La
Marchesa
di
Alfonsine
di Luciano Lucci
La Ca’ d’la Marchesa
A ridosso dell’argine del fiume
Senio, nel borgo detto dei “Sabbioni”, ad Alfonsine si poteva osservare
nell’immediato dopoguerra una grande casa, miracolosamente salvatasi dai
vari bombardamenti. Nell’enorme cortile vi era una collinetta, sotto la
quale una volta c'era stata la ghiacciaia, sopra un boschetto di Cedri del
Libano, e attorno un vasto parco. La “Villa Massaroli”
era, in quei giorni del primo dopoguerra, era abbandonata. La proprietaria la marchesa Giuditta
Passari Massaroli era sfollata a Viareggio, alla fine della guerra. Furono
le suore dell’“Istituto delle
Piccole Suore della Sacra Famiglia”, ad Alfonsine fin dal 1928 nel
"Lazzaretto",
ad
occupare la villa e ad attivare, per tutta la comunità, l’unico asilo
funzionante alla fine degli anni 40. Nell’edificio principale le suore
crearono la loro dimora e uno spazio anche per una scuola femminile di
lavoro per ricamatrici. A fianco c’era una costruzione che, un tempo, era
servita da scuderia per i cavalli, e che fu adibita a refettorio per i
bambini (1946), colonia estiva (luglio-agosto 1947), e asilo infantile
(1946-1960). Ogni domenica mattina poi diventava ambiente spazioso di
preghiera, e nel pomeriggio sala-cinema. Durante l’anno, teatro per il
saggio dei bimbi, per le recite della scuola di lavoro e, nella ricorrenza
del Carnevale, fucina dei carri mascherati per le sfilate. Quasi tutti i
bambini nati nell’immediato dopoguerra sono passati da lì.
Primi anni ’50
Scuola di Ricamo
Bambine
dalle suore nel cortile della Villa della Marchesa
Le
adulte sono:
Maria
Servidei (Tianéna) e Suor Rachilde Sarti.
Si riconoscono
da sinistra seconda fila:
Mirella Bini, Enza Sei, Florita Vandini, .... Dalmonte,
Augusta Mini, Anna Maria ..... (ultima
in piedi),
cugina di Maria Morelli.
Da
sinistra sedute in prima fila
Miranda Pelloni (?),
Sonia Rambelli, Martina Sei, Rita
Marini, Franca
Baioni e Maria Morelli.
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Quella casa era chiamata da tutti
"la Ca
’ d’
la Marchesa”, a ricordo del fatto che lì aveva vissuto, dagli anni ’20 fino a
tutto il periodo della guerra, una signora, con il marito e i due figli, che
si faceva chiamare “
La Marchesa
”.
Una marchesa ad Alfonsine mancava proprio al pantheon dei personaggi strani
che questo paese ha avuto l’onore di allevare.
La marchesa
Giuditta Passari Massaroli
da Recanati
Ma sarà veramente una nobile? si chiedevano, tra un po’ di
scetticismo e un po’ ironia, gli alfonsinesi negli anni prima della
guerra:
Oggi siamo riusciti a svelare il mistero: è bastata
una breve ricerca su internet ed ecco il risultato.
La famiglia Passari Venturi Gallerani era
originaria di un paesino a pochi chilometri da Fermo e a sud di Recanati,
nelle Marche: Montegiorgio. Il nonno di Giuditta era il Marchese Federico
Passari di Fermo. Aveva un’unica figlia, Luisa, che andò sposa al
Cavalier Augusto Andrea Venturi Gallerani di antichissima Famiglia Patrizia
di Siena: nel 1848 ebbero un figlio Andrea.
Il nonno Marchese Federico
Passari adottò Andrea, che poté anteporre così al proprio il cognome
materno e assunse quindi, con provvedimento di surroga, il titolo dell’avo
materno. Con tale titolo, la rimescolata Famiglia Passari, di fatto sangue
Venturi Gallerani, figurò iscritta nell’Elenco definitivo delle Famiglie
Nobili e Titolate delle Marche. (A Montegiorgio ancora oggi è intestata una
via ad Andrea Passeri).
Il Marchese
Andrea Passeri, padre di Giuditta
Andrea, di Augusto, sposò Donna Valeria dei
Principi Publicola Santacroce di Roma, avendone da essa quattro figli:
1)
Caterina andata sposa a Lionello Ganucci Cancellieri, famiglia originaria di
Pistoia, domiciliata in Roma, Firenze, Volterra e Montegiorgio;
2) Luisa andata sposa al
Barone Staffa (Napoli);
3)
Giuditta andata sposa a Giuseppe Massaroli (Alfonsine);
4) Giovanni nato il 1878
(+
1920 a
Roma).
