IL
1923-24 COL FASCISMO
AD ALFONSINE |
Dopo
la marcia su Roma ad Alfonsine per due anni si creò una situazione
impressionante, che portò più volte allo scioglimento della
sezione fascista alfonsinese da parte degli organi superiori,
all'espulsione dal partito fascista di vari iscritti, fino a
interventi dello stesso Mussolini.
Ma chi manovrava il tutto erano i
Ras locali come Sasdelli e a Ravenna il Segretario provinciale del
fascio Frignani. Questo clima si prolungò fino alle elezioni del
1924. E' di quei giorni la testimonianza documentata del Commissario
di Pubblica Sicurezza di Alfonsine Veronesi che in una relazione
"riservatissima" al Questore di Ravenna, il 9 aprile del
1924 racconta la "Situazione e ordine pubblico" ad
Alfonsine.
Poco meno di un anno prima c'era stato un episodio di
scontro a fuoco con Mino Gessi che vide ferito Abele Faccani, pare
per un colpo sparato però dalla pistola del Sasdelli. Il Faccani
che era riuscito a farsi eleggere Segretario del fascio alfonsinese.
Nel
marzo del 1924 i fratelli Faccani aggredirono il Gessi, ma questi si
difese con due pistole e sebbene ferito riuscì a salvarsi. A terra
rimasero feriti i due fratelli. Abele Faccani morì dopo 17 giorni a
causa della ferita: era il segretario comunale del fascio.
Lo
squadrismo fascista in azione
Lo
squadrismo fascista si scatenò contro la famiglia Gessi con incendi
e spari. Una quarantina fra parenti e amici del Gessi vennero
percossi.
Poi
arrivò il 6 aprile: giorno di elezioni politiche.
Il
5 aprile del 1924 fu picchiato Antonio Galvani, sensale, bastonato
da cinque individui di cui uno in divisa. Tra loro c'era il Faccani.
Poi fu incendiato il negozio di elettricista di Leonardo
Errani e Francesco Biffi, repubblicani.
Il
6 aprile Bruno Contessi, appena uscito dal seggio elettorale e aver
votato la Lista Nazionale fu bastonato dal Faccani perché
parente dei Gessi.
Nella
notte del 6 fu saccheggiato il negozio di Caffé e Liquori di
Vittoria Calderoni, asportati liquori, oggetti e denaro... (Il
Commissario scrisse che riteneva il promotore Antonio Mirri
spalleggiato da altri compagni fascisti, dato che anche l'anno prima
aveva compiuto un'azione analoga).
Nel
pomeriggio del 7 a Pagani Tommaso viene ingiunto di smettere il
lavoro di costruzione edilizia avviato (stava costruendo il Caffé
Victoria e l'albergo "Al Gallo"), 'con minacce di danni
agli averi e alla sua persona' da parte di Secondo Ricchi (Baràs),
membro della milizia fascista.
Sempre
il 7 un ex-repubblicano Riccardo Bosi venne bastonato in via Mazzini
da Giuseppe Pagani e dal Ricchi, e poi stessa sorte toccò a un
ragazzino di 16 anni. Nella notte incendiarono il negozio di merci,
tabacchi, salami di Angela Mazzotti e della sorella (i maestar)
Sempre
il 7 tre persone furono inseguite da Secondo Ricchi, Giuseppe
Argelli, Mirri Antonio e Giuseppe Pagani, con bastoni in mano.
Riuscirono a fuggire abbandonando le biciclette, che furono smontate
e distrutte poi gettate nel fiume.
Giuseppe Margotti fu minacciato di morte da Ricchi e Argelli (Scuscén) costretto a rimaner chiuso in casa.
|
Scuscèn
all'epoca dello squadrismo
Insomma
in concomitanza con le elezioni politiche del 6 aprile ad Alfonsine
un gruppo di squadristi inquadrati nella milizia fascista
'hanno
girato di giorno e di notte per le vie del paese incutendo terrore,
- scrisse il Commissario di Pubblica Sicurezza - e se per i
fatti avvenuti non sono in grado in questo momento di fornire le
prove all'autorità giudiziaria... in questo rapporto posso
esprimere la convinzione che essi sono gli autori.' .... e
propose 'l'eliminazione immediata dal Fascio e dalla Milizia
di Faccani Giuseppe, Ricchi Secondo, Giuseppe Argelli, Pagani Giuseppe,
e Mirri
Antonio...
