Le ginocchia sbucciate

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Un monumento nomade per i riti iniziatici 
dei bambini di Alfonsine alla fine degli anni '50

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Luciano Lucci, Giampiero Beccari e Rino Montanari

Negli anni '60

Divenne comunque per i ragazzini dei primi anni sessanta uno strumento primario di "iniziazione" all'adolescenza.

    Per dimostrare di essere finalmente "grandi", si doveva saltare a terra dalla parte alta del piedistallo... un salto nel vuoto di circa due metri.

    Come ogni iniziazione che si rispetti c’era la perdita di sangue e la ferita che segna il distacco dall’infanzia (le ginocchia sbucciate e le mani scartavetrate). E la meraviglia di sentire il corpo entrare in una nuova estasi per qualche secondo (la mancanza di gravità), il superare la paura del vuoto, e zac! la coscienza improvvisa che il vero equilibrio è nel movimento, piuttosto che nella staticità.

Una rinnovata confidenza nel proprio sistema muscolare.

 

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Roberto Montanari (Bocasseur), Oberdan Savioli, Paola Pazzeschi

 
L’unico monumento degno di questo nome ad Alfonsine era ed è "e' munumént dla pègna". Oggi si trova al centro dei giardini di piazza Monti, con la sua metaforica forma fallica e una grossa pigna sulla vetta, augurio di benessere e felicità. 
Dalla bocca delle sue tre misteriose maschere scorreva acqua fresca di falda superficiale per i passanti, ma ahimè nel giro di 30 anni si esaurì. Era stato inaugurato nel 1874, ma sembra quasi che nessuno poi l'abbia più voluto, vista l'inutilità. Così è stato smontato, spostato e rimontato in vari punti del paese, oltre che cancellato dalle cartoline: un monumento senza radici, senza territorio, disambientato e nomade: per questo è simpatico a molti, ma non solo per questo.
Nessuno lo ha mai visto funzionare come una fontana, (e in molti sono curiosi ....)
Per una serie di coincidenze fortuite è ritornato al punto di partenza: al centro dei giardini di piazza Monti.
Abbandonato e bisognoso di una profonda manutenzione, nel 2009 è stato possibile un suo restauro.
Pulito dal degrado dovuto a muffe e microrganismi vari che ne avevano colonizzato il marmo travertino, rendendolo da bianco che era a grigio-nero, è tornato all'antico splendore. 
E' stata realizzata anche una più adeguata illuminazione.

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(Per saperne sul fontanone di più clicca qui)

Ci capitò, molti anni fa, di incontrare all’osteria dei Sabbioni il signor Giuseppe Baioni, un anziano pensionato dai capelli bianchi che ci ha lasciato una sua poesia su quel "fontanone".

"E' funtanon"

Aviv vest par d’là dé fiù
indo che dorma e funtanòn,
l’é pu a là dnez a Frazché,
u s’è stracc ad ster insdé
lò l’à bsogn chi vega a bé
e cui vega tot la zét
par mustrer e munument.
Lò part sora, l’à un pignò
cun la stemma de Cumun
la curnisa ‘d foiì e fiur:
int’la raza dal funtàn
ui’era quelli pr’al campagn
o sinò dri dal stradén
ui’era neca al funtanén
ui andeva la puovra zéat
che par esar piò cuntéat

 

i canteva "Taja taja, 
e gràn a e sgnor padròn,
a e cuntaden la paja.
I canteva " Tula tula
a e sgnor padròn e gràn,
a e cuntaden la pula.
Adess l’è a là c’la ziga
e la vò l’aqua d’la diga
e la zerca un architett
cui ateca un rubinett.
Al s’ra mulecoli d’arzet
c’al va in zil pini ‘d splendor
da e zil e firmament
al ven zò pini d’amor.

(poesia di Giuseppe Baioni)

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