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| Albero genealogico della famiglia Mascanzoni |

 

Giuseppe (Pino) Mascanzoni 
 
(1928 - 2016)

torna su di una generazione

Non conobbe mai il padre Aldo che morì quando lui aveva appena 8 mesi (1928).

La madre Maria Pirazzini si accompagnò con Giovanni Tamburini (Bardéla) che divenne il suo padre effettivo



A sinistra la casa dei Mascanzoni con a fianco il palazzo dei Contessi

Il numero 1°) individua la casa di Aldo Mascanzoni ("Capelloni e capurèl"). Nella parte 3) abitava Enrico Berardi "Pizò di sumer", mercante di asini, con la famiglia del figlio Angelo, la moglie Angiolina e la figlia Anna. Il Palazzo dei Contessi è il n°2.

I Mascanzoni continuarono a vivere nella stessa casa in Corso Garibaldi fino  al 1945, di fianco al Palazzo Contessi (Ernisté). Avevano tre appartamentini in affitto e il negozio da meccanico di biciclette di Savioli (Saviulé); la madre e Bardèla esercitavano l'attività ereditata dalla nonna Bice di pollivendoli. Andavano con un biroccio trainato da un cavallo a casa dei contadini a comperare polli e uova e li portavano al mercato di mercoledì a Lugo, e il sabato a Bagnacavallo. Il mercato del lunedì di Alfonsine era troppo piccolo per i grossisti come loro.

Maria Pirazzini nel 1967

Giovanni Tamburini (Bardèla) nel 1977

 

 

".... Il passatempo preferito era di trovarsi nel piazzale della chiesa di fronte alla bottega di Marlè, che vendeva piatti e li giocavano a spanella con le monete....."

 

Nel gennaio 1945 la casa fu abbattuta dai tedeschi come quasi tutte le case di questa storica strada. 

 Il piccolo Pino era un bimbo un po' discolo, viveva quasi sempre da solo, mentre al mattino spesso veniva portato presso la famiglia del sarto Antonio Lucci che abitava di fronte, mentre i genitori andavano al mercato. La moglie del sarto Lucci, Emma Rossini era imparentata con nonna Bice, in quanto la madre Maria Savioli era sorella della nonna Bice. 

Fu nei "balilla" fino alla quinta elementare, poi smise la scuola.
Il patrigno Bardèla era un noto antifascista schedato, ma l'iscrizione ai "balilla" era obbligatoria se si voleva frequentare la scuola (come disse loro il maestro Polgrossi). Appena finite le "elementari" non andò più a scuola e non fu iscritto ai "giovani avanguardisti".

I giochi dei bambini di Piazza Monti

I bambini e ragazzini di Alfonsine si trovavano nella piazza Monti e creavano vere e proprie bande: la sua era capeggiata da Nino Santoni, figlio di Giovanni Santoni; oltre a Pino c'era Penna, Renato d'Chiloni Lanconelli, i  due Marcilò, Marcello Gessi il giocatore di calcio e il cugino Penélo pure lui col nome di Marcello Gessi. 
Vi erano anche altri gruppi del corso Garibaldi Superiore con Pullo e il fratello, e  Ciulì. C'era la banda delle Borse e quella dei Sabbioni. Così nascevano le guerre tra bande come ne "I ragazzi della via Paal" tra quelli della piazza contro quelli delle Borse.

Una volta andarono nella peschiera di Tullio d'la Betta e abbatterono un pesco che aveva forma di forchetta e fecero una super fionda. Gli elastici li andò a prendere Pino dal meccanico di biciclette "Saviulé" che aveva bottega proprio a casa sua. 
Con una sella di bicicletta avevano fatto il porta pietre da lanciare.

Lanciarono così varie pietre dall'argine del Senio contro la zona Borse: una delle quali andò a colpire la porta di Enea Faccani (Pirlinbech), il padre di Serafino.

Il passatempo preferito era di trovarsi nel piazzale della chiesa di fronte alla bottega di Marlè, che vendeva piatti e li giocavano a spanella con le monete.

Aveva tredici anni quando vide l'esercito tedesco arrivare in Italia. Diretti al sud al fronte di Salerno dove gli alleati erano sbarcati una quantità enorme di carri armati e soldati che stanziarono per alcuni giorni lungo corso Garibaldi.

