(quelli
dell’immediato dopoguerra, che non erano
veri ribelli,
ma solo tutti giovani strampalati)
di Luciano
Lucci
Correvano gli anni immediati del
dopoguerra. Quella che sarà la generazione ribelle del dopoguerra
stava emettendo appena i primi vagiti. Dopo l’invasione alleata,
mentre l’Italia assaporava il gusto della libertà e nell’aria si
sentiva la canzone di Glenn Miller “In the mood”, ad Alfonsine
piccole bande di ragazzini dai tre ai dieci anni correvano nei campi
devastati e tra le macerie delle case a caccia di bossoli, di fucili,
bombe e persino carri armati.
NARRA LA LEGGENDA
che
una di queste bande di infanti in lotta contro i loro coetanei di
Mezzano, come nella “Guerra dei Ragazzi della Via Paal”, si
impossessò di un carro armato abbandonato. I più grandicelli
riuscirono a caricare il cannone e a sparare un colpo contro la
ciminiera dello zuccherificio di Mezzano.
Erano i fratelli maggiori di
quella nuova generazione che di lì a dieci anni avrebbe cominciato a
farsi sentire, e che ora stava a guardare, assimilando dai più grandi
lo spirito ribelle.
Ma
non erano veri ribelli, solo tutti giovani strampalati
Ciulett e e' Barò
e' Barò, Ciuchì,
Vizéz d'Sbrig
La
seconda metà degli anni ’40 furono anni di euforia, di voglia di
vivere, dopo la grande astinenza. La radioebbe
il ruolo di grande protagonista, come già prima della guerra. Nel
mondo della canzone c’era stato il ritmo sincopato, il jazz all’italiana
di Natalino Otto e Rabagliati: ma soltanto nel dopoguerra un po’ per
l’importazione americana, un po’ per la naturae i bisogni della gente, lo stato d’animo delirante delle
notti italiane trovò la sua musica di massa: e fu il boogie woogie.
Ma nelle nebbie della Bassa
Romagna, dopo qualche cannonata verso la ciminiera di Mezzano (mai
colpita) e lo scoppiettare dei nastri di mitraglia e di qualche
bombetta ritrovata tra i cespugli, non vi fu segno di notti brave o
fantastiche. Di quei giovani di allora restano solo alcuni soprannomi
che riassumono una vita.
MI
RICORDO “ZAMPIGA”,
così detto perché era zoppo. Si narra che già grande e operaio all’Anic
di Ravenna, dato che la sua bici alla partenza mattutina presso la
stazione aveva subito una foratura, al ritorno a casa tirasse la leva
dell’allarme del treno. L’arresto a freni bloccati avvenne proprio
nel punto dove a pochi metri c’era la sua casa. Lui se ne scese
tranquillo e così rincasò a piedi, senza eccessivo sforzo.
UN
ALTRO ERA "ZOTT" che aveva perso una mano dopo
aver raccolto una bomba inesplosa e averci giocherellato. Lo ricordo
negli anni ‘50 sempre elegante che giocava
a biliardo al bar Fiocchi davanti al Cinema Corso, e poi al bar dei
fratelli Terio e Gigì in piazza Monti. Lui con la sigaretta tra le
labbra mentre sulla mano nera finta appoggiava la stecca per il colpo
decisivo. A me sembrava di essere nel film “Le Rififì”.
RICORDO
'E BARò' (IL BARONE), che era
il più raffinato ed elegante di tutti nella sua povertà assoluta,
...
e
poi Penna così detto perché era un fanatico di film western e
parteggiava sempre per gli indiani. Quando Gianfranco Marozz
osò chiedergli con tutto il suo candore “At
ciami acsé parché t’ve a poll?”come se quel soprannome fosse legato alla miseria e a ruberie
per fame, lo inseguì lungo tutto Corso Garibaldi minacciandolo con veemenza.
Non
erano veri ribelli, ma tutti giovani strampalati di un’armata brancaleone che in quegli anni non
riuscì a lasciare alcun segno se non in quei soprannomi
inconfondibili e meravigliosi: Zampiga, Zot, e Barò, Penna, Salvatò,
Piteada, Zek, Sbrig, Ciuchì, Sole, Tupò...
In
piedi da sinistra: Luigi Baldrati, Demetrio Faccani, Leo Folicaldi.
Accovacciati da sinistra: Marozzi (e Barò), Gianfranco Marozzi, Angelo Montanari,
Gino Vecchi
Seduti da sinistra: Walter Contessi (Fariné), "e Gag", Tommaso Tarroni
(Masino d'Pianté), Morigi "Biscì", (?)
INTANTO UNA NUOVA GENERAZIONE stava velocemente crescendo, nutrita
da un flusso sonoro di canzonette stupide, allegre, insensate.
Eppure
alcune come la canzone di Renato Rascel “E’ arrivata la bufera”
avevano qualcosa di surreale, e lasciavano segni deliranti
nell’inconscio di quei bambini in crescita: una specie di corazza
che permise loro di superare indenni il riesplodere della canzone
melodica pseudo italiana che di lì a poco riprese voga fino agli anni
‘50.
Poi qualcosa di nuovo
irruppe nella scena…
Dalle ceneri della
ricostruzione post-bellica, tra le baracche in legno arrivate col
Piano Marshall e le nuove case costruite con i contributi dei “danni
di guerra” si alzavano le antenne, nuove messaggere di un mondo di
benessere e libertà. Era l’America prossima e ventura del Rock and
Roll di Elvis Presley e Little Richard. In un’Italia non ancora in
piena espansione economica, i giovani ribelli la vivevano come mito
come sballo.
“Teën!... Teën!... Douf!... Douf!... Uan ciù par / a caunti geil…”
Così quando al Cinema Corso di Alfonsine fu proiettato
il film con Elvis Presley “Il delinquente del rock'n'roll” il gruppo dei “Selvaggi” erano là pronti a sobbalzare sulle seggiole e tutti a
scatenarsi guidati da Ciano d’Bagigia in un rock’n’roll
collettivo al ritmo di “Jailhouse rock”