Mario
Cassani, sindaco della ricostruzione di Alfonsine
di
Luciano Lucci
Mario
Cassani era alto poco più di un metro e cinquanta, ma non ebbe paura ad
assumersi a soli trent’anni il compito enorme di governare la
ricostruzione di Alfonsine, che usciva quasi completamente distrutta dalla
guerra. Svolse il suo ruolo con fermezza e notevole capacità decisionale.
Solo dal 2002 avevo avuto modo di conoscerlo. Di lui sapevo che era
stato un personaggio importante per la storia di Alfonsine nel ‘900.
Così mi feci raccontare tutta la sua vita, e diventammo anche amici.
Con lui e Luigi Mariani andai a trovare Ottorino Gessi a Ripoli nell'appennino
bolognese. Non si erano più incontrati dall'immediato dopoguerra.
Tu
non sei di origini alfonsinesi, dove sei nato?
“Sono
nato nel 1916 a Porto Verrara, nel ferrarese, da una famiglia di boari.
Mio padre Giovanni era in guerra, fui concepito durante una licenza. Alla
disfatta di Caporetto fu fatto prigioniero e inviato in un campo di
prigionia in Austria. Finita la guerra tornò a casa per una breve licenza
e riuscì a vedermi per pochi giorni. Ma fu messo in prigione perché
tutta la sua compagnia fu accusata di essersi arresa volontariamente
durante la ritirata di Caporetto. Logorato dalla prigionia, frastornato da
quelle accuse di cui neanche era consapevole, morì in carcere a
Cittadella per una polmonite non curata. Comunque alla fine fu
riconosciuto come morto in guerra e mia madre riuscì a ritirare la
pensione, il suo nome fu messo anche nell’elenco dei caduti di guerra
nel monumento di Portomaggiore”.
Da
“balilla” ad antifascista
La
madre di Mario Cassani faceva la bracciante e lavorava anche in risaia. I
fratelli di lei facevano i boari. Dopo qualche tempo fu invitata dai
fratelli a raggiungerli ad Alfonsine, dove avevano trovato lavoro a
mezzadria nella tenuta di Tino Baracca, in via Carraie di Mezzo e in via
Passetto. Era l’ottobre del 1927. Mario aveva 11 anni e si inserì in
quinta elementare presso le scuole elementari comunali dello Stradone.
Dove
trovaste casa?
“Abitavamo
in affitto in via Borse, da Armando, di fronte al ‘Casone delle
Macchine’. Mia madre, dato che ero orfano di guerra, per avere i
vantaggi che il fascismo poteva darle mi allevava entro i canoni
perbenisti dell’epoca: quindi partecipavo alle attività di balilla e
godevo del pacco della Befana fascista”.
Il
mestiere di barbiere
Intanto
Mario aveva smesso di andare a scuola e faceva il garzone da barbiere
nella bottega del suo padrone di casa. “Lì cominciai a sentire i primi
discorsi contro i fascisti e i proprietari terrieri. Era gente che
lavorava e che si lamentava di come venivano trattati e mal pagati”.
Come
diventasti antifascista?
“Dopo
aver assistito a vari episodi di prepotenza, di violenza e umiliazione
commessi dai fascisti locali contro povera gente non favorevole al
fascismo, con il solo scopo di mantenerli in uno stato di paura, smisi di
frequentare le adunanze fasciste. Poi ebbi alcuni incontri casuali con
Battista Centolani, un repubblicano antifascista, che era tornato dalla
Francia, e l’amicizia con la famiglia Calderoni, di vecchia tradizione
socialista. Tutto ciò contribuì a creare una formazione critica contro
il fascismo”.
Di
comunisti non ne aveva ancora incontrati
Di comunisti Mario all’epoca non ne aveva ancora
incontrati. Nel 1936 prese in gestione una bottega di barbiere già
avviata, sotto i portici del Municipio. Poi a seguito della dolorosa e
prematura morte di Pino Pattuelli, padre del Profés, la vedova gli
chiese di acquistare il suo negozio, e così Mario iniziò a lavorare in
proprio, in via Borse. Da quel momento cominciò ad avere i primi
difficili rapporti coi fascisti locali, che lo tenevano sotto
osservazione.
Come
mai ce l’avevano con te?
“Intanto
non avevo più voluto la tessera del Partito fascista, poi decisi di non
frequentare al sabato pomeriggio le attività cosiddette ‘di sevizio
premilitare’. Non potevo andarci perché il negozio doveva funzionare
soprattutto di sabato. Mi rivolsi ai capi dei gerarchi fascisti, dicendo che
io non potevo andarci, ero barbiere, con famiglia, orfano di guerra... Nulla
da fare nel mio negozio arrivarono i carabinieri a prendermi e mi portarono
in caserma, perché avevo violato la legge, essendo obbligatorio alla mia età
il servizio premilitare. Il problema fu risolto solo con l’aiuto di
Marcello Polgrossi, l’istruttore del servizio premilitare, che era stato
anche il mio maestro di ginnastica in quinta e in sesta classe: ‘Non ti
preoccupare, io ti segno presente e tu fai il tuo lavoro da barbiere. Però
non dire niente a nessuno. Questa cosa la sappiamo solo io e te. Tu
risulterai presente come se avessi frequentato regolarmente il corso’ - mi
disse”.
Ancora
screzi coi fascisti locali
Una seconda occasione di screzi con un fascista locale, che era
guardia municipale, capitò quando Mario si rifiutò di esporre la
bandiera italiana nel suo negozio in occasione della presa di Madrid da
parte delle truppe franchiste.
