|
Vincenzo
Monti
(Questo
sito è ideato e gestito interamente da Luciano Lucci)
|
Le
opere
(cliccare
o toccare sui titoli per leggere le opere)
|
|
La
vita
|
Il
periodo dell'infanzia
ad Alfonsine
Il
trasferimento a Maiano nei pressi di Fusignano
In
collegio dai seminaristi a Faenza
e a 20 anni all'Università di Medicina di Ferrara
1778
se ne va a Roma dopo aver abbandonato gli studi all'Università
1781
un primo successo nella scalata sociale
1797
adesione al fermento rivoluzionario: abbandona
Roma e diventa anticattolico e bonapartista
Al
ritorno degli austriaci è esule a Parigi, dove traduce l'Iliade di
Omero (1801)
Con
la caduta di Napoleone tornano gli Austriaci:
è la Restaurazione. Il
Monti convive col nuovo regime
Le
polemiche su Vincenzo Monti Francesco
De Sanctis: "Il Monti
era un buon uomo che
avrebbe voluto conciliare insieme idee vecchie e nuove, tutte le
opinioni, e dovendo pur scegliere, si teneva stretto alla maggioranza,
e non gli piaceva fare il martire"
Cesareo: "La
sua arte è una continua menzogna"
Ugo
Foscolo: "Discenderemo
entrambi nel sepolcro, voi più lodato certamente, io forse più
compianto"
Botta
e risposta tra Monti e Foscolo
Ugo
Foscolo e Teresa Pikler (moglie di Monti)
|
Ritratto
di Vincenzo Monti, 1809
di Andrea Appiani
"Chi
è questi? - Monti. - Chi lo pinse? - Appiani.
Vedi quanta il pennel vita dispensa! -
Il veggo. Or dì: perché non parla? - El pensa."
VINCENZO
MONTI
altre
immagini di Vincenzo Monti (clicca qui)
|
Documenti
L'atto
di battesimo
La
casa com'era e com'é oggi
L'Iliade
(testo digitalizzato completo)
Un
articolo di Carlo Piancastelli
"Vincenzo
Monti e Fusignano", Bologna, Stabilimenti Poligrafici Riuniti,
1928
|
PER
CHI NON AVESSE TEMPO DI LEGGERE TUTTO SULLA VITA DI VINCENZO MONTI
RIASSUNTO
"DELL’ASPETTO
UMANO DI VINCENZO MONTI, E DI RIFLESSO ANCHE DI QUELLO 'POLITICO'."
Da
campagnolo romagnolo nato ad Alfonsine nel 1754, riesce a infilarsi negli
ambienti papalini romani, dove sa guadagnarsi i favori della Curia e,
cantando, procacciarsi, in vent'anni di vita romana, fama di grande poeta.
Poco
abile sia a fare affari sia nelle relazioni famigliari e sociali, delega
la moglie Teresa Pikler a occuparsene (per fortuna sua).
All’improvviso
si trova immerso in anni di cambiamenti epocali, e prova a fare da
traghettatore, almeno in campo letterario. Subisce anche l’influenza
delle nuove tendenze politico culturali, ma si limita a interpretare gli
avvenimenti politici come occasioni propizie per l'espansione della sua
musa ispiratrice, cioè la bella letteratura. Dopo alcuni ‘sbacchettamenti’,
ingenuità, confusioni, messo alle strette, dovendo scegliere, sceglie
secondo il suo cuore, secondo le propensioni della sua mente e le
esortazioni che gli venivano da amici ferraresi e romani, e probabilmente
anche dalla moglie.
Abbandona
Roma e le sue comodità per avventurarsi nella Repubblica Cisalpina appena
costruita da Napoleone Bonaparte. Qui, pur tra iniziali difficoltà e
controversie, diffamazioni e opposizioni, riesce ad affermare un suo
ruolo, oltre che ad avere incarichi che gli permettono di vivere bene.
Dopo
una prima invasione degli austriaci è esule a Parigi, da dove ritorna
dopo la vittoria delle truppe napoleoniche con la battaglia di Marengo.
