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Alfonsine


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GENERAZIONI RIBELLI ALFONSINESI

“I selvègg”
A wab bab a-lula-balam-bam-bum / Ciuri-frure-ou-ruri“

di Luciano Lucci 

 

L’America ci aveva occupati, liberati, invasi tutto in una volta, con la guerra e il dopoguerra e adesso si preparava a trasformarci in una sua immagine. 

Era il fascino della seduzione e i giovani di allora si lasciavamo piacevolmente sedurre. 

Nei pomeriggi domenicali il whiskey di Dean Krupa era sostituito dal Millefiori Cucchi e non c’erano “bulli e pupe” se non disegnati sui giubbotti di pelle nera. Ma un’estate, nei campeggi del Villaggio del Sole a Porto Corsini, arrivarono le ragazze francesi e qualcuno cominciò a mettere in pratica quello che aveva visto al cinema.

Quei giovani erano in qualche modo contro/fuori dal sistema, almeno da quello della DC che aveva stravinto fin dal ’48… ma erano dentro quello della coca-cola.

Ai ribelli alfonsinesi marziani del rock’n’roll e dei blue-jeans con cinquanta centimetri di orlo i soldi disperatamente mancavano e le auto spyder le vedevano solo nei film di James Dean. Il consumismo andava a singhiozzo, i dischi passavano di mano in mano come preziosi testimoni e le prime fonovaligie LESA venivano trasportate da una casa all’altra come i ciclostili nel ’68. Il lavoro era il nemico giurato di quella generazione ribelle nata fuori dal fascismo. 

Alcuni dei “Selvaggi” di Alfonsine:

da sinistra Athos Savioli (Bisù), Ruiba, Luciano Baroncini (Ciano d’Bagigia), Gianni Taroni (Gianni d’Guelfo), Roberto Rossi (Puntò), Silverio (e’ dutor), Giancarlo Ricci (Giucà)  

 

“Ciao Joe… tutto bene a Giorgio Washington? Ah-Ha-Ho-Ahh… ridotutto!”  

Accanto al mito del rock’n’roll era esplosa in Italia la galassia Buscaglione. 

“Non sapete chi sono... non sapete chi sono…: sono Fred dal whiskey facile…”

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I genitori impazzivano per quei figli che al mattino, regolarmente non sentivano la sveglia suonare e se ne stavano attaccati alle lenzuola col mozzicone di sigaretta in bocca, come faceva Humphrey Bogart al cinema.

Fred Buscaglione li aveva iniziati ai liquori pesanti ed era stato un tipo poco raccomandabile, che parlava sgrammaticato e portava i baffi: era il poeta che sapeva coniugare Hollywood con la borgata di campagna. Aveva più o meno lo stesso pubblico del rock and roll, anche se apparteneva a una generazione precedente e si serviva di schemi musicali diversi. Eppure era un personaggio eccezionale che serviva a spiegare un’Italia in cui i comunisti davano addosso al patto atlantico, dicevano “viva Mosca” e andavano a vedere i film di guerra di John Wayne e confessavano in segreto “… la Russia è così noiosa…” Quando nelle prime ora del 1960 il cantante morì in un incidente con la sua roll-royce rosa, i ragazzi entrarono in lutto. La mattina dopo non timbrarono il cartellino in fabbrica o a scuola, e masticando il loro bubble-gum rubato, ascoltando un suo disco con gli occhi lucidi sfilarono simbolicamente al suo funerale.

I RIBELLI DELLA BASSA si misero a fumare Camel e Lucky Strike, a bere cognac e a tentare qualche rischioso abbordaggio a ragazzine sole, che se ne andavano in bicicletta nei pomeriggi polverosi, lungo stradine assolate di campagna.

Intanto la radio,  la stampa e anche la TV innescarono una campagna contro tutti i giovani che portavano i blue-jeans: “sono tutti teppisti criminali

Cosí si legge su un «Luneri di smembar» di quell'epoca:

«I i ciama i teddy boi / che dcardend ad fé i'eroi / sono fonte di dolori / per i loro genitori. Ma sti burdel chi è cui 'amena (chi li veste, ndr) / i bestemia, i foma, i mena... /

Lo scontro da qui arrivò dritto dritto dentro le famiglie, tra figli e genitori.

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Un gruppo dei “Selvaggi” davanti al bar Edera. Da sinistra: Athos Savioli, Giucà, Gianni d’Guelfo, Angiolino e mazlèr, Ruiba, e’ Sciop, Zezar, Piero, Lino Ruiba.

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“Blue-jeans.. blue-jeans è un rock and roll / Ci volete proibire e volete punirci perché portiamo i jeans...

 Così anche ad Alfonsine nacque il mito dei teddy boys e un gruppo dei giovani ribelli senza causa si autonominò “I selvaggi”,  ispirandosi al film di Marlon Brando. Si muovevano dentro le nebbie della bassa Romagna da Mezzano, a Villanova fino a Comacchio, ma era il bar Edera di Marullo ad Alfonsine il loro quartier generale. Ogni tanto si sentiva parlare di qualche balera sfasciata, di risse furibonde, e fu così che anche i «selvaggi» di Alfonsine passarono alla leggenda: Ciano d’Bagigia, Giòm, Silverio, Giucà, Puntò, Bisù, e Panzò, Zezar, Rossi, Ruiba, e partigian, Cecco, Gianni d'Guelfo e così via. 

ALTRI PIÙ INTELLETTUALI  
si lanciavano in corse notturne lungo la SS 16, fino a Camerlona, con potentissime vespe GS o supergalattiche lambrette Innocenti,  e Demm '48 "al fil di ferro", ma ben lontani dalla Citroën sport con cui Françoise Sagan correva sulla costa azzurra spingendo l’acceleratore a piedi nudi.

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 Qualcuno frequentava pure le scuole superiori a Ravenna e ritrovava la sua quasi cultura nei testi delle canzoni dei cantautori francesi, o di Juliette Greco, cercando di mettere un muro contro il tentativo di integrazione che minaccioso avanzava. 

Nasceva l’esistenzialismo alfonsinese che marciava con occhiali neri, e fumava “Tre Stelle” e “Turmak” e i suoi epigoni avevano un mito: Parigi, Brigitte Bardotte e il film “Peccatori in blue jeans”, trasferendo nei pollai di famiglia la loro metropoli immaginaria. 

I cinema Aurora e Corso divennero luoghi di rito collettivo, dove una calda intimità univa tutti, e faceva viaggiare dentro sogni di luce: i selvaggi e gli esistenzialisti, i più giovani apprendisti-operai della Marini e i futuri studenti sessantottini. 

Tutto cominciò con quella musica, il rock and roll, che costrinse a muoversi come facevano i negri e che accompagnò il risveglio del corpo.

 

 

“Io sono ribelle: non mi piace questo mondo che non vuole fantasia…”

 

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