Ricchi Secondo ha tutti i caratteri del delinquente comune,
violento, direi quasi sanguinario...
Argelli Giuseppe è un giovane
impulsivo con tendenza a delinquere. Durante il tempo di questa
gazzarra politica ne ha commesso di tutti i colori ed alcune azioni
hanno rivestito il carattere di reati, le cui denunzie... sono state
omesse per la delicata opportunità politica del momento...' |
Le
azioni intimidatorie continuarono per tutto l'anno con percosse e
minacce ad altre persone, soprattutto repubblicani, oltre a più di
un incendio del Circolo Repubblicano.
Espulso
da Partito fascista poi riammesso e assunto come guardia municipale
|
Scuscén
in divisa da guardia municipale
Dopo
numerose e ripetute espulsioni di vari fascisti, con scioglimento e ricostruzione del
locale partito, troviamo Giuseppe Argelli, Giuseppe Pagani,
Giuseppe Faccani assunti come guardie municipali, certamente su
raccomandazione del Sasdelli.
Come guardia
municipale tutti e tre operarono sempre in obbedienza alle indicazioni degli
organi dirigenti del partito e in seguito (dal 1932 in poi) del
nuovo Podestà Marcello
Mariani.
Giuseppe
aveva avuto il suo premio con l'assunzione come Guardia Municipale,
e per questo dimostrò sempre riconoscenza al Sasdelli che
era diventato, da Segretario del direttorio fascista, Segretario
dei Sindacati fascisti. Da quella posizione riuscì a sistemare
anche i due fratelli di Giuseppe: Alfredo come
"stradino comunale" e Anselmo come bracciante. |
Il
rientro nella legalità (fascista) avvenne negli anni '30 ed durò fino alla caduta
del fascismo.
Così 'Scuscén' fu
sempre fascista, ma senza le intemperanze e le violenze del periodo
giovanile |
Un
grande amore
per la famiglia
Giuseppe
Argelli e e la moglie Tonina Zaganelli, durante il viaggio di
nozze a Venezia
Giuseppe,
il figlio Tomaso e la moglie Tonina (anno 1934)
In
estate la famiglia Argelli andava in vacanza al mare a Viserba, un
privilegio di pochi a quei tempi.
Da
sinistra: dott. Pasini, Scuscén in divisa, Corrado Santoni,
Marcello Mariani, Faustino Vecchi, davanti alla Casa del Fascio
L'emancipazione
sociale di Giuseppe si completò
a 29 anni
quando nel 1932 sposò Antonia, figlia del fattore Tomaso Zaganelli
e Marianna Tarroni, con un matrimonio di prim'ordine al Santuario
della Madonna del Bosco.
Ebbero due figli Tomaso nato nel 1934 e
Giancarlo nato il 22 ottobre del 1945 (quando il padre era già
stato fatto scomparire).
Abitavano all'incrocio tra via Reale e Raspona, dove oggi (2010) c'è il forno
Azara.
Giuseppe
Argelli fu un buon marito e un buon padre di famiglia, molto attento nell'educazione
del figlio, e nel sostegno alla famiglia.
Nel tempo libero si
dedicava con passione alla cura dell'orto di casa.
Amava
la musica classica, ma non era certo un uomo di cultura: aveva
acquisito il diploma di sesta elementare frequentando le scuole
serali. Leggeva libri di Dostojevski come 'L'idiota' e 'Delitto
e Castigo', e altri simili.
Dagli
anni '30 fino alla caduta del fascismo svolse il suo ruolo di
guardia municipale seguendo gli ordini del podestà Mariani.
In qualità di
Guardia
Municipale veniva a volte incaricato
di controllare e tenere sotto pressione i supposti anti-fascisti del paese,
svolgendo ancora un ruolo intimidatorio, anche se non più violento,
come nei primi anni.
Si
mostrò a volte arrogante ed eccessivamente autoritario, nello
svolgere l'incarico di Guardia Municipale, forte della sua divisa,
attirando su di sé astio, ostilità e anche odio da parte di
vari alfonsinesi. Ma non vi furono episodi particolarmente gravi.
Giuseppe
(Scuscén) Argelli si dimostrò anche capace di momenti vari di
solidarietà con i più deboli e le persone in difficoltà.
-
A Natale e a Pasqua invitava a pranzo una vecchietta del vicino
ricovero per anziani, "Mai la stessa" - ha precisato il
figlio Tomaso. A tavola era bandito il vino in reazione alle
abitudini del babbo Domenico, grande bevitore e spesso ubriaco.