Lascia
gestire malamente il rapporto con la figlia Costanza alla moglie Teresa,
ma è direttamente coinvolto e si interessa alle possibili relazioni
matrimoniali, puntando comunque, nell’ottica di quei tempi, al bene
della figlia (che non sempre apprezza, in dissidio spesso anche con la
madre).
Alla
caduta di Napoleone ritornano gli austriaci a Milano. E qui il Monti,
dovendo pur campare, tenta di mantenere incarichi e ruoli che aveva
conquistato prima in nome della sua fama artistica, compone alcuni testi
per opere teatrali da rappresentare alla Scala in onore dell’imperatore
e imperatrice d’Austria. Ma ormai non ce la può più fare: troppi
nemici da una parte e dall’altra.
Afflitto
dalla perdita del genero Giulio Perticari, dalle maldicenze contro la
bellissima figlia Costanza, da una malattia degli occhi che gli toglie la
gioia del lavoro e infine da una paralisi che lo costringe quasi
all'immobilità, Vincenzo Monti trova ospitalità nella villa dell’amico
Luigi Aureggi, a Milano, ove muore abbastanza isolato e in declino, ma
amorevolmente assistito dalla moglie, il 13 ottobre 1828, in assoluta
povertà: lui che, unico caso nella storia della nostra letteratura, aveva
tenuto la scena per oltre un cinquantennio.
Fu
sepolto al cimitero di San Gregorio fuori dal Lazzaretto di
Porta Orientale.
Dopo
l'apertura del Cimitero
Monumentale, il Cimitero di San Gregorio fu soppresso e le
salme furono riesumate per essere spostate al Monumentale.
Ma
in quell'occasione i resti di Monti andarono dispersi e non esistono
più.
Rimane
solo la lapide funebre, che era posta sul muro di cinta del cimitero oggi
non più esistente, insieme a quella di altri personaggi illustri.
Questa lapide è custodita nella cripta della chiesa di San Gregorio
Magno accessibile scendendo a sinistra rispetto all’altare
maggiore.
(via Settala 25, Milano)
Il
periodo dell'infanzia ad Alfonsine
Vincenzo
Monti nasce alle Alfonsine il 19 febbraio 1754 e muore a Milano il 13 ottobre
1828, godendo di larga fama sia in Italia che all'estero.
Die 19 Februarj 1754
Vincentius hodie mane natus ex Dus Fidele Maria Monti et Dom.ca
Maria Adele
Mazzarri coniugibus baptizatus fuit a me Paulo Guerrini rectore. Pa=
trinus fuit Iacopus Antonius Guerrini. Omnes ex hac Parochia. Ita est.
|
È il poeta più
significativo del Neoclassicismo.
Al Passetto vicino al centro di Alfonsine è
collocata la casa dove nacque Vincenzo Monti, in un podere detto "l'Ortazzo",
da Fedele Maria Monti ed
Maria Adele Mazzarri.
|
|
Presunto
ritratto di Fedele Monti,
padre di Vincenzo Monti |
Presunto
ritratto di Maria Adele Mazzarri, madre di Vincenzo Monti |
Biblioteca
Comunale di Forlì, Biblioteca Piancastelli, Galleria dei ritratti |
Dell'Ortazzo
e di quella prima casa rimase un ricordo gradevole, una specie di
rimpianto della pace campestre che regnava intorno a quella casa: lo si
deduce da una lettera che scrisse al fratello Cesare, in anni successivi
da Roma il 1° giugno 1796, dove, raccontando degli eventi rivoluzionari
che stavano coinvolgendo la città eterna, così scriveva:
"Io mi confondo in mezzo a tanti scompigli e sospiro la
solitudine di Fusignano, anzi quella dell'Ortazzo in cui sono nato"
La
famiglia Monti era venuta
da S. Martino in Argine (Bologna) a Fusignano nel 1714 a seguito del nonno
di Vincenzo, Giovanni. Questi era un esperto agronomo e fu chiamato ad
occuparsi della tenuta Manfredi in qualità di castaldo della marchesa
Teresa Pepoli vedova Calcagnini, reggente per conto del figlio Cesare.