La Famiglia Passari
Venturi Gallerani è iscritta nell’Elenco Ufficiale Italiano con i titoli
di Nobile Romano; Nobile di Foligno; Patrizia di Fermo; Patrizia di Siena;
Marchese di Fontebella e Castagneto nella persona di Giovanni; Nobile
dei Marchesi Passari per
Luisa in Staffa e Giuditta in
Massaroli.
I
quattro figli di Andrea, a loro volta, hanno aggiunto al proprio, il cognome
materno Santacroce.
Conclusione: la
“marchesa” era veramente una marchesa!
Ma
come mai capitò proprio ad Alfonsine?
Sappiamo che sposò Giuseppe Massaroli, una famiglia, i
Massaroli, presente in Alfonsine fino dal 1830. Proprietari di diversi
poderi lungo la via Stroppata,
la Guerrina
e
la Raspona
, vivevano nella Villa in Borgo Sabbioni: in gergo popolare, la villa era
detta “dl’ucarò”, per la presenza nel giardino di fronte alla villa
di una vasca con fontana a forma di una grande uccello, forse un’aquila.
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Forse questo
è Augusto Massaroli detto 'Pomino', il figlio maschio della
Marchesa, che fu seviziato dai soldati tedeschi e morì nel
gennaio 1945
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Non sappiamo come la marchesa Giuditta abbia incontrato suo marito. Certo lui non era un nobile. Fatto sta che la signora Giuditta si trovò a vivere
in questo paesino di campagna, e non se ne distaccò più neppure durante la
guerra. Ebbe due figli: una bambina Andreina (1901), poi un figlio Augusto
detto Pomino (1903), che si
rivelò essere un tipo un po’ strano, con un handicap mentale. La figlia,
appena poté, si sposò con un signore di Viareggio, Mario Puccinelli, e lasciò definitivamente
il paese.
Ad Alfonsine rimase la “marchesa”
col figlio e il marito. Quest’ultimo, reso infermo e paralizzato da un
ictus, fu ben accudito in casa, fino alla sua morte, che avvenne nel 1942.
Da
“marchesa” a “contadina”
La signora Marchesa Giuditta dovette trasformarsi da madre e
moglie a infermiera e contadina: si interessò a tempo pieno dei suoi poderi
che erano condotti in terziaria, con l’aiuto del fattore Tommaso Tarroni
detto “Masino”. Tarroni Masino era il nonno dell’Edda Forlivesi da
parte di madre e della Concetta da parte di padre, dalle quali ho tratto
tutte le notizie che sono qui di seguito riportate.
Ma
che tipo di donna era “la marchesa”?
Questa foto della Marchesa Giuditta la ritrae in
uno dei suoi momenti di vita sociale, quando una sorella Caterina, che
era dama di corte del Re d’Italia, la invitò a Roma, in occasione
del matrimonio di Umberto di Savoia (1930). Rimase a corte per un mese
e in quella occasione si fece fotografare con i vestiti da nobildonna.
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Di aspetto poco gradevole, non molto alta, era una
donna dura, dalla voce secca e aspra.
Conduceva una vita appartata, mai partecipe delle questioni paesane,
non faceva vita sociale. Andava da sola a messa, non frequentava alcun circolo o amicizia. Era ritenuta una persona strana
e strampalata. Il suo da fare era badare ai polli che allevava nel
proprio cortile, e ai suoi conigli, oltre ai cavalli che teneva nella
scuderia a fianco della villa, e che servivano per il calesse con cui
andava in campagna, guidato dal fattore “Masino”. Qualcuno
sussurrava che fosse diventato anche l’amante della marchesa.
Quando
il fattore, che era regolarmente sposato, ebbe una figlia, la marchesa
Giuditta gli chiese di chiamarla Carolina. In cambio gli regalò una
macchina da cucire e una certa quantità di scudi d’oro. Aveva
diverse persone a servizio: una signora era conosciuta col soprannome
“
la Recanati
”, forse perché se l’era portata appresso da Recanati. (questa
inserviente sposò l’alfonsinese di soprannome “Palot”). Un
altra era detta “
la Bugiota
”, madre di Bugiò, (Zannoni Giovanni), zio di Lia Zannoni. Un altra
inserviente era
la Costanza.
I suoi poderi erano condotti
dai contadini Tribulé, in via Guerrina, da Lisagnòt e Patariòt, in via
Raspona, e Capòzz (Capucci), inizio Stroppata.
Vestiva con trascuratezza
Avendo un corredo di vestiti da nobildonna, era sempre sporca e
impolverata, dato che con quei vestiti faceva lavori quotidiani, come
prendere le uova dal pollaio: ne usciva col cappellino coperto di ragnatele,
ma poi andava in giro tranquilla, senza preoccuparsi di apparire trasandata
o sporca. Indossava spesso anche un cappello tipo “borsalino”, ma lo
portava con l’ala rialzata davanti. Usava spesso il cavallo col calesse
per recarsi nei campi: e poiché la via Raspona all’epoca non era certo
asfaltata, al ritorno il vestito nero con cui era partita appariva
completamente bianco di polvere.