-
Essendo il fratello Anselmo sposato a una comunista, spesso Giuseppe
dovette intervenire per tirar fuori di prigione i fratelli di lei, quando venivano 'fermati' dai fascisti e dai
repubblichini: gli capitò così di dover far liberare tutto il gruppo di
antifascisti tra i quali c'erano i cognati del fratello, che i fascisti di Ravenna avevano rastrellato per
portarli nel capoluogo. (Testimonianza
della moglie di Ivo Calderoni)
Un
legame particolare
con la famiglia Pescarini
I
Pescarini erano una nota famiglia alfonsinese. Il capofamiglia
Natale era un militante anarchico, a cui il regime fascista non
rendeva certo la vita facile, tanto che fini in esilio in Francia, a
Nizza, insieme ad altri antifascisti italiani e di Alfonsine.
Aveva
tre figli Giorgio, Angelo e Vincenzo. Giorgio fu insegnante
del figlio di Giuseppe Argelli, Tomaso nell'immediato dopoguerra.
Angelo, più giovane, divenne professore di Matematica e insegnò al
Liceo Classico di Ravenna, fu anche esponente del PCI e assessore
regionale alla Pubblica Istruzione negli anni sessanta.
Una
testimonianza di Angelo Pescarini
Tomaso
Argelli nel dopoguerra, quando era sottufficiale della Marina e
comandante del porto di Cervia ricevette la visita del professor
Angelo Pescarini. Questi gli raccontò (cosa che lui non
ricordava) che ogni domenica Scuscén portava la carne a casa dei
Pescarini, che erano all'epoca poverissimi, e nel pomeriggio
accompagnava Tomaso e i due fratelli Pescarini al cinema.
A
distanza di così tanti anni il Pescarini dimostrò a Tomaso la
sua gratitudine per quel fatto di suo padre e gli espresse anche
le sue condoglianze.
Durante la guerra portava carne a famiglie bisognose. Rimase in
amicizia con i Pescarini, che per avere un padre anarchico erano
stati spesso perseguitati dai fascisti.
|
Testimonianze
per capire il ruolo che Scuscén ebbe nella società civile di Alfonsine
durante il fascismo e dopo la sua caduta
Da
alcune testimonianze che riporto qui di seguito si
intravede il ruolo che Scuscèn giocava nella società civile di
Alfonsine, ma nello stesso tempo anche la moderazione a cui si
adattava quando il rischio era di scatenare violenza
Una
testimonianza di Mario Cassani
Il
giorno della presa di Madrid (1939) Mario Cassani, che gestiva un negozio da
barbiere si vide arrivare in bottega
Giuseppe Argelli (Scussé), che era guardia municipale:" Et savu ch'ja ciap Madrid? e bsogna t'metta fura la bangiéra" (Hai saputo che hanno preso Madrid? devi esporre la
bandiera) "Perché hanno preso Madrid, non credo di dover esporre la
bandiera... E poi io non ce l'ho...". Argelli ribatté "Non l'hai o è perché
non la vuoi esporre?" Mario
era già riconosciuto come antifascista, in quei giorni. Argelli insistette
- "Se non ce l'hai vuol dire che tu sei poco italiano"
- "Io
sono convinto di essere italiano, tanto che mio padre è morto in guerra per
fare l'Italia, ma ciò non significa avere la bandiera"
-" Se tu dici
che non hai la bandiera, fra dieci minuti te ne porto una io" e così se ne
andò subito con la bicicletta. Mario cercò di finire in fretta la barba
al cliente che aveva sotto, poi chiuse la bottega e andò dalla fidanzata Tonina
(futura moglie) raccontando cosa gli era successo e che si sarebbe rifugiato dai
Calderoni, amici di famiglia che abitavano lì vicino nelle Borse: si sarebbe
nascosto per non prendere le botte.