Fedele Monti aveva conosciuto e sposato Maria Adele Mazzarri a Villanova di Bagnacavallo nel
1738. L'anno dopo col genitore e i due suoi fratelli si trasferirono tutti
a Villanova di Bagnacavallo prendendo in affitto una casa e un
podere. Nel frattempo il nonno di Monti,
Giovanni aveva costruito una casa in via Passetto ad Alfonsine e lì andò
a risiedere in qualità di agente rurale (fattore) dei
Marchesi Calcagnini. Rimasero a Villanova fino al termine dell'affittanza, e poi
nel 1742, raggiunsero tutti il nonno nella casa del Passetto, con un piccolo podere
di proprietà detto "l'Ortazzo" . Qui rimarranno fino al 1774. La coppia
di giovani sposi, Fedele e Adele, ebbe, oltre a Vincenzo,
altri sette figli tra maschi e femmine. Fedele
ormai adulto prese il posto del padre e fu chiamato da solo alle
dipendenze dei Calcagnini come castaldo delle Alfonsine. Ma nel 1755 Fedele fu licenziato dall'obbligo di sovraintendere alla direzione della
fattoria. Rimase
comunque nella sua casa e si dedicò all'agricoltura in proprio e nel 1769
poté acquistare a Maiano la bella villa che Matteo Tamburini si era
costruito nel 1737. Non
sono chiare le cause del licenziamento: rimane solo un riferimento nella
lapide che lui stesso appose sulla facciata della casa dell'Ortazzo, ad
Alfonsine. La casa di semplice eleganza sorge
ancora oggi in fondo ad un largo ripiano, e porta scritto sull’alto
della modesta facciata un motto de’ Salmi :< < Redime me a
calumniis hominum, ut custodiam mandata tua. Fidelj Monti A.D. MDCCL> > ancora oggi leggibile
su una lapide posta sopra l’ingresso e ristrutturata nel 1964 da un
circolo culturale). Tale scritta fu collocata
dal padre a lamento di un episodio persecutorio che aveva subito da "persone
invidiose", che lo mise in cattiva
luce, per cui fu costretto a lasciare il ruolo di
amministratore nelle tenute dei Marchesi Calcagnini.
A
Fusignano e poi in
collegio dai seminaristi a Faenza (1764-66)
Vincenzo
rimase in Alfonsine col padre fino al decimo anno di età ed ebbe una
prima istruzione dal sacerdote Giovanni Farini, detto Don Barasi, allora
pubblico insegnante ad Alfonsine.
Il padre nel
frattempo aveva ritrovato lavoro a Fusignano come
amministratore dei Calcagnini, "dove - scrive
lo storico Gianfranco Rambelli (1805 -1868) - non aveva casa né terreno
alcuno". Per proseguire l'istruzione di base del figlio lo sistemò in casa del sacerdote
di Fusignano Don
Pietro Santoni, amico di famiglia e poeta dialettale. Qui il Monti, tra
preti, arcipreti, amici di famiglia e genitori ebbe una certa formazione
culturale. Ma per il padre ciò non era sufficiente e a dodici anni lo
mandò in collegio nel seminario di Faenza. Vi rimase fino al
diciottesimo anno. Durante le vacanze estive tornava nella casa dell'Ortazzo
a passare le vacanze (scrive il Rambelli "come testimoniano i
parrocchiali registri degli stati d'anime").
Il
trasferimento a Maiano nei pressi di Fusignano (1774)
e a 20 anni all'Università di Medicina di Ferrara
Dopo gli studi "canonici" condotti nel seminario di
Faenza ("ove gli furono dischiusi i primi tesori della latina
poesia"), "entra nel cerchio magico della poesia... con tutto
l’impeto di un’anima appassionata, e ancor vergine delle codarde
impressioni del mondo". Al ritorno da Faenza, nelle
vacanze estive, il padre lo vuole come aiutante nell'azienda agricola e Vincenzo ubbidisce al genitore
ma senza
alcuna voglia: "con un'animo sì renitente e distratto che ai campi
non ne proveniva alcun utile"
Un giorno
Vincenzo,
in un momento di rabbia per i frequenti rimproveri del padre, lo chiama
nella stanza dove studiava e, dopo aver
acceso un gran fuoco, vi getta i suoi amati autori latini; e il genitore,
non osservato, lascia sul tavolo 12 fiorini d’oro che sono presi dal
giovane e spesi nella vicina Lugo per ricomprare gli autori "dei
quali erano ancor calde le ceneri"
Dopo
il trasferimento definitivo a Maiano, nei pressi di Fusignano, in una casa
che il
padre aveva acquistato una casa, già nel 1769
Vincenzo
viene accompagnato e vigilato da un bravo sacerdote, Don Pietro Santoni, a
cui si aggiunge l'arciprete Don Cesare Baldini: due ottimi precettori a
cui sarà sempre riconoscente.
