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Le polemiche su Vincenzo Monti
Furono
drammatici anni storici, quelli in cui vissero prima il maturo Monti, poi il
giovane Foscolo. E in nome della libertà glorificò tutti i governi. - Quando era moda innocente declamare contro il tiranno, gettò sul teatro l'"Aristodemo", che fece furore sotto gli occhi del papa. - Quando la rivoluzione francese s'insanguinò, in nome della libertà combattè la licenza, e scrisse la "Basvilliana". Ma il canto gli fu troncato nella gola dalle vittorie di Napoleone, .... - e allora in nome della libertà cantò Napoleone, ... -
e in nome anche della libertà cantò poi il governo austriaco. Erano
le idee del tempo e si torcevano a tutti gli avvenimenti. I suoi versi suonano
sempre "libertà", "giustizia", "patria",
"virtù", "Italia". E non è tutto ipocrisia. Dotato
di una ricca immaginazione, ivi le idee pigliano calore e forma, sì che
facciano illusione a lui stesso e simulino realtà. Non aveva l'indipendenza
sociale di Alfieri, e non la virile moralità di Parini: era un buon uomo
che avrebbe voluto conciliare insieme idee vecchie e nuove, tutte le opinioni, e
dovendo pur scegliere, si teneva stretto alla maggioranza, e non gli piaceva
fare il martire. C'è quel falso eroico, tutto di frase e d'immagine, qualità tradizionale della letteratura, e caro ad un popolo fiacco e immaginoso, che aveva grandi le idee e piccolo il carattere. Monti era la sua personificazione, e nessuno fu più applaudito. La
natura gli aveva largito le più alte qualità dell'artista, forza, grazia,
affetto, armonia, facilità e brio di produzione. Aggiungi la più consumata
abilità tecnica, un'assoluta padronanza della lingua e dell'elocuzione poetica.
Ma erano forze vuote, macchine potenti prive d'impulso. Mancava la serietà di
un contenuto profondamente meditato e sentito, mancava il carattere, che è
l'impulso morale. Pure i suoi lavori, massime su l' "Iliade", saranno
sempre utili a studiarvi i misteri dell'arte e le finezze dell'elocuzione. E la
conclusione dello studio sarà, che non basta l'artista quando manchi il poeta. Ugo Foscolo contro Vincenzo Monti: il giovane emergente censura la Bassvilliana del Monti Francesco De Sanctis, in quel massimo monumento che è la sua Storia delle Letteratura Italiana contrappone il "novatore" Ugo Foscolo al "conservatore" Vincenzo Monti. Infatti nella letteratura italiana del periodo cosiddetto "napoleonico", due figure campeggiano: uno è Ugo Foscolo, l'altro è Vincenzo Monti che pur avendo nel 1798 (epoca della Cisalpina) 46 anni e una grande fama di poeta, si trovò davanti un giovane che aveva 20 anni, che gli censurò con furore la sua "Bassvilliana"; il giovane ventenne era proprio Ugo Foscolo. La Bassvilliana: una
Cantica del 1793, dove Monti celebra il martirio del Re di Francia Luigi XVI e
la sua famiglia, Monti
la sua "Cantica" l'aveva scritta nel '93, ed era un catalogo delle
"pene sinistre dell'inferno" riservate ad UGO BASSVILLE
(segretario della legazione del governo rivoluzionario francese, inviato a Roma
per sostenere la causa repubblicana, morto accoltellato a Roma dai reazionari),
pene riservate alle "accigliate anime ree", ai "regicidi"
che con il loro esempio incoraggiarono il misfatto, a Voltaire ("l'empio
maligno/filosofante"), a Diderot ("il furibondo e torbo/Diderotto")
e alla "plebe". Il giovane Foscolo scrive l'apologia di Ugo di Bassville Così
scrive il De Sanctis: "Un
giovane scrisse la sua apologia. L'atto ardito piacque. E il giovane entrava
nella vita tra la stima e la benevolenza pubblica. Parlo di Ugo Foscolo,