Intanto Argelli arrivò e vedendo il negozio
chiuso andò a casa di Tambini (Piulò) che era sua amico ma anche questi amico e cliente di
Mario:
"Tu che sei un suo cliente fagli sapere che quando l'incontro gli darò un
mucchio di botte, così impara a fare lo sbruffone e a non esporre la
bandiera". Tambini
(Piulò) il giorno dopo andò al negozio e disse a Mario che aveva fatto male, che avendo una
famiglia, era meglio essere prudente, che mettere fuori la bandiera non era
niente... Mario
rispose "Vo a duvì fem un piasé, a duvì dij che un m'ha brisa da de dal
bot, mo um'ha d'amazé (Voi dovete farmi un piacere, gli dovete dire che non mi
deve dare delle botte, ma mi deve ammazzare), parché se lo um bastona, me dop pu
hai feg la posta e hai deg do sciupté (perché se lui mi bastona, io dopo mi
apposto e gli sparo due colpi) parché me al bot an li voi brisa. Se me ajo
viulè la lez c'um denuzia (perché io le botte non le voglio e se io ho violato
la legge che mi denunci) se io sono poco italiano che prendano i provvedimenti
che devono, ma se lui dice che mi bastona voi ditegli che se mi lascia al mondo
lui poi ci rimette la vita (la gabana). Intanto
Mario si procurò una pistola. Passarono i giorni e non successe niente,
finché un giorno che andava a fare la barba a casa di gente lungo la
Stroppata, che era in "macadam" (strada ghiaiata),
incrociò proprio Scuscén. Aveva la pistola nella sporta.
Avanzava guardando cosa avrebbe fatto Scuscén, il quale fece
finta di non vederlo e così non successe nulla. Da quel giorno Scuscén
non gli fece più alcuna provocazione. Una
testimonianza di Tonino Pagani (d'Cài)
L’anno in cui gli
Stati Uniti entrarono in guerra a fianco della Francia, dell’Inghilterra
e dell’Unione Sovietica era il ’42; quello fu anche l’anno in cui
mio fratello Cassiano faceva il militare a Bari, ed era tornato a casa per
una breve licenza. Mio fratello Mino, invece, si trovava al confine tra l’Italia
e la Jugoslavia. Era un mattino di primavera verso mezzogiorno, stavamo
pulendo il pavimento del bar, quando arrivò in bicicletta la guardia
municipale “Scussé” (Giuseppe Argelli), e appoggiando il piede sulla
soglia della porta ci allungò un manifesto di propaganda fascista,
intimando a Cassiano di appenderlo immediatamente e in maniera ben
visibile.
Mio fratello smise di spazzare, lo ascoltò guardandolo tutto serio poi
gli rispose in dialetto: “Attaccatelo tu se vuoi, io non lo attacco!”
Quel personaggio era un fascista della prima ora, e insistette ancora un
po’ ma, visto che mio fratello rimaneva nelle sue posizioni, diede a me
il manifesto e se ne andò.
La temerarietà di mio fratello era dovuta probabilmente al fatto che
pensava al suo imminente ritorno alla base militare di Bari: il suo
reparto sarebbe stato inviato in uno dei vari fronti europei o africani,
quindi le conseguenze della sua reazione non gli potevano fare né caldo
né freddo, visto che stava per andare a rischiare la vita al fronte.
Qualche
giorno dopo la sua partenza ricevemmo una lettera dalla Commissione
Speciale dei fascisti locali, dove si diceva che Cassiano Pagani era stato
sottoposto al giudizio della stessa e quindi proposto al confino per
insubordinazione. Ma lui non ebbe modo di subirne conseguenza, perché
continuò a fare il militare per tutta la durata della guerra, tornando
però a casa, sano e salvo, dopo la liberazione, quando i fascisti erano
già stati cacciati da Alfonsine.
Con la caduta del fascismo non
seppe da che parte stare
Una testimonianza di Arturo Montanari dla
Canapira lo descrive insicuro se andare con i repubblichini o no.
Così ha detto Arturo dla canapira: "Io ebbi molte
discussioni con lui. Alla caduta del fascio, mentre con mia sorella
mi recavo al di là del Reno dove avevamo delle patate, lui ci
raggiunse in bicicletta. Mi mise una mano sulla spalla. Io gli
dissi:"E allora? hai visto che 'scaramella' ha fatto il tuo
Fascio? Ti ricordi quando in piazza dicevi che il fascismo aveva
delle radici e e dei muri grossi come quelli della chiesa?
Adesso come la metti?" E lui :"Adesso sono un povero
disgraziato e non c'è più nessun che mi rivolga la parola" Ed
io:"Per forza ne hai fatte di tutti i colori!"
Mi disse
"Di me tu non ti puoi lamentare!..."
"Personalmente
non posso lamentarmi, ma hai bastonato delle persone che quando le
bastonavi è come se bastonassi me..."
"Lo so, lo so...
pensi a Primo d'Batanèn (Montanari Primo di Taglio Corelli).