Il
Monti viene obbligato a iscriversi all’Università di Ferrara; ma non è contento e scrive, in
data 6 dicembre 1775, al padre:
"Io proseguo il mio studio della
medicina, ma non posso dimenticarmi quello delle belle lettere".
Ma interrompe presto gli studi per dedicarsi alla
"vocazione" letteraria.
Il
padre lo vorrebbe almeno avvocato. Ma non c'è nulla da fare.
Nel
1775 viene ammesso all'accademia di Arcadia (un gruppo letterario sorto
all'inizio del '700 a Roma e animato
dall'intento di salvare la poesia italiana da un certo manierismo
artificioso dilagante nell'epoca barocca, per ritornare alla semplicità
ed alla naturalezza del periodo classico).
A
Ferrara stette per molto tempo in casa di Luigi Finotti, parente del
Rettore della Chiesa di Alfonsine don Carlo Finotti. E fu proprio il
Finotti a presentarlo al Cardinale Borghese, entrando così, per sua
fortuna, nelle grazie del suddetto cardinale e da qui in seguito nel giro
dell'aristocrazia romana.
Il Monti esordì, sotto la protezione del cardinale legato Scipione Borghese,come poeta pubblicando a
Ferrara, presso la Stamperia Camerale, La
visione d'Ezechiello, della
qual cosa il padre molto si dispiacerà.
1778
se ne va a Roma dopo aver abbandonato gli studi all'Università
Il
cardinale Scipione Borghese lo mandò a chiamare da Roma.
Manifestò
così subito l’intenzione di trasferirsi
nella Roma di Pio
VI e lo scrisse al padre, sottolineando ancora una volta che "...lo
studio legale, medico, matematico o altro" non faceva per lui. Tale
intenzione compare anche in una lettera al Vannetti di Rovereto: "Ora
sto preparando il mio bagaglio per incamminarmi verso Roma al
dodici del corrente" <la lettera reca la data del 1 maggio
1778>.
Giunto nella capitale il 26 maggio 1778, il Monti sceglie come
dimora il palazzo Doria Pamphili in piazza Navona; continua la sua
corrispondenza col Vannetti e, nella lettera del 26 gennaio 1779, troviamo
una bella definizione della poesia:"...Concludiamo che la poesia è
assai corrotta a’ nostri giorni, e che il prurito d’essere filosofi,
astronomi, matematici, teologi e poeti fa che molti, invece di assodare
l’immaginazione, impiastricciano nei loro versi - o vi entri, o no - il
metodo geometrico, il prisma newtoniano, la paralassi, il vacuo, la luce,
la velocità, il sole, i pianeti, il zenit, il nadir, il diavolo che li
porti, e tante altre sciocchezze, che empiono la bocca senza riempire
l’intelletto. In tal modo rendono la poesia un mercato di bagatelle
filosofiche, destano nelle anime sagge ed economiche la nausea e
l’aborrimento per tutti questi versi che ammorbano in sì gran numero
questo povero stivale d’Europa".
Forte è l’amicizia col Vannetti ed insieme piangono la
scomparsa dell’amico Zorzi per il quale il poeta di Rovereto compone un
elogio funebre da tutti applaudito. Un’altra amicizia importante è
quella che lo lega all’abate Aurelio
Bertòla che, come apprendiamo dall’Epistolario, gli invia un saggio
sulla letteratura alemanna che il Monti contraccambia con il suo Saggio
di poesie; vale la pena sottolineare che, nella lettera del 5 novembre
1779, il Monti manifesta la sua inclinazione a scrivere tragedie:"...
Il componimento tragico è quello che mi attirerebbe di più di tutti; ma
come appagare l’antica smania che mi divora di scrivere tragedie, se non
ho mai potuto mettermi finora in calma lo spirito, costretto a perdere i
pensieri in cose che nulla hanno a che fare con la poesia?".
