CHI
FU L’ASSASSINO DI ADRIANO ZOLI? E COME È FINITO?
LA
STORIA
Risuolava
scarpe ad Alfonsine, suo paese natale, il ventiseienne Natale Ancarani
d'Curéna, di Eugenio e di Giovanna Mingozzi (Minguzzi?). Lo
conoscevano tutti e perciò, quando nel 1944 fu chiamato alle armi nella
Guardia Nazionale Repubblicana (Gnr) della neonata Repubblica fascista di
Salò, l'Ancarani chiese di essere impiegato fuori di casa, magari in un
paese vicino. Fu accontentato in parte, con la collocazione nei presidi di
Ravenna e di Fusignano.
Il
5 maggio del 1944 lo zio di Natale, Leonardo Ancarani, noto
caporione fascista, fu ucciso in località Marina di Ravenna, e nella
sede del Fascio di Alfonsine venne allestita la camera ardente. Natale,
presente, dopo le condoglianze alla famiglia se n'era andato senza
partecipare alle esequie e senza profferire parola alcuna, men che meno di
vendetta, come dirà in seguito al processo.
Poche
ore dopo, un furgoncino con cinque uomini a bordo, tutti in borghese,
entrò nel cortile di una casa di contadini, nella frazione di Rossetta,
abitata dalla famiglia di Guido Zoli.
Erano
circa le 16.30. Mitra alla mano, i cinque, chiesto fuggevolmente del
capofamiglia, si diressero verso un capanno d'erba collocato a poca
distanza.
In
esso erano soliti nascondersi tre giovani, Armando
Ravaioli con Silvio e Adriano Zoli, due cugini. Non erano
combattenti partigiani, ma semplici renitenti alla leva. I tre giovani,
vistisi braccati, uscirono rapidamente dalla parte posteriore che dava
verso la campagna, fatti oggetto da colpi di mitra sparati da due
inseguitori, Antonio Pavirani e l'Ancarani stesso.
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(clicca
o tocca il titolo qui sotto per sapere la storia della fidanzata di
Adriano)
La
fidanzata di Adriano
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Due
si fermarono poco dopo con le braccia alzate, il terzo Adriano
proseguì nella fuga disperata fino a raggiungere un fosso. Salvo?
No, perché i due fascisti stavano proseguendo proprio nella sua
direzione. Fu inevitabile uscire dal provvisorio nascondiglio, in
segno di resa e diretto verso i compagni. Giunto a 40 metri, fu
freddato dall'Ancarani. Il padrone di casa e gli altri finirono
in carcere a Ravenna, da cui Guido Zoli uscì dopo qualche giorno
per tornare alla Rossetta mentre i due compagni del morto furono
deportati in Germania.
Nel
settembre 1944 l'Ancarani cambiò aria e compiti, lavorando nel
ferrarese a costruire fortificazioni sul Po sotto i tedeschi. Fece
bene perché di lì a poco l'asse Fusignano-Alfonsine vivrà una
delle fasi più cruente e tragiche dell'intera Campagna d'Italia.
Per mesi fuoco dal cielo e da terra, pericoli ovunque e per tutti.
L'inferno si concluse pochi giorni prima della Liberazione
dell'intera Padana, lasciando solo macerie, perfino nelle case
coloniche. Rasi al suolo i due centri. |
Adriano
Zoli |
finita
la guerra
Appena
finita la guerra, mentre si susseguivano gli ultimi funerali e le
commemorazioni dei caduti nella lotta antifascista, già si pensava alla
ricostruzione.
A
Fusignano, presente una folta delegazione di Alfonsine, il 5 maggio
1945 il ricordo andò ad Adriano Zoli (classe 1923) ucciso
esattamente un anno prima, nel pomeriggio, alla Rossetta, località
intermedia tra i due.
E,
quasi per caso, nella stessa giornata fu
catturato il nostro calzolaio, ritenuto responsabile
dell'omicidio. |
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Al
processo negherà tutto, tranne il servizio e i lavori sul Po.