Eravamo partiti con una squadra per andare a bastonare lui e
Gianetto Zaniboni e non li abbiamo trovati... Ci avevano detto di
bastonarli e far loro anche di più se era il caso...
Successivamente, in piazza, il capo dei fascisti, Sasdelli, me lo
indicò. Io ero come il cane da caccia. Sono andato e l'ho
bastonato... non però violentemente... E dopo però sono andato a
casa sua con Bruno Bendazzi a chiedergli scusa..."
Scuscén
venne ancora una volta, alla caduta del fascismo, a casa mia per
chiedermi un parere su quello che era meglio che facesse.
Io gli
dissi :"Un parere a me che sono qui a casa con mia moglie e mia
sorella... ed oggi ci sono e domani chissà?!..."
Soggiunse che
nel Fiumazzo c'era la Decima Mas.
"Potrei andare ad arruolarmi
con loro..."
Ed io: "Così non farai che aggravare la tua
posizione..."
Mi disse:" Tu che sei in contatto con il
Comitato di Liberazione..."
Lo interruppi: "Io non sono in
contatto con nessuno!"
Erano momenti quelli, in cui non era
prudente fidarsi di nessuno. Evidentemente Scuscén cercava qualcuno
che lo potesse indirizzare."
Arturo
Montanari dla Canapira conclude la testimonianza con una frase che
fa pensare:
"Scussena
Argelli fu poi trovato morto nel Fiumazzo".
Poiché
invece il corpo di Giuseppe Argelli non fu mai trovato o Arturo ha
riportato una diceria, oppure qualcuno all'epoca trovò il corpo e
lo fece sparire.
L'Argelli,
durante l'occupazione tedesca, si trovò in una zona
grigia
Durante
la Repubblica
di Salò, l'Argelli si trovò in una zona grigia: dopo la
caduta del fascismo lasciò qualche dichiarazione dubbia, ma poi si
offrì di aiutare chi, durante il fronte di guerra, organizzava l’assistenza
sanitaria per gli ammalati e feriti di Alfonsine, tramite un
Comitato Cittadino, accettato dai tedeschi, (ma in pratica gestito
dal CLN).
Era
deluso da come si erano messe le cose, e aveva capito che la baracca
era ormai andata, ma non volle mai passare dall'altra parte, non
voleva essere un voltagabbana. Non volle cambiar faccia e questo
atteggiamento forse l'ha pagato con la vita.
Nel
complesso sembra di intravedere, nell'Argelli del dopo fascismo, una persona che,
nella nuova fase che si andava delineando con la guerra, isolato da suoi
concittadini rimasti in paese, voleva comunque rendersi utile, e, quasi a
farsi perdonare delle
intemperanze del periodo violento giovanile, tentasse un riscatto
morale, senza rinnegare il suo essere stato fascista.
Comunque non
si iscrisse all'RSI perché, se l'avesse fatto, avrebbe dovuto abbandonare la
famiglia e andare al nord. Ma il suo legame col figlio Tomaso e la moglie che
era incinta gli impedirono comunque quella scelta. (Questo è ciò che ha
raccontato a me Tomaso Argelli)
La
testimonianza del figlio Tomaso
Il
figlio Tomaso Argelli quindi conferma che che il proprio padre non aderì alla Repubblica di
Salò e che poi con l'occupazione tedesca, si rese disponibile per aiutare
il pronto soccorso allestito dal Comitato Cittadino (ufficialmente si chiamava così, ma era un Comitato
gestito dalla Resistenza) in via Mazzini, nel
palazzo Ferné.
Scuscén
collaborò con il Comitato
Cittadino, che tenne alcune
riunioni per non destare sospetti nella sua casa all'incrocio di via
Raspona con via Reale, dove avevano la loro abitazione (oggi forno
Azara). Era un luogo sicuro perché
essendo casa d'Scuscén i brigatisti neri non avrebbero dovuto azzardarsi a
perquisirla.
Quindi
il
vigile urbano Scuscén, l'unico di quelli in servizio rimasto in
paese, in quanto dipendente comunale, si era messo a disposizione di
quel Comitato Cittadino, consapevole certamente che quelli che comandavano
lì erano tutti membri del CLN, (lui doveva saperlo, visto il suo ruolo durante gli anni
precedenti).