1781
un primo successo nella scalata sociale
Il 13 ottobre 1781 diviene "...segretario del
Principe Braschi nipote di Nostro Signore Pio VI..." che gli
concederà una casa in Roma, gli garantirà una pensione papale con un’entrata di almeno
12 scudi al mese e lo ospiterà alla sua tavola (nonostante l’opposizione
di alcuni principi e cardinali).
Il Monti ottenne
così il titolo onorifico di abate, "e ben presto, adulando,
- scrive il De sanctis - seppe guadagnarsi i favori della Curia e,
cantando, procacciarsi, in vent'anni di vita romana, fama di grande poeta".
INCAPACE DI FARE AFFARI, NONOSTANTE LA SUA
BUONA VOLONTÀ, CE LA METTE TUTTA:
RACCOMANDAZIONI, INTRALLAZZI, MA NON E’ PORTATO…
Insomma il Monti, per merito di un suo poemetto e di alcune
raccomandazioni divenne segretario del nipote del papa con un compenso di
12 scudi mensili, cui si aggiunse una pensione papale di 50 scudi annui
con l’aumento di altri 50 per 7 anni. Si adoperò, sia pure con esiti
modesti, per far fruttare le sue informazioni in mediazioni e senserie a
vantaggio suo e della famiglia. Fu così agente d’affari in Roma dei
Comuni di Rieti e di Osimo e, dal 1794, del card. Barnaba Chiaramonti. Ma
alla fine si giocò gran parte dei soldi. Come?
1782
...
una prima forte delusione amorosa e un avvicinamento al romanticismo e un
indebitamento...
Nel 1782 il
poeta, mentre si trova tra settembre e ottobre a Firenze in casa dell'improvvisatrice di versi Fortunata
Sulgher Fantastici, incontra una giovane donna, di nome Carlotta, della
quale s'innamora perdutamente. La critica l'ha identificato
nell'educanda Carlotta Stewart, figlia di
una certa Rosa Stewart, dama di compagnia della principessa Giustiniani.
Per
arredare la casa e mostarsi degno di tal fidanzata, Carlotta Stewart, di
cui si era talmente innamorato da coltivare un progetto di matrimonio si
indebita ma si ritrova povero. Così il matrimonio naufraga per
l’opposizione del padre della ragazza, ricco assai più del poeta.
Questo amore non arrivato a buon fine si tradusse, oltre che a un notevole
indebitamento, nell’elegia del sentimento e della natura dei Pensieri
d’amore.
"Io
amo Carlotta sopra ogni credere, la mia tenerezza mi ha dettato alcune
parole e vorrei che queste passassero sotto i suoi occhi. Amo
Carlotta...Ho sentito più volte il furore delle passioni, mi sono
abbandonato in preda qualche volta ai disordini, mi sono lusingato che la
mia felicità potesse consistere nei disordini e nelle colpe. Mi sono
orribilmente ingannato. Carlotta mi ha fatto sentire che non si può
essere felice in amore se non si ama un oggetto virtuoso ed innocente".
Fortunata
e il principe Sigismondo Chigi furono confidenti delle pene
amorose del poeta. Il Chigi (Roma 1736 - Padova 1793), era Custode
del Conclave, ebbe fama di liberale e amava la poesia, che praticò con
successo, ricevendo anche i complimenti del Visconti. Spirito libero e
aperto, si sposò due volte e dovette subire l'accusa, falsa, di aver
avvelenato un cardinale per gelosia.
Per
Carlotta il
poeta Monti scrisse i Pensieri
d'amore; cadrebbe dunque
l’ipotesi, che trova largo spazio nelle Storie della Letteratura
Italiana, relativa al fatto che il Monti abbia derivato questo nome da
"Die Leiden des jungen Werthers" (I dolori del giovane Werther)
di Goethe. I Pensieri
d'amore adottano uno stile più malinconico e sincero, dove
il poeta freme di passione disperata. Costituiscono le prime avvisaglie di
un avvicinamento, forse non emotivo ma certamente formale, alla poetica
romantica, tanto che lo stesso Leopardi ne trarrà ispirazione
per alcuni dei suoi componimenti più famosi.
|
Nel
1783 esce anche "Versi
a S. E. IL SIG. CONTE D. LUIGI BRASCHI ONESTI" (clicca
qui e trovi il testo e l'edizione originale).
