I
giovani ribelli alfonsinesi ormai adolescenti nei primi anni '60
furono presi più dalle pulsioni biologiche-esistenziali che da quelle
politiche.
Qualcuno
faceva pure il liceo classico e ritrovava la sua quasi cultura nei
testi delle canzoni dei cantautori francesi, o di Juliette Greco,
cercando di mettere un muro contro il tentativo di integrazione che
minaccioso avanzava.
Nacque
cosí l'esistenzialismo romagnolo che marciava con maglioni e occhiali
neri, fumava «tre stelle» «camel» e «lucky strike» e aveva un
mito Paris.
«A
Paris...tat tat ta za za za...»
(canta Ives Montand)
(Al
"Lanternino" e al Bar Bologna di Casalborsetti con
"L'urlo Negro" dei Blackmen di Ravenna")
Nel
periodo scolastico invernale erano succubi delle ‘cotte’ per le
ragazzine del paese, con festini pomeridiani a casa dell'uno o
dell'altra, o alla domenica pomeriggio nel buio della galleria del
cinema Corso.
D'estate
andavano a Casal Borsetti e stavano tutto il giorno sul molo del
canale... Si tuffavano al passaggio delle barche ed alla sera andavano
al dancing Lanterna di Marina Romea... o al bar Bologna, o al più
modesto "Lanternino", a caccia di teutoniche (tedesche), ma
non solo...
I
primi anni ’60 preannunciavano qualcosa di straordinario. In Italia
c’era il boom economico che aveva portato la ‘500 Fiat, la TV e il
frigo in ogni casa.
Poi ci fu Papa Giovanni XXIII e il Concilio Vaticano
II,
pieno di spirito innovatore e con l'idea di rilevare ciò che c'è di buono
nella cultura contemporanea. Infine, in piena epoca di guerra fredda,
col contorno di alcuni eventi rilevanti come lo sbarco nella Baia dei
Porci e la crisi dei missili di Cuba, la paura di una guerra
termonucleare, la costruzione del Muro di Berlino, ci fu l’epoca di
J.F.Kennedy e del fratello Bob, carica di speranze che terminarono con
l’assassinio di entrambi, e poi la conquista dello spazio, la guerra
del Vietnam e l'affermarsi del movimento per
i diritti
civili degli afroamericani.
I giovani alfonsinesi, come tutti i loro coetanei del mondo, avevano una
gamma innumerevole di scelte da
poter fare.
Alcuni di loro, che nel 1964 avevano 18 anni, dalle letture del
settimanale “Epoca” scoprirono il mondo dei ‘Beats’ americani e dei
‘Blouson noir’ francesi, e andarono a Parigi in autostop per vedere che roba
era.
Altri più giovani due anni dopo si trovarono immersi nel fango con i boy
scout a Firenze durante l’alluvione e lì impararono, scavando e
sfangando, chi era Don Milani.
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Don
Vitt
DA
DON MILANI A...
...
DON VITT
Poi in quegli anni un pretino vivace e simpatico dal nome così rapido, Don Vitt,
che era parroco della Chiesa Sacro Cuore di Alfonsine, cominciò a
coinvolgere un gruppo di giovani ragazzi e ragazze di piazza
Monti, che si proposero come comunità per tutti i fedeli. Condivisero
con lui un'esperienza di intensità unica, carica di energia, di
momenti di grazia e di fede.
L'idea nuova era
che Gesù è in ogni persona, compresi sé stessi: un Gesù quindi
veramente umano, quindi vicino, "fratello" per dirla con una
parola fin troppo usata. Ciò rendeva possibile a ogni persona cercare
la "divinità" dentro di sé e nei rapporti interpersonali.
Sentirsi come dèi e ci comportarsi come tali.
Andarono a
Loppiano in Toscana a incontrare una comunità di ragazzi e ragazze di
tutto il mondo che vivevano lì un'esperienza comunitaria
secondo lo spirito vero del Vangelo, offrendo un cristianesimo della
gioia, della semplicità. Erano giovani che vivevano a contatto con la
natura, in piena libertà e pieni del mito di Gesù. Una vera comune,
come quelle di cui si era sentito narrare in America, nel movimento
hippy. Là, quel giorno incontrarono Francesco Guccini, anche lui in
visita a quella comunità cristiana. Fu invitato a cantare "Dio
è morto", con la partecipazione corale di tutti. E pensare che
in TV era un brano ancora censurato.
Per quel gruppo di
giovani fu come un'illuminazione.
Don Vitt stava loro insegnando a
vivere la fede nella vita quotidiana, nella storia del loro tempo.
Da
lì a pochi anni alcuni si tuffarono nel 1968, di nuovo con tutta la
passione di cui erano capaci: i problemi sociali, le lotte operaie, il
Vietnam, il movimento studentesco.
Federèc,
e Mostar, Pasò, Sanchèz, Prist
Guido
Pasi con bandiera
Altri giovani
alfonsinesi il ‘68 lo trascorsero solo come lotta nelle scuole o
nell’università. Dopo la scuola invece cominciava la ricerca
incessante di luoghi di discussione. Questi però si facevano assai
rari quando si tornava al paesello.
Ma Alfonsine non era un
paese fatto per i nuovi giovani ribelli del ‘68.
L’irrequietezza e
lo spirito di ribellione che serpeggiava era vista con sospetto. Il
grande partito comunista, che guardava tutto e a cui tutto riguardava,
amava i regolari.
Fu
così che, per uno strano scherzo del destino, quando cominciarono ad
aver fame di dibattiti, frequentarono più le parrocchie che le
sezioni.