Fu
spesso impiegato per missioni tipo andare a prendere medicinali a
Ferrara, oppure provvedere alla distribuzione di carne ecc... Tutte
azioni che compiva con suo fratello Anselmo, e bel, sposato
con una che
era un'accanita comunista e faceva parte della Resistenza. Così l'uno garantiva l'incolumità
all'altro: se incontravano brigatisti neri o tedeschi era Scuscén il
salvacondotto, e viceversa.
Un
giorno che in casa c'era solo Tomaso arrivarono delle
squadre di fascisti dal ferrarese alla ricerca di informazioni e di armi che pensavano
fossero lì. Erano forse convinti che Scuscén fosse una spia dei
partigiani? Non trovarono nulla, solo una vecchia pistola del nonno
di Tomaso.
Dopo quell'esperienza Giuseppe Argelli ebbe paura e trasferì tutta
la famiglia presso la casa di suo fratello Anselmo, detto 'E bel'. Qui
abitarono insieme al fratello Anselmo e a sua moglie, la comunista. Era una casupola attigua alla casa del
Dott. Pasini in via Mazzini, proprio di fronte al
Pronto Soccorso aperto nel
sotterraneo del palazzo Ferné e nella casa attigua
di un cugino di Scuscén, Ezio Argelli detto Fumì, che il Comitato Cittadino gestiva
direttamente e usava anche come copertura dei suoi
militanti della Resistenza.
La
prima domanda che io mi sono posto è: quell'episodio dei fascisti
che arrivarono a perquisire la casa di Scuscè non insinuò forse lo stesso dubbio,
e cioè che potesse essere un doppiogiochista anche in quelli della
Resistenza?
Comunque
lì attorno a quel pronto soccorso bazzigavano anche tanti altri vecchi amici di Borgo Gallina, che
ora erano diventati tutti comunisti. Con loro aveva un rapporto di
amicizia. Tant'è che nei giorni poi della sua scomparsa, dopo che
era stato ammazzato, quei compagni facchini presero le difese della
famiglia: "Chi si permette di toccare la famiglia di Scuscén
deve fare i conti con noi". (testimonianza di Tomaso, il
figlio).
E infatti nessuno trattò mai male
la moglie e il figlioletto.
Ipotesi
sulla fine di Scuscén
La
mattina del 7 febbraio
1945 Giuseppe Argelli fu incaricato da due del comitato cittadino
(due esponenti della Resistenza) di recarsi a Ferrara a recuperare
medicinali che servivano per l'ospedale e il pronto soccorso di via
Mazzini. (Tomaso il figlio era presente e ha usato spesso la frase 'vennero a prendere mio
padre', ma poi quando gli ho fatto notare
che gli 'fu ordinato di andare a Ferrara' è diverso dal dire 'lo
vennero a prendere', ha ammesso che sì la sua forse è stata una
forzatura.
Quel
giorno Anselmo era ammalato e i due diedero a Scuscén un documento
salvacondotto del CLN di Alfonsine. Da notare che Scuscén aveva
anche un documento salvacondotto rilasciato dai tedeschi.
Fu
anche accompagnato da una donna appartenente alle formazioni
partigiane di Lavezzola (o Voltana). (Questa informazione non
ricordo da dove io l'abbia avuta .ndr)
Scuscén
aveva un triste presentimento mentre indossava la divisa da vigile
urbano. La moglie lo implorò di non andare, ma lui disse che aveva
dato la propria parola e che i medicinali erano indispensabili per
l'ospedale. Salutò la moglie e abbracciò a lungo il figlioletto
Tomaso.
Il 7 febbraio
1945 Giuseppe Argelli scomparve, e fu probabilmente assassinato, anche se non si è mai saputo
da chi né per ordine di chi. Il
suo corpo non fu mai più trovato. Voci lo davano sepolto in quel di
Bondeno insieme ad altri. Qualcun altro dice che fu ucciso nelle
scuole di Borgo Fratti e lì vicino sepolto.
Ricerche recenti (febbraio 2016) ordinate dalla Procura di Ravenna
nei pozzi del cortile di tali scuole hanno dato esito negativo.
Il figlio maggiore
Tommaso sostiene che la mattina che scomparve
il padre, i due capi dei
partigiani locali che gli avevano dato l'incarico erano: Annibale Manzoli
(Nebal) e Mario Cassani (Marii).
Lui era
presente e sostiene che
era una trappola.
Secondo voci che circolarono poi in paese Scuscén fu
torturato e poi ucciso a Taglio Corelli presso la casa di Tabanelli
ed il suo corpo gettato nel Reno.
