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piadina La
piadina è la gioia della rotondità imperfetta di
Loris Pattuelli La piadina è, per quanto mi riguarda, la gioia della rotondità imperfetta, la prova provata dell’immutabilità del cosmo e dell’ordine che governa le cose di questo mondo. Vorrei poi anche far notare che le azdore con il mattarello (le vere Grandi Madri di questa meraviglia) hanno mani non meno sacre di quelle di Demetra con le spighe o della Madonna che prepara la colazione a Gesù Bambino. Soltanto la manualità garantisce la genuinità e tradizionalità di questo prodotto. C’è poco da fare, anzi, se devo dire la verità, la piadina industriale è tutto fuorché una piadina. Colpa della sua forma perfetta e standardizzata, mica di qualche pregiudizio. Nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, questo alimento continua allegramente a scansare ogni tipo di omologazione. Ci sarebbe poi anche da dire che, da brava romagnola, la piadina è sempre un po’ anticonformista e conservatrice, progressista e antidiluviana. La piadina mostra le due facce quasi uguali di questo mondo e, se vogliamo proprio dirla tutta, bisogna anche aggiungere che, prima di essere una cosa buona da mangiare, la piadina è una cosa buona da pensare, è un fatto mitologico, una di quelle maschere con cui gli dei ogni tanto si svelano a noi umani. Le due facce della piadina sono molto simili. Una buona cottura evidenzia un colorito abbastanza uniforme e una lunga serie variabile di piccole bruciature. Una volta messa sul tavolo, essa sta dappertutto. La piadina è una creatura discreta e non avanza mai troppe pretese, è, anzi, molto disponibile, a seconda delle occasioni, a trasformarsi in piatto o pietanza, in pezzetti o “cassone”. L’unica cosa che varia nella piadina è lo spessore. Le sue dimensioni sono, invece, sempre e solo quelle della teglia. E da qui, come tutti sanno, non c’è proprio modo di scappare, anche perché la piadina non può essere confusa con una focaccia, un biscotto o una pizza al taglio. Come il sole, la luna e tutte le altre stelle del firmamento, la piadina è un fatto poetico, una specie di mandala che va divorato caldo in non più di un minuto. A differenza del pane piccolo borghese che mangiamo tutti i giorni, la piadina è una inguaribile individualista, una cosa diversa da qualsiasi altra cosa di questo mondo. Proprio come i gatti, la piadina è un pochino anarchica o, per meglio dire, è come una di quelle cose sacre che si portano nell’isola deserta, come quei breviari che si aprono sempre a caso e che non smettono mai di stupirci e di farci sognare. Dovendo scegliere un logo per la Romagna, io proporrei senz’altro la vecchia e cara piadina. In lei molti si specchiano e a volte si ritrovano anche. L’autore di questo articoletto ha saccheggiato beatamente il bellissimo saggio intitolato LA PIADINA. OVVERO: DELLA ROTONDITA’ IMPERFETTA di Mario Turci, oggi raccolto in LA PIADINA E IL SANTO. PER UNA ETNOGRAFIA DI ROMAGNA IN FRAMMENTI, editrice La Mandragora, Imola, 1994. Il medesimo tema è stato ripreso nel volume BUONO COME .LA PIADINA DI ROMAGNA di Brenda Guberti, Electra Stramboulis e Mario Turci, Panozzo Editore, Rimini, 1998. E poi recentemente incluso anche nel volume LA PIADINA ROMAGNOLA TRADIZIONALE di Graziano Pozzetto, Panozzo Editore, Rimini, 2005. |