Alla caduta del fascismo aveva 15 anni. Quando i nuovi fascisti Camilli di Ravenna e Sciantén (Cativeria) fascista di Bagnacavallo si stabilirono nella Casa del Fascio per far aderire alla Repubblica Sociale di Salò nuovi iscritti ricorda che Bardèla (Giovanni Tamburini), suo patrigno, fu arrestato perché era segnalato come antifascista e insieme ad altri quattro fu portato a Ravenna. Fortuna volle che intervenisse il signor Tassinari che riuscì a far rilasciare gli arrestati, garantendo per loro che non avevano fatto alcuna azione concreta contro il fascismo.

Bardèla aveva sempre parlato male del fascismo al bar Fiocchi dove si trovava insieme a tanti altri giovani che dissentivano dal fascismo.

Nel 1943-44 quando il fronte si ritirava sempre più verso nord per l'avanzata degli Alleati, Alfonsine venne sottoposta a una pioggia di granate alleate. Molte famiglie erano sfollate. In paese erano rimaste 12 famiglie in tutto.
I rifugi erano stati costruiti prima dietro Casa Lucci, nei campi di Mario Monti, e poi nei vasconi per il vino di Ernesto Contessi sempre in Corso Garibaldi.

Una sera i tedeschi installarono un loro comando delle "SS" nella Villa Preda (già dei Maré, i Marini). Nel "curtilaz", il cortile dietro al bar Fiocchi dove si andava a prendere il gelato e a sedersi ai tavoli nelle serate d'estate, furono posizionati diversi carri armati. Il giorno dopo, verso sera, una squadriglia di Speedfire inglesi avviò un attacco con bombardamento alla villa del comando tedesco. Erano tre che arrivarono da nord-est. Pino li vide arrivare dalla finestra di casa sua in Corso Garibaldi. Arrivarono dal ponte sulla Reale e presero la direzione del corso quando furono sul palazzo Preda-Maré sganciarono le bombe. Fu un disastro. Trenta soldati tedeschi morti, alcuni coi corpi sbrindellati tutt'intorno, fino alla cancellata di fronte delle scuole elementari. Morirono anche diversi civili che abitavano nella casa. 
L'azione fu resa possibile perché due partigiani Mario e Fiammètt era posizionati nella casa di Pitadé con una ricetrasmittente e comunicarono agli alleati l'arrivo del comando SS e la posizione esatta della casa dove si era installato. (testimonianza di Tonino Pagani d'cai)

Dopo quell'azione i tedeschi avviarono un'azione repressiva contro la popolazione alfonsinese: rastrellamenti di tutti i maschi disponibili per svolgere lavori militari e deportazione in Germania e distruzione sistematica con bombe, poste alle fondamenta di tutte le case di Alfonsine a destra del Senio

In una delle prime retate Pino che allora aveva 16 anni fu preso il 14 gennaio del 1945 con altri 74 alfonsinesi, tra i quali Piretto Bassi, e Vittorio d'Fiammètt.

I lavori che furono obbligati a svolgere furono di stendere filo spinato lungo l'argine del Naviglio, dove si trovavano alcune postazioni di artiglieria tedesca. A poche centinaia di metri c'erano gli inglesi e i Canadesi e il Gruppo di Combattimento "Cremona" del rinato Esercito Italiano. I loro avamposti erano lungo il Fosso Vetro.

L'altro lavoro che fecero fu di portare le bombe di aereoplano, trasformate in mine, sotto le costruzioni di tutto Corso Garibaldi, che i tedeschi fecero minare alla fine del gennaio 1945. Queste bombe erano collocate in un capannone di Fumì (Argelli) che si trovava all'incrocio tra via Reale  e via Raspona. C'era il ghiaccio e così facevano scivolare le bombe sul ghiaccio per portarle fino a Corso Garibaldi. Ci vollero 15 giorni per finire l'abbattimento di tutto il Corso, poi finirono le bombe e si salvò tutta via Roma, e Corso Garibaldi Superiore (il lato Sud).

Una sera mentre erano tenuti attorno a un fuoco nel cortile di Polgrossi sotto il controllo di un tedesco, Vittorio d'Fiamèt disse che lui sarebbe scappato per andare coi partigiani. Per fare questo voleva rubare la pistola al soldato tedesco che stava addormentandosi. Pino cerco di dissuaderlo perché avrebbe sottoposto a rappresaglia tutti gli altri, ma lui non sentì verso e dopo aver rubato la pistola fuggì.

Quando i tedeschi se ne accorsero presero dieci di loro ed erano pronti per fucilarli. Intervenne il maestro Lorenzo Servidei (Luréz d'Caravita) che sapeva un po' di tedesco e riuscì a spiegare cos'era successo: insomma se la cavarono per un pelo.