Unico superstite, il Mario Cassani (che fu il
primo sindaco di Alfonsine nel dopoguerra) ha negato al
sottoscritto, o comunque ha
detto di non ricordare, che lui insieme al Manzoli si fosse recato quella mattina a
casa di Argelli per dargli l’incarico di andare a prendere
medicine a Ferrara.
Se non fu il Cassani, comunque potrebbe essere verosimile che il
Manzoli avesse incaricato Argelli di quella commissione, anche se va
detto che poteva essere normale dargli un tal incarico visto che l'Argelli
si era dichiarato disponibile a svolgere tale attività in quanto
guardia comunale.
Ciò non significherebbe automaticamente che si trattasse di un tranello
ordito proprio per eliminare Giuseppe Argelli, anche se può
apparire plausibile.
Il
fatto che, nei giorni dopo la scomparsa, nessuno di coloro che aveva
dato quell'incarico si sia mai fatto vivo presso la famiglia,
testimonierebbe di una loro responsabilità, anche se pur morale?
"I responsabili di quella missione - dice Tomaso - non
si fecero trovare. Per alcuni giorni fu impossibile parlare con
loro. Non si curarono nemmeno di salvare le apparenze, magari
raccontando due frottole alla famiglia.
Quando iniziò a circolare la voce che Giuseppe Argelli era stato
ucciso alcune decine di persone inscenarono una manifestazione
davanti al Pronto Soccorso. I carabinieri cominciarono a svolgere
delle indagini e interrogarono anche i due indicati da Tomaso.
Nessuno però sapeva nulla di nulla. Di quelle indagini e
interrogatori non è rimasta traccia negli archivi della Tenenza dei
Carabinieri di Alfonsine, trasferita poi a Cervia"
Sull'accusa
quindi che Tomaso Argelli rivolge ai due rappresentanti comunisti
della Resistenza ad Alfonsine di aver ordito una trappola per suo
padre non c'è ovviamente alcuna prova che lo documenti.
Anche
la loro riluttanza a farsi vivi presso la famiglia, dopo che la
moglie aveva fatto i loro nomi ed erano stati interrogati dai
carabinieri (come ha detto Tomaso), sarebbe comprensibile.
C'è
una sola indicazione di un conoscente della famiglia, un certo
Antonio Baldini, che dopo circa un mese dalla scomparsa, disse di aver visto
Scuscén
bloccato dai partigiani sul ponte della Bastia. Era territorio
occupato dai tedeschi, e come ha scritto anche Ugo Cortesi la cosa
non quadra: in quel periodo il ponte della Bastia era presidiato,
con due specie di garitte, una dalla parte ferrarese, dai tedeschi e
l’altra dalla parte ravennate dai repubblichini, quindi non
potevano esserci lì dei partigiani.
Ma nel caso fosse vero
che il Comitato di Liberazione stesso (o chi per lui) avesse davvero
deciso la sua eliminazione, probabilmente la motivazione potrebbe essere stata
(questa è un'opinione mia) che
temendo fosse una spia, nel dubbio, andasse eliminato: non erano
tempi quelli in cui si andasse tanto per il sottile.
Come
pure plausibile potrebbe essere una vendetta più che politica, di carattere
esclusivamente personale (come è più propenso a sostenere il
figlio Tomaso), per qualche offesa o pestaggio subito nel
periodo del fascismo, eseguita magari con la copertura della lotta
partigiana.
Dopo
anni sembra che qualcuno abbia cominciato a parlare di quella
vicenda. Secondo costoro Giuseppe Argelli sarebbe stato torturato e
ucciso in una casa di Taglio Corelli, sotto l'argine del fiume Reno.
In quella casa subito dopo il passaggio del fronte furono trovati
due arsenali di armi e munizioni.
Come siano andate veramente le
cose non si sa per certo...