Lo stile del
Monti abbandona la fredda adulazione di scritti precedenti, e sembra
un'apertura
romantica quando apre
questa edizione di 'Versi',
con gli endecasillabi sciolti in un'elegia
1- "Al
principe Sigismondo Chigi",
e poi con
2- Pensieri
d'Amore
3- Elegia
4- Canzonetta
5- Sonetto
6- Amor peregrino (alla S.E. Signora DONNA COSTANZA FALCONIERI
BRASCHI
|
Il
1 gennaio 1785: muore il padre e nel testamento il Monti è escluso
dalla divisione dei due poderi e della casa, dal momento che il
padre scrive "Vincenzo è stato di straordinario dispendio senza
contare i soccorsi prestatigli nei primi
momenti del soggiorno romano".
Quindi
Monti fu escluso da parte dell’asse ereditario a ricompensa delle spese
sostenute dalla famiglia per il suo mantenimento; a esplicita riprova di
quella partita di dare e avere con i parenti che lo accompagnò per tutta
la vita.
“Valentissimo
nel far versi ma senza la minima attitudine negli affari”
(disse di lui Giuseppe Compagnoni, coetaneo del Monti e che non ebbe mai
di lui una grande opinione).
|
|
Biblioteca
Comunale di Forlì, Biblioteca Piancastelli, Galleria dei ritratti |
Il 3
luglio 1791, nella Chiesa di San Lorenzo, il 36enne abate Monti sposa Teresa
Pikler di quindici anni più giovane, attrice di teatro e dedita alla
vita mondana di Roma, figlia di Giovanni (celebre incisore di pietre dure) e di Antonia Selli, era
nata a Roma nel 1769 e morì a Milano nel 1834. Quel matrimonio fu la
fortuna del Monti. Teresa era una donna bellissima e raffinata (dal matrimonio nasceranno due figli,
Costanza e Giovanfrancesco che morirà a soli due anni).
Il
Monti, dopo la batosta del primo fallimento amoroso, ritrova un certo
equilibrio e Teresa fu la sua guida nelle scelte economiche e forse anche
politiche...
Intanto,
prima del matrimonio Teresa si fece fare da Monti donazione dell’intero
suo patrimonio, presente e futuro, lasciandogli l’usufrutto e la libertà
di fare testamento solo per un ventesimo. Le cresciute necessità
economiche di Monti, che si era fatto anche carico della famiglia della
moglie, ospitando nella sua nuova casa il cognato Giacomo, si
accompagnarono, di conseguenza, a rinnovate richieste di denaro alla sua
famiglia originaria e a contestazioni sull’amministrazione dei beni,
acuite dal dissidio tra il fratello prete Cesare, amministratore dei beni
comuni, e l’altro fratello Francesco Antonio.
|
Nel periodo romano (1778-1797) il Monti
era apparso come conservatore in politica
e in letteratura, e come il vero interprete del gusto aristocratico della
società che gravitava intorno alla corte papale.
Il Monti
sembrava convinto che il poeta abbia il compito di decorare la realtà, che
altrimenti rimarrebbe vuota e arida: per questo celebrava ed abbelliva i
fatti del suo tempo; svolgendo pertanto una poesia di occasione, decorativa,
lontana dai problemi sociali e quasi sempre priva di spunti lirici.
Di questo
periodo sono "La
bellezza dell'Universo", cantica in terzine che esaltano la
potenza della Beltà nella creazione delle cose e degli animali; nella
"Prosopopea di Pericle", paragona l'età dì Pio
VI con quella del grande ateniese; l'ode "Al Signor di
Montgolfier" che celebra la prima ascensione aerea; il
poemetto "Il Pellegrino apostolico", scritto in
occasione del viaggio del Pontefice a Vienna; i sonetti "Sulla
morte di Giuda"; i "Pensieri
d'amore"; le due tragedie "Aristodemo",
d'argomento classico, e "Galeotto Manfredi", di
soggetto medievale, l' "Epistola" in versi sciolti
ad Anna Malaspina per la stampa dell' "Aminta" e
la "La
musogonia"
in ottava rima,
Intanto
la vita mondana della moglie Teresa aveva creato attorno a lei e a Monti
stesso una serie di nuovi contatti personali tra i quali anche un
diplomatico francese il colonnello Marmount, e anche altri
intellettuali.