Poi un giorno furono caricati tutti su un treno per essere spediti più a nord, dove il fronte si sarebbe spostato.

Ma a Voltana in tre o quattro saltarono giù dal treno, e riuscirono a tornare a casa. Ognuno andò in cerca della propria famiglia, non sapendo più dove si fossero rifugiati. Pino trovò i suoi ancora nei rifugi della zona Garibaldi.

Intanto era entrato a far parte dei gruppi che operavano con il CLN che avevano il compito di requisire generi alimentari. Era con Otello Barini, Marcilò (Marcello Gessi), il dottor Errani.

Ricorda che andarono a casa Faggioli dove c'era il fattore Forbicini che non voleva dare loro nulla. Lo presero con violenza e lo attaccarono con un gancio alla rete, e poi sequestrarono quello che c'era.

Il dopoguerra

Per evitare il servizio militare

Nel 1948 Pino Mascanzoni fu chiamato al servizio militare di leva. Lui valeva andare volontario in Marina, dato che anche Bardèla (Giovanni Tamburini), il padre putativo, era stato in Marina durante la 1° Guerra Mondiale. Ma la sua richiesta fu rifiutata e gli arrivo la cartolina di recarsi in Calabria in fanteria. Al che iniziò un'azione studiata per evitare il servizio militare. Pino non si presentò alla chiamata e quando i Vigili vennero a cercarlo fece finta di essere matto. Portava un berretto insaccato in testa e quardava fisso con gli occhi nel vuoto, senza parlare. I vigili tornarono poi dopo pochi giorni e lo portarono al Manicomio di Imola,  in osservazione. Lo accompagnava la fidanzata, futura moglie, e Bardèla. Fu svestito e messo in un camicione a letto in una camerata dove vi erano altre decine di giovani come lui. 
I parenti tornarono a casa con tutti i suoi vestiti. Gli si avvicinò un giovane che gli chiese 
"Ad class a sit?" ("Di che classe sei?") 
"A so de vinciott" ("Sono del ventotto")

Tutta la fila era del '28. Vi erano tra gli altri anche due alfonsinesi Valdo Gamberini (fu barista all'AGIP col padre e poi lavorò da "Marini" come saldatore) e Gabriele Grilli, che fa il contadino, ed imparentato con i GRilli sfasciacarrozze.

Dopo 90 giorni usci dal Manicomio col tesserino "pericoloso per sé e per gli altri"; così evitò il servizio militare

L'attività di meccanico il commercio dei fiori di camomilla (i fiur d'gatapuzla).

Nel dopoguerra Pino Mascanzoni avviò con Bardèla l'attività di meccanico di biciclette, e poi aprì un'officina per motori agricoli in via Raspona.

Bardèla iniziò il commercio dei fiori di camomilla (i fiur d'gatapuzla).

Le cose andarono, per entrambi, bene, tanto che si costruirono due case: una in corso Garibaldi sulle macerie di quella distrutta con la guerra e una in via Raspona dove Pino andò ad abitare con la sua sposa Bianca Martini sposata nel 1950.

Nel 1952 ebbero una figlia Daniela.

Ma alla fine degli anni '50 un crollo dei prezzi nei fiori di camomilla determinò il fallimento improvviso dell'attività: 
per pagare i debiti dovettero vendere entrambe le case e l'attività dell'officina.

Pino si trasferì a Roma nel 1962 con la famiglia dove lavorò come operaio avvolgitore di motori elettrici, su indicazione del cognato che già lavorava là. La fabbrica era Bonoli e produceva frigo industriali.

Poi il suo posto fu ceduto a una famigliare del padrone e Pino fu costretto al licenziamento. 

Intanto Bardèla aveva messo su una bottega per riparazioni di biciclette in via Borse (presso Cerini) e poi, alla morte di Salamé, si trasferì in corso Garibaldi. 

Nel 1960 nacque il secondogenito Francesco.

Vivevano tutti in affitto in corso Garibaldi, nel condominio di Timoti, poi di Fausto Minguzzi: Bardéla, la madre, la moglie Bianca, la figlia Daniela e il figlio Francesco. Pino andò a lavorare come operaio, nel 1970 all'Ansaldo di Genova, nel 1973 alla Breda di Milano: tornava a casa solo al venerdì.

Bardèla morì nel 1983 e la mamma Maria nel 1984.

Infine Pino nel 1985 acquistò la casa di piazza Monti dai sig. Beccari dove visse con la moglie, da pensionato fino alla morte nel 2016.
La moglie morì l'anno dopo, nel 2017. La casa è abitata ancora oggi (2023) dal figlio Francesco.

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