Contattato
dai comunisti clandestini
Con questa reputazione Mario venne contattato
da Sandrino (Alessandro Montanari), che era uno dei capi del Partito
comunista clandestino di Alfonsine, che gli propose di far parte del
partito. Mario accettò. Conobbe qui Annibale Manzoli, col quale si alternò
poi come rappresentante dei comunisti nel Cnl locale. Gli venne dato
l’incarico di costruire una rete nella zona di Madonna Bosco, e Passetto,
anche per il mestiere che faceva e che favoriva spostamenti e contatti senza
destare sospetti.
Nel 1939 Mario ebbe l’opportunità di aprire un negozio
alla Madonna del Bosco dove si era liberata una stanza nella casa osteria
(oggi Osteria del Reno). Si trasferì con la compagna e la madre nel molino
in fondo a via Passetto, in affitto.
Dal
1943 con la caduta del fascismo e con la guerra dovette abbandonare
l’attività e dedicarsi totalmente alla lotta clandestina. Fu responsabile
dell’attività partigiana della zona del Passetto e Madonna Bosco, si
adoperò nella creazione e gestione di rifugi segreti, e nel far passare 400
partigiani che andarono a formare la Colonna Wladimiro oltre il fiume Reno,
nella zona della valli. Operò col Cln nella realizzazione e gestione del
pronto soccorso nei locali del Municipio di piazza Monti coi giovani medici
dott. Errani e dott. Minarelli, e poi nella Casa di Fumì
(Argelli) nel Borghetto.
Sindaco
dal 1946 al 1951
Dopo
la liberazione di Alfonsine, con le prime elezioni amministrative del 1946,
fu eletto un Consiglio comunale a stragrande maggioranza comunista, e una
coalizione tra Pci, Psi e Partito d’Azione nominò sindaco di Alfonsine
proprio Mario Cassani.
Qual
è l’opera di cui vai più fiero?
“Per
sfruttare la legge dello Stato che finanziava la ricostruzione, con
l’aiuto determinante del capo-ufficio tecnico Rino Montanari (d’Marlén),
feci dotare in tempi rapidissimi il comune di Alfonsine di un piano di
ricostruzione, incaricando lo studio degli architetti Parolini-Vaccaro. Ciò
rese possibile accedere rapidamente ai fondi statali per i ‘danni di
guerra’. Per questo Alfonsine fu tra le prime città ad avviare la propria
ricostruzione”.
La decisione di
spostare il centro del
paese dalla destra alla
sinistra del fiume
Senio fu una scelta
sostenuta dalla nuova giunta di Cassani, oltre che
indicata dal progetto
Vaccaro. Tale scelta
ebbe strascichi
polemici, ancora oggi
non sopiti.
Lo
scontro politico su questo
tema fu molto aspro. Si formarono due
schieramenti: uno
voleva il paese alla
sinistra del Senio e
l’altro mantenerlo alla destra. I
democristiani erano per
la destra, e tutti
gli altri per la sinistra,
compreso
l’arciprete Don Liverani.
Il tutto
fu risolto con un
referendum tra i delegati
delle giunte di
strada, una struttura
ereditata
dall’esperienza di guerra del Cln locale. Naturalmente
vinse a stragrande
maggioranza chi
volle spostare il paese alla
sinistra del fiume.
 |
Tra le opere
fortemente sostenute da Cassani abbiamo la
costruzione del cinema Aurora,
che fu realizzata
con investimenti notevoli
da Ottorino Gessi,
in piazza Gramsci,
l’attivazione
delle scuole elementari, medie
e di avviamento al
lavoro presso la Casa
del Popolo, il
palazzo d’Baiuché e le scuole
del Passetto, non
essendo ancora pronte le
scuole nuove in
corso Matteotti, che furono
inaugurate solo nel
1952. Determinante
l’opera di Cassani
e dell’Ufficio tecnico
del Comune per
avviare le pratiche
burocratiche e avere
i finanziamenti per la
realizzazione di
case popolari (la Casa dei
Reduci e le case in
Corso Repubblica e via Don Minzoni),
comprese le case U.N.R.A di
via Fratelli
Rosselli.
Nella
foto a sinistra del 1951
si vede riunione inaugurativa
dell’anno scolastico nella Casa del Popolo.
Si
riconoscono da sinistra don Liverani, la direttrice
scolastica, un ispettore scolastico con la
moglie e il sindaco Mario Cassani, poi il maestro Pescarini
(un
click sull'immagine per averne un ingrandimento)
|
Tesoriere
della Federazione di Ravenna del PCI per 30 anni
Nel 1951, esaurito
il suo mandato di
sindaco, Mario fu nominato assessore alle
Finanze della
Provincia di Ravenna, e la
sua attività si
spostò nel capoluogo.
Alla
fine del 1959 fu nominato vice presidente della Federazione delle
cooperative. In seguito
per la Lega delle cooperative seguì il settore
agricolo. Successivamente, e per trent’anni di seguito, lavorò nella
Federazione provinciale del Pci, dove ebbe il ruolo di tesoriere.
Il suo
legame con Alfonsine rimase intatto,
veniva ad Alfonsine ogni volta che qualcuno lo invitava, vuoi per un
ricorrenza, vuoi per un incontro coi bambini delle scuole, oppure per
realizzare un dvd sulla storia della Resistenza nelle nostre zone, o per una
festa in suo onore come quella nel 2006 al Centro
sociale “Il Girasole”,
per festeggiare i
suoi novant'anni anni.
è
deceduto nel gennaio del 2013 all'età di 96 anni.
|