1793
Vincenzo
Monti, ricercato
e accarezzato da tutti per la stupenda varietà ed eccellenza delle sue
invenzioni poetiche, fu uno che pretendeva ingenuamente di assecondare
lo spirito dei tempi conciliando insieme l'Arcadia e la rivoluzione,
come a dire la religione cattolica e l'illuminismo, la Corte Pontificia e
la massoneria. Ma se questa conciliazione, che era il suo scopo
prioritario, poteva riuscire abbastanza facile, e fino a un certo punto,
nei versi da recitare per le accademie, meno comoda diventava nella
pratica della vita.
Fu
così che, come tutti i maggiori ingegni del suo tempo, anche il Monti,
annoiato della vecchia Italia oziosa e decadente, aveva accolto con
ansiosa simpatia le notizie delle novità francesi, che gli sembrava una ventata di
libertà.
Poi
s'era sgomentato di quelle violenze autoritarie, di quelle prescrizioni,
di quelle stragi, e s'era indotto a biasimarle apertamente.
"In
morte di Ugo di Bassville"
detta anche "Bassvilliana".
A Roma nel 1793 fu ucciso
dalla furia popolare Hugon (o Hugo) di Bassville, propagandista della
rivoluzione, e il Monti compose un poemetto in terzine in cui immagina
che, per espiare le sue colpe, l'anima dell'ucciso accompagnata da un
angelo, sia spettatrice degli orrori di quella rivoluzione che voleva
diffondere. La "Bassvilliana" rimase incompiuta ed è assai
lontana dalle altezze della Divina Commedia che il Monti imita nel metro e
nella forma di visione; eppure "...c'è in essa gran vigoria
descrittiva e, se - come scrive il De Sanctis- fa difetto il calore
della passione, c' è quella ricchezza, forse superflua, di colori e di
suoni che contribuì in grandissima parte alla fortuna della poesia montiana".
La critica
più pungente che troviamo, ancora oggi, quindi contro il Monti, dal punto
di vista letterario, è che, svolgendosi la sua attività in un periodo di
profonde trasformazioni, dovute a fatti storici eccezionali,
le sue opere celebrano solamente gli aspetti più appariscenti e
suggestivi, senza scendere in profondità.
Ma
va detto che "il
Monti non cantò di volta in volta i potenti, egli cantò invece sempre se
stesso cioè il suo amore per le belle itale note, per le immagini di una
grande letteratura, che prima di chiudere un suo glorioso ciclo fa quasi
la mostra sfarzosa di tutte le gemme, accumulate in quasi cinque secoli di
intensa vita apollinea. Si può essere poeti umani, ma si può essere
anche poeti di affetti letterari". (prof. Luigi Russo, in un convegno
ad Alfonsine)
1797
adesione al fermento rivoluzionario: abbandona
Roma e diventa anticattolico e bonapartista
"La
prontezza con cui Il Monti cambiò spesso atteggiamento politico, per cui
fu molto biasimato, nasceva dalla sua impulsività ed dall’essere
incauto, come quel popolo, perpetua maggioranza d'ogni società, che da
disinteressate illusioni è tratto ad approvare i nuovi avvenimenti della
storia e ad innalzare gli idoli, o ad abbatterli, secondo l'abbagliante
mutare della fortuna". (da un articolo a firma 'Lector' su'"L'Illustrazione
Italiana" n° 42 del 1928)
La
società in cui il Monti crebbe era una società priva di fede e "in cui venivano cadendo come scenari vecchi gli
stupidi privilegi e le stupide usanze delle classi aristocratiche e
clericali".
