni, arrivarono alla casa dei Tarroni dove Stefano ricevette le prime cure mediche. Essendo la situazione in quest'area del paese ancora quanto mai pericolosa fu solo verso le cinque o sei del pomeriggio che una macchina con una delegazione fascista locale, riuscì a compiere il trasporto di Stefano all'Ospedale. Non senza problemi perché la macchina dovette sostare vicino alle scuole del Viale Vittorio Veneto finché i soldati tedeschi lasciarono il Corso, vicino all'Ospedale. Stefano fu immediatamente portato in sala operatoria. Era questo il giorno 10 settembre 1944; solo dopo parecchi interventi chirurgici e quando tutte le connessioni con Masiera stavano per essere troncate, Stefano fu dimesso dall'Ospedale ai primi di dicembre. STEFANO DALLA CASA si salvò, MA DOPO UN MESE UNA GRANATA UCCISE ENTRAMBI I FIGLI E FERì LA MOGLIE DI UNO DI QUESTI JOLANDA TARRONI, FIGLIA DI ANTONIO. Il fato doveva colpirlo ancora una volta in breve tempo, quando il 14 dicembre una granata degli Alleati sorprese la sua famiglia nel cortile della casa uccidendo entrambe i figli Osvaldo (26 anni) ed Adriano (23 anni) e ferendo la moglie di Osvaldo, Iolanda Tarroni, figlia di Antonio. |
la famiglia rimasta dei tarroni fu colpita ancora... | |
Per uno strano gioco del destino i problemi non erano cessati neanche per la famiglia Tarroni. Alla fine del mese di dicembre 1944 una bomba colpì il rifugio sotterraneo dei Tarroni ferendo Gaetano Tarroni e Maria Martoni (moglie di Francesco). |
La tomba della famiglia Tarroni al cimitero di Fusignano |
Portati all'Ospedale di Fusignano, durante un'incursione aerea del primo gennaio 1945 alle ore 0:30 Gaetano fu ferito e morì il giorno successivo. Due settimane dopo Giancarlo, il più giovane dei figli di Francesco prese un mal di gola che si aggravò con difficoltà respiratorie (il cosidetto 'croup' cioè la laringotracheobronchite causata da un virus e che colpisce i bambini). Fu immediatamente portato all'Ospedale di Fusignano da Giuseppe Ancarani su una carriola, dove morì poche ore dopo (17 Gennaio 1945). La stalla dei Tarroni, fonte di sostegno per i pochi ed inabili superstiti della famiglia, in pochi mesi fu svuotata del suo contenuto bovino dai soldati tedeschi, lasciando la famiglia in uno stato di estrema povertà. Per anni a venire vento, acqua e neve entravano dalle finestre della casa dove carta, non vetri, aveva il compito imperfetto di proteggerli dalle intemperie. Ma continuarono a vivere! |
IL
RASTRELLAMENTO CONTINUò IN
VIA STROPPATA. |
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Consci di non aver completato il loro compito i soldati tedeschi dopo aver lasciato la casa Tarroni continuarono la loro caccia all'uomo nella campagna circostante. Entrarono in parecchie case in Via Stroppata catturando dieci adulti maschi. Durante questo rastrellamento uccisero il colono Antonio Garavini di 52 anni, che aveva mancato di fermarsi ad un "Halt" dei soldati, freddandolo in pieno. Cinque dei civili catturati dai soldati (Lorenzo Argelli, Giuseppe Emaldi, Lorenzo Bartolotti coi figli Luigi e Secondo) furono condotti al Cimitero di Fusignano dove scavarono una fossa per i dieci prigionieri. |
Antonio
Garavini
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Fu solamente per l'intervento del Tenente Pacchioni che l'esecuzione non ebbe luogo. Compito non facile per il Pacchioni (il quale era stato prima catturato dai partigiani e poi rilasciato solo quando si resero conto che egli era la sola fonte di speranza per i dieci prigionieri). I dieci furono caricati su un camion e condotti via in gran fretta. Furono rilasciati incolumi uno alla volta tra Maiano e Massa Lombarda. Il Comando Tedesco locale successivamente si scusò per gli atti commessi verso la famiglia Tarroni ed i soldati responsabili dell'eccidio furono immediatamente trasferiti. Anche se i Tedeschi non avevano compiuto le dieci esecuzioni prestabilite avevano tuttavia lasciato una profonda impressione e cicatrici perenni nei corpi e nella mente di chi era stato vittima o testimone di questa atrocità. |