formatosi alla scuola di Plutarco, di Dante e di Alfieri. Quando Foscolo difese il Monti nel 1798 apprezzandone uno scritto Monti scrisse vari componimenti minori, il più impegnativo dei quali fu la lettera a nome di Francesco Piranesi al generale Giovanni Acton, composta nel 1794 per difendere Piranesi, rappresentante della Svezia a Roma ed accusato di aver congiurato contro il reazionario barone d’Armfelt, ex ministro svedese. L’opera, il cui autore doveva restare segreto, e scritta per calcolo politico, è connotata dalla forza polemica della prosa che denuncia le ingiustizie e le sopraffazioni di un governo dispotico ed esalta la sovranità popolare (Foscolo l’apprezzò e, nel 1798, ne rivelò l’autore). Foscolo e la moglie di Monti Ugo Foscolo ottenne l’incarico (1800) di redigere le relazioni dell’Assemblea legislativa sul Monitore Italiano, soppresso dopo pochi mesi (vi conobbe Parini e Monti). S’invaghì senza fortuna di Teresa Pikler, moglie di Vincenzo Monti, e fu spinto persino ad un tentativo di suicidio. Partì per Bologna, forse anche per sfuggire a quel ricordo, dove trovò impiego in tribunale, collaborò al Monitore Bolognese e al Genio Democratico, pubblicò un’opera di ampio respiro: Ultime lettere di Jacopo Ortis. ll vecchio Foscolo, rotto ogni rapporto col Monti, lo apostrofò duramente Lo scontro con il Monti avvenne per un malinteso, essendo stata erroneamente attribuita al Foscolo la stroncatura di un poemetto didascalico di un poeta amico del Monti. Da lì iniziarono battute a colpi di poemetti, satire, epigrammi Quando
il Foscolo fu attaccato con satire ed epigrammi da maligni avversari e dal Monti,
con lui ruppe ogni rapporto, rispose alle accuse e, consapevole della sua
indole dignitosa fino all'estremo, rivolse allo stesso Monti queste memorabili e
schiette parole: Botta e risposta tra Monti e Foscolo Ugo Foscolo contro Vincenzo Monti (ma non si ha piena certezza che sia stato proprio scritto dal Foscolo) Questi
è Monti poeta e cavaliero, Il Foscolo scrisse l’epigramma contro Vincenzo Monti che nel 1810 pubblicò la traduzione dell’Iliade, condotta in gran parte di seconda mano, utilizzando versioni latine ed italiane. Il Monti si rifece, mettendo in ridicolo la tragedia Aiace del Foscolo, rappresentata con scarso successo a Milano l’anno dopo. Vincenzo Monti contro Ugo Foscolo Per
porre in scena il furibondo Aiace Il
Monti ancora Il Foscolo ancora (ma non si ha piena certezza che sia stato proprio scritto dal Foscolo) Dio
Monti il Bardo andrà col Tasso al pari.
Fin dall'inizio del '900 il Monti fu giudicato molto severamente Scrive il Cesareo, forse un po' esagerando "La sua arte è una continua menzogna. Per parer sincero dà in iperboli sgangherate; per parer magnifico cerca amplificazioni ventose; per parer ispirato sfoggia figurazioni eccessive; per parer armonioso riesce uniformemente sonoro. Fu un tenace assimilatore, ma dei grandi poeti, che egli imitò, non ritenne se non le abitudini esterne: della Bibbia l'accento profetico, di Dante il cipiglio vendicativo e la terza rima, del Klopstock la decorazione soprannaturale, dell'Ossian la falsa sublimità. Come tutti gli immaginifici, vale a dire i falsi poeti, ogni sua cura egli rivolse alla tecnica, e se ne rese veramente signore. Seppe la varia ricchezza della lingua italiana, trattò tutti metri con agile maestria, fu elegante e spesso potente coloritore d' immagini sparse, ebbe 1a frase pronta e fedele. Appunto per ciò riuscì molto meglio in qualche sonetto, come quello per il ritratto della figliuola, il cui pensiero si compie tutto dentro un'immagine sola; nel poema didascalico della "Feroniade" ove per la natura stessa dell'argomento ciascuna immagine sta da sé e nelle traduzioni, in quella dell' "Iliade" e nell'altra più bella, quantunque meno famosa, della "Pulcella d'Orléans", in cui non si tratta che di lucidare, con perspicacia evidenza, l'espressione dell'originale…" |