Dall'alto:
Guido Pasi, Patrizia Cicognani, Luciano Lucci. Seconda fila: Massimo Orselli, ?, Riposino e ?,
Laura Tramonti, Wilma Lama. Prima fila: Eros Rambelli e Tiziana Bandoli, Rino Montanari e Claudia
Martoni.
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Capitò che fosse proprio nella saletta di Piazza Monti
gestita da Don Vittorietti, dove si incontrarono culture diverse: la
cattolica e la marxista.
I
CATTO-COMUNISTI AD ALFONSINE
Quando gli
studenti marxisti cominciarono a frequentare le riunioni in parrocchia
introducendo anche il tema del rifiuto del consumismo, della guerra in
Vietnam e del capitalismo, quelli cattolici erano già pronti e fu
come sfondare una porta aperta.
Mostar,
Archi, Pasò, Wilma
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Iniziarono con il volantinaggio
davanti al 'Milleluci' per manifestare la loro indignazione per
l'invasione della Cecoslovacchia, per i 300 studenti assassinati dalla
polizia a Città Messico, e per la guerra in Vietnam.
Non furono
contenti i compagni comunisti alfonsinesi di quella uscita. Chi erano
questi, al di fuori del partito, da permettersi di compiere una simile
azione, proprio davanti alla loro sala da ballo?
Fu quello il
primo segnale di uno scontro che avrebbe marcato per decenni i
rapporti tra questi nuovi giovani ribelli e i ‘comunisti’ del PCI
locale.
STUDENTI
E OPERAI AL ‘GALLO’
Si trovavano all'osteria del 'Gallo', in piazza Monti, dove con
gli amici dell'infanzia, quasi tutti operai della 'Marini', entrarono
presto in sintonia 'politica' nonostante fossero 'studenti'.
1968:
sul monumento della Pigna davanti al Gallo
Tra un
bicchiere di vino e un piatto di tagliatelle servite anche a
mezzanotte dall'oste 'Gigiò', assaporavamo pure il gusto di sentirsi
tutti rivoluzionari. Quello fu anche il periodo di grandi viaggi, alla
ricerca di spiagge libere e di piccoli grandi amori (da Casalborsetti
al Lago Balaton, da Parigi a Londra e a Manchester, da Budapest a Praga, a
Bucarest, a Mamaia).
Fu il periodo di gelato e nutella
usati come un pasto bohémien, della vita universitaria bolognese
in abitazioni zingare, di libri, di cinema, di feste e concerti, di
occupazioni di università e di piccoli scontri con la polizia, di
grandi amori e di grandi abbandoni.
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I
FUTURI HIPPIES ALFONSINESI
e
Mostar con la Guzzi Airone
rielaborata a chopper
Altri giovani ancora adolescenti mangiavano pop-corn e cantavano le
canzoni di Fabrizio De André, ma poi imparavano a suonare anche gli smash
hits di Jimi Hendrix e la pastorale di Beethoven. Le notizie del
maggio parigino le leggevano su ‘l’Unità’ e si sentivano degli
adolescenti non molto diversi dal Rimbaud che stravedeva e pativa per
la commune e per le mani di Jeanne Marie. Per
loro a far crollare il sistema sarebbero stati i Beatles, mica il
proletariato e la società dei consumi.
Elio
Altini
Mauro
Baldrati
Loris
Pattuelli e Mauro Baldrati
L’IMPOSSIBILITÀ
DI ESSERE NORMALI
Durante i primi mesi del 1969
capitò che proprio due giovani studenti universitari alfonsinesi si ritrovarono in una
facoltà occupata a Bologna, quando fu annunciato che sarebbe intervenuta la polizia.
La scelta fu che si doveva far consumare la repressione, e quindi restare e
farsi arrestare! I poliziotti per lo sgombero arrivarono all'alba, pile in
faccia e trasporto in questura su un cellulare che attraversò Bologna al
risveglio, a sirene spiegate. La notizia arrivò al paese natale con
articoli sul Carlino e l'Unità:
'Arrestati due giovani
alfonsinesi'. Prist
(Rino Montanari) e e' Mostar (Luciano Lucci e non 'Lucchi') si ritrovarono a fare
gli eroi in una facoltà occupata. Dentro,
per la notte, erano rimasti in sei, pur sapendo che il giorno dopo
sarebbero arrivati i poliziotti per lo sgombero. Dissero a loro stessi che si doveva far consumare la
repressione, e quindi restare e farsi arrestare! Arrivarono all'alba, pile in
faccia e trasporto in questura su un cellulare che attraversò Bologna al
risveglio, a sirene spiegate. Sembrava di essere in un film.
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La notizia
arrivò al paese natale con articoli sul Carlino e l'Unità: 'Arrestati due
giovani alfonsinesi'.Si sentivano
come due eroi... Era finito il 1968! Dopo fu tutta un'altra storia.
Potevano mai sperare tutti i giovani ribelli alfonsinesi, cattolici del
dissenso, marxisti antisovietici, operai antisistema e nuovi aspiranti
hippy, di trovare eroi senza macchia e senza paura più caserecci di quei
due ‘tabècc’?
Insomma furono quelli gli anni in cui anche tanti giovani alfonsinesi
ebbero l’opportunità di vivere come in un frullatore, con cui si stava
provando a mescolare insieme psichedelia e rock, Nietzsche e Marx, Zen e
sesso, Cristo e Che Guevara, il comunismo e l'altra America, Bob Dylan e
Luigi Tenco, l'ecologia e la mitologia. Vissero di slanci, di energia e di
nutella e non riuscirono più a essere normalizzati.