Dichiarò di non essere stato neppure presente al fatto e di avere saputo
dal camerata Gino Ghirardelli che l'autore del misfatto era stato il
Porisini, Tunin d'Pezpan, un altro brigatista nero resosi tristemente
famoso per vari omicidi e condannato poi a trent'anni.
Quale
la verità? Se era certo il concorso dell'imputato, egli non
era condannabile però per l'eliminazione materiale del fuggiasco, non
provata sufficientemente. I giudici saranno di
parere contrario, confortati in questo da molteplici
testimonianze: i due sopravvissuti e una donna, Teresa
Leopardi, che aveva visto passare il furgoncino diretto ad
Alfonsine, con l'Ancarani a bordo. Antonio
Melandri, anche lui sul luogo del misfatto, cui erano stati
chiesti i documenti, ed infine Cesare Zoli, padre
della vittima, che disse di aver assistito all'intera tragica
sequenza. Nessuno sarebbe potuto cadere in equivoci, data la notorietà
del calzolaio, nipote di Leonardo, l'odiato caporione seppellito da poche
ore. Durissima la condanna ed
inaspettata, nonostante nella stesura esista un accenno allo spirito di
vendetta scaturita per l'uccisione dello zio. Morte,
con fucilazione alla schiena per chi aveva reso cadavere il
giovane Adriano, malgrado la resa. Nessuna attenuante.
COM'È
ANDATA A FINIRE?
Sbagliarono
i giurati dirà per questo la Cassazione, che il 3 dicembre dello
stesso anno annullerà la sentenza. Non per il merito, ma per
un cavillo, cioè la mancata motivazione del diniego delle
attenuanti generiche.
Rinvio
alla Corte di Assise straordinaria di Ferrara.
Poi da quel che si capisce il nuovo processo si concluse con una
condanna ad anni trenta di reclusione, ridotti a 24 da una nuova pronuncia
di Ravenna o di Bologna. Sta di fatto a gennaio del 1950 si
fecero i conti definitivi, riepilogando i benefici derivanti dalle
leggi del 1946 e del 1948. Così 24 anni meno un terzo, meno un altro
terzo, uguale a otto. Il che significa che il 5 maggio (ancora il 5
maggio, una data che si ripete) del 1953 il calzolaio di Alfonsine Natale
Ancarani ritornò libero.
Ma
di lui non si è più saputo nulla.
Il
padre Cesare Zoli non riuscì più a superare la tragedia, anche
perché nel 'ventennio mussoliniano' era stato di idee fasciste, e
un senso di colpa atroce lo portò al suicidio quattro o cinque
anni dopo la fine della guerra.
In
questa storia processuale stranamente non appaiono i testimoni
oculari della vicenda: i componenti della famiglia Betti che quel
giorno erano a lavorare nei campi e che si trovarono a poco più di
una decina di metri. Vi proponiamo la testimonianza, rilasciata
anni fa, di Gianfranco Betti di Rossetta, che all'epoca dei
fatti aveva cinque anni:
«A pochi metri da
me vidi scappare lungo il fosso che divideva il terreno della mia
famiglia da quello dei Zoli i tre ragazzi Armando, Silvio e Adriano.
Inseguiti dai fascisti repubblichini, i primi due si arresero
subito, mentre Adriano che era fuggito più lontano rimase colpito e
cadde. Io non vidi il primo colpo ma vidi di sicuro l'Ancarani in
persona quando da un metro gli sparò il colpo di grazia. Avevo
cinque anni e quella scena mi rimarrà impressa nella memoria per
sempre».
Mario Farina, all'epoca un quattordicenne di
Rossetta che, sentiti gli spari era corso a vedere, ha confermato che
lui vide il cadavere del povero Adriano con un foro di proiettile
nell'occhio.
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Adriano
Zoli con la fidanzata |
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