Era una persona testarda
Un giorno incaricò il suo fattore Masino di andare al mercato di Lugo
a vendere una coniglia. Masino devi prendere 18 Lire altrimenti non la
vendere e torna a casa. Masino partì con l’auto della Marchesa guidata
dal suo autista e con la coniglia. Al mercato l’offerta più alta arrivò
a 15 Lire. Masino tornò con la coniglia e informò la marchesa del prezzo.
Allora sabato andrai al mercato di Ravenna, e vendila solo a 18 lire
altrimenti torna a casa con la coniglia. Ma anche al mercato di Ravenna
l’offerta fu più bassa e raggiunse solo le 16 lire.
Tornato a casa
la Marchesa
il mercoledì successivo lo rimandò a Lugo. E lì l'offerta raggiunse le
17 lire, al che il buon Masino ci aggiunse una lira di tasca sua e tornò
dicendo alla Marchesa che finalmente aveva venduto la coniglia la prezzo di
18 lire.
Aveva un
automobile che usò solo per andare a Montecarlo, e che perse giocandosela
al casinò
La marchesa era proprietaria di
un’automobile, con autista privato. Ma aveva anche una seconda vita. Da
dott. Jekill si trasformava in mister Hide, quando da forte e consumata
giocatrice, si recava al casinò di san Remo e poi in quello di Montecarlo.
Destò scalpore in paese l’episodio di quando a Montecarlo si giocò tutto
il ricavato del raccolto di un anno, e in più anche l’automobile. La
direzione del Casinò le regalò i soldi per il biglietto del treno, e
dovette farla accompagnare da uno del personale fino alla stazione, per
permetterle di ritornare ad Alfonsine.
Durante la
guerra rimase in paese, ma il figlio fu tragicamente ucciso dai tedeschi
Durante tutto il periodo della guerra rimase ad Alfonsine: la sua casa
era abitata da soldati tedeschi. Alla fine di gennaio, come gran parte degli
alfonsinesi, fu costretta a sfollare. Fu ospitata nella casa del suo
fattore. Durante uno dei tanti rastrellamenti dei tedeschi, il figlio Pomino
fu catturato e obbligato a fare lavori per i tedeschi. Quando essi si
accorsero del suo handicap mentale, iniziarono a prendersi gioco di lui. Un
giorno lo obbligarono a bere tanto vino da ubriacarlo. Quell’atteggiamento
violento e razzista generò la tragedia. Gli misero in gola un imbuto dove
versavano il vino: lo fecero soffocare e il povero Pomino pare sia morto a
causa di quell’episodio. La marchesa, rimasta sola, abbandonò Alfonsine e
sfollò presso la figlia Andreina andata sposa a Mario Puccinelli, a
Viareggio. Negli anni ’50 la marchesa vendette tutti i suoi poderi ai
contadini che li avevano coltivati: Lisagnòt, e Capucci (Capozz) e Tribulé
che poi lo vendette a Guerrini. Investì i soldi ricavati da quelle vendite
in una fabbrica del genero che produceva pipe. Fallì miseramente.
La Marchesa, senza più un lira, morì nel 1959. Il destino ha voluto che tornasse
definitivamente ad Alfonsine, perché un posto già pagato era prenotato per
lei, nella chiesetta di famiglia del cimitero di Alfonsine, assieme al
marito e al figlio. a poi dal 1983 anche la figlia Andreina vedova
Puccinelli.
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Rimasero sbalorditi gli alfonsinesi,
quando nel 1959 trovarono sui muri del paese gli annunci della morte e la
sepoltura nel cimitero del paese della Marchesa Giuditta Passari Santacroce
Venturi Gallerani Massaroli: ma allora, con una sfilza di nomi così
doveva essere una vera marchesa?!
This is the end
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Il
condominio oggi, al posto del boschetto della villa della Marchesa
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Dov'era
la villa della Marchesa |
Venduta ad un privato, la casa della marchesa fu abbattuta alla fine
degli anni ’80, per costruirci un condominio.
LA TOMBA NEL 2014
SEMBRAVA ABBANDONATA,
E COMUNQUE DISASTRATA
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Interno della tomba
anno 2014 |
Interno della tomba
anno 2015 |
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Interno della tomba
anno 2017 |
Una lapide di
un'altra componente della famiglia Massaroli: la figlia Andreina Massaroli
ved.
Puccinelli nata nel 1907 e morta nel 1983 |
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La lapide della
tomba della Marchesa |
La
lapide dell'unico figlio Augusto Massaroli detto 'Pomino' |
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