La
reazione del figlio Tomaso Dopo
circa un mese dalla morte presunta del padre Tomaso allora appena undicenne,
inforcò la bicicletta per raggiungere la Decima Mas. Era quasi arrivato ad
Argenta quando lo zio Rino (Pellegrino Montanari detto Marlé, repubblicano,
partigiano, vice Comandante generale della 28° Brigata Garibaldi, quella di
Bulow) lo raggiunse per portarlo a casa. Da
allora il desiderio più grande di Tomaso fu di ritrovare i poveri resti del
padre e di dargli una degna sepoltura, ma a nulla valsero le sue ricerche e
le sue invettive anche a viso aperto contro quelli che riteneva i responsabili
di quella tragedia. Nell'immaginario
collettivo degli alfonsinesi Scuscén è stato raccontato come l'emblema
dell'aspetto violento e fanatico del fascismo. Probabilmente ciò fu dettato
per giustificare, di fronte all'opinione pubblica degli anni del dopoguerra,
la sua eliminazione tragicamente violenta. Non
essendoci motivazioni ufficiali né ufficiose per tale esecuzione, e facendo
riferimento alle sole testimonianze avute e qui riportate, in attesa magari di
altre eventuali, balza all'occhio la sproporzione fra le 'colpe' che
potrebbero essere attribuite a Scuscén e la pena massima che gli è stata
inflitta. Questo nell'ipotesi che egli sia stato soppresso per motivi
'politici' o di 'vendetta personale'. Se
invece la causa fosse perché era stato ritenuto 'collaborazionista dei tedeschi' (ma non ci sono
indizi per questo, tra l'altro non aderì alla Repubblica di Salò) o
'doppiogiochista e potenziale spia', questo potrebbe essere uno dei motivi
forti e 'comprensibili' della sua eliminazione, perché questo fu
uno dei rischi
più elevati a cui si esposero tutti coloro che da fascisti restarono nella
zona del fronte, cercando di dare il loro contributo per aiutare la
popolazione senza aderire ai partiti del CLN. Se
il suo assassinio fosse invece dovuto a motivi personali, vendicativi o quant'altro,
dovrebbe risultare come una delle tante vittime dell'atrocità della guerra, e
come tale essere riconosciuto. Del resto il suo nome appare in un elenco dei
morti civili caduti durante la guerra ad Alfonsine redatto da Giuseppe Masetti,
a nome dell'Istituto Storico Provinciale della Resistenza. Una
riflessione di Luciano Lucci, autore del sito e della ricerca su Scuscén In
una dedica scritta a mano in un libro pubblicato nel 2009 sulla storia della
sua famiglia Tomaso ha scritto: "Sarebbe
bastato un atto di umana pietà per essere partecipi di una comunità"
Quell'atto,
cioè indicargli dove erano finiti i resti di suo padre, non c'è mai stato, e la comunità degli alfonsinesi dovrà portarsi
appresso questo peso per sempre.
Il
raccontare la storia di Giuseppe Argelli vuole essere un modo per
sopperire a quella mancanza, dato che la possibilità di ritrovare quelle
povere ossa resta ormai solo una lontanissima speranza. Giuseppe Argelli
fa parte della storia di Alfonsine, nel bene e nel male, è morto in una
orribile guerra e in modo tragico, e a lui, come a tutti gli altri morti che
il paese ha avuto, spetta il riconoscimento dei suoi concittadini di
un sentimento di pietà e di rispetto umano.
L'ULTIMA
RICERCA NEL FEBBRAIO 2016
A
riaccendere le speranze di Tomaso Argelli ci aveva pensato
Gianfranco Stella nel suo libro «I grandi killer della
Liberazione». Sebbene
le versioni sulla fine di Scuscèn siano diverse, («più
che a una questione politica – dice Tomaso –, io ho sempre
pensato ad una vendetta personale»), il
giornalista, nel suo volume, ha fatto nomi e cognomi di chi, secondo
lui, stava dietro alla scomparsa di Giuseppe Argelli, e
nero su bianco ha scritto che Scuscèn sarebbe stato "freddato
dai partigiani e il suo corpo gettato in uno dei pozzi nel cortile
delle vecchie scuole di Borgo Fratti".
Una volta letto il capitolo riguardante suo padre, Tomaso Argelli si
è recato alla stazione dei Carabinieri di Alfonsine. La pratica è
arrivata alla procura della Repubblica di Ravenna, che ha riaperto i
faldoni e ordinato di scavare, dopo 71 anni, nel cortile delle
vecchie scuole.
Le operazioni sono andate avanti e venerdì 12 il
verdetto: di Giuseppe non c’è traccia. «Non
cercavo assassini, volevo
chiudere il capitolo della guerra trovando le spoglie di mio padre
per dargli degna sepoltura, ma purtroppo non ci sono riuscito. Per
me la questione è chiusa. conclude Tomaso -. Sono grato alla
Procura, che con coraggio ha lavorato per accertare la verità, e mi
dispiace per Stella, che qui si è rivelato poco credibile: ora
gliela faranno pagare». |