In
un ambiente di tal fatta "un povero alunno delle Muse, privo di un
profondo orientamento storico, doveva vacillare da tutte le parti e finire
e limitarsi a interpretare gli avvenimenti politici come le occasioni
propizie per l'espansione letteraria della sua musa. In un mondo tutto
fragile e che veniva rovinando da tutte le parti, almeno si poteva tenere
fede alla bella letteratura, al rigore della disciplina artistica,
all'aristocrazia letteraria" (da
un articolo a firma 'Lector' su'"L'Illustrazione Italiana" n°
42 del 1928)
"Io
mi confondo in mezzo a tanti scompigli e sospiro la solitudine di
Fusignano, anzi quella dell'Ortazzo in cui sono nato".
L'esercito del
Bonaparte, vittorioso nella valle del Po, scendeva
come un'ala d'incendio all'Italia centrale, suscitando vampate di
entusíasmo,
reminiscenze di classica letteratura, aspettazíoni di popoli in rivolta.
La fantasia del poeta fu nuovamente commossa ed esaltata.
A
pochi anni dall'aver scritto "in morte di Ugo di Bassville" dove
aveva rivelato uno spirito conservatore e anti rivoluzione francese, forse
indirizzato anche dalla moglie Teresa, abbandonò improvvisamente Roma la
sera del 3 marzo 1797, celatamente nella carrozza del colonnello francese
Marmont, venuto ad imporre al Papa i patti umilianti del trattato di
Tolentino. Non
era più possibile restare tranquillamente nella capitale del
cristianesimo cumulando insieme il beneficio d'una redditizia intimità
coi nipoti del Papa e il compiacimento di relazioni segrete con gli
emissari della prossima rivoluzione."
Bisogna riconoscere che, messo alle strette, dovendo scegliere, scelse
secondo il suo cuore, secondo le propensioni della sua mente e le
esortazioni che gli venivano probabilmente dalla moglie e dagli amici
ferraresi che già avevano proclamato la repubblica, non secondo i
consigli dell'utile immediato.
Il Monti, che fino allora era stato il poeta della tradizione fieramente
avverso alla democrazia rivoluzionaria, si trasferì prima a Firenze, dove
fu poi raggiunto dalla moglie e dalla figlioletta, e quindi a Bologna dove
s'abbracciò con Ugo Foscolo; poi per poco a Venezia, invitato dal suo
nuovo amico, e quindi a Milano.
È il momento in cui Napoleone sta conducendo la 1° campagna d'Italia che
lo porterà a invadere e ad occupare lo Stato Pontificio fino alla
Romagna.
Qui si
mostrò ardente fautore delle nuove idee, sforzandosi di far dimenticare
agli altri il suo passato, e la tanto applaudita e arcinota "Bassvilliana",
anzi cercando di far credere che a Roma l'aveva cantata solo per paura.
Fu attaccato da numerosi
cisalpini per aver composto precedentemente quel poemetto
antirivoluzionario.
"Aveva
bisogno di pane; chiese dunque di essere impiega
ma aveva portato nella valigia un "corpo di reato"
difficile da nascondere e
contrabbandare: il poemetto della Bassvilliana da lui composto con intonazione antifrancese
quando pareva che la rivoluzione dovesse tramontare nei sanguinosi eccessi del Terrore.
Quel volumetto di terzine gli aveva procurato l'onore di esser
paragonato a Dante; ma ora gli era causa di pungenti dispiaceri. C'erano in giro alcuni poeti, emuli, affamati, e anche
molti
uomini semplici e dabbene, i quali denunziarono
nella Bassvillíana una prova inconfutabile di idee reazionarie. Il disgraziato
autore si difese malissimo, protestando d'avere scritto con simulato
intendimento, mentre era in Roma circondato da gravi pericoli, e per avere salva la vita".
Fu ottimamente
e generosamente difeso con passione
dal Foscolo.
Messosi sulla
nuova via, il Monti aveva infatti già avviato un brusco cambiamento dei contenuti della sua opera
poetica in senso anticattolico e democratico-rivoluzionario.
Scrive il De
Sanctis, con una certa ironia - "esaltò
quel che aveva detestato e vilipese ciò che aveva lodato"come
confermano i canti Il fanatismo, La superstizione, Il pericolo, e
soprattutto il Prometeo, in esaltazione di Napoleone.
"Il tiranno è
caduto. Sorgete"
fu un
inno che venne cantato alla Scala nel 1799, che può essere considerata una
delle liriche più belