Mitologie
felici di
"Alfonsine mon amour"
Come
tutte le parti di una foglia sono tenute insieme da un perno centrale, così
tutta (cliccare o toccare sulle foto per averne un ingrandimento) 1950: Luciano e Linda 1956 Danilo Faccani, con la sua mitica Lambretta
Meo Baioni
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1961:
il gruppo di piazza Monti in gita alla foce del Lamone (da
sinistra Riccardo e Rino Montanari, prof. Talebbe, Elio Morelli con (cliccare o toccare sulle foto per averne un ingrandimento)
1960 Lambretta e Lambrettini: il gruppo di piazza Monti all'incrocio via Reale-Viale Stazione da sinistra Sergio Manzoni (Manzò), Riccardo Montanari (Boca), Elio Morelli (Morelò), Luciano Lucci (Mostar), Rino Montanari (Prist). A quell'epoca (primi anni '60) ci lanciavano in corse notturne lungo la SS 16, fino a Camerlona, con potentissime vespe GS e supergalattiche lambrette Innocenti, ben lontani dalla Citroën sport con cui Françoise Sagan correva sulla costa azzurra spingendo l’acceleratore a piedi nudi. Facevamo gli esistenzialisti, apprendisti-operai della Marini e i futuri studenti sessantottini. Tutto però era cominciato con quella musica, il rock and roll, che costrinse a muoversi come facevano i negri e che accompagnò il risveglio del corpo. ... e poi
vennero gli anni sessanta Easy Rider: un chopper e via Nel 1947 nacquero gli Hell’Angels (il primo nome era Boozefighters-Ubriaconi Combattenti): come tutte le altre gangs se le davano tra loro di santa ragione ad ogni weekend, dopo inevitabili sfide lungo in freeways (le superstrade dell’epoca). Dal ‘53 il cinema si avvicinò a queste pittoresche tribù. Nel
film cult "il Selvaggio" un Marlon Brando caracollante, occhi
sperduti, giubbotto di pelle e blue-jeans con
(chiedere
in giro... o clicca o tocca qui) Ma gli hippies erano già la nuova era, per fortuna Le motociclette furono personalizzate, la creatività era ovunque: anche i caschi venivano colorati a seconda della sensibilità dell’individuo. Il "chopper" era la moto che esprimeva questa nuova vitalità: l’individuo come essere unico, irripetibile.
Con Denis Hopper (che fu anche regista), Peter Fonda e Jack Nicolson nel film c’è l’innesto di un tema classico della narrativa americana. - il viaggio - nel quadro della cultura alternativa degli anni ‘60 (marijuana, musica pop, pacifismo, proposta hippy, crisi del mito americano, disagio giovanile). La moto chopper diventò così anche da noi, in Italia, il segno di un modo di pensare e forse anche di essere. Si viaggiava in due e non in gruppo, si dormiva in sacco a pelo e si viaggiava "a cercare l’avventura e qualsiasi cosa capiti sulla nostra strada"
Da
venticinque secoli la cultura occidentale cerca di guardare il mondo. Non ha
capito che il mondo non si guarda, si ode. Non si legge, si ascolta. La
nostra scienza ha sempre voluto controllare, contare, astrarre e castrare i
sensi, dimenticando che la vita è rumore e solo la morte è silenzio:
rumori del lavoro, rumori degli uomini e rumori delle bestie. Rumori
comprati, venduti e proibiti. Nulla di essenziale accade ove non sia
presente il rumore. Oggi lo sguardo ha fallito, lo sguardo che non vede più
il nostro avvenire, che ha edificato un presente fatto di astrazione, di
assurdità e di silenzio. Allora bisogna imparare a giudicare una società
in base ai suoi rumori, alla sua arte e alla sua festa, piuttosto che in
base alle statistiche. Ascoltando i rumori, si potrà capire meglio dove ci
trascina la follia degli uomini e delle cifre, e quali speranze sono ancora
possibili. Al rumore che facevano qualche tempo fa (2005) le bande di ragazzini scooterizzati, quando gareggiavano in piazza della Resistenza davanti al Gulliver ad Alfonsine, si è andato sostituendo uno sfrecciare di auto con stridore di gomme che non lascia per niente intravedere buone vibrazioni per il futuro, soprattutto per chi sorseggia birra, nel giardinetto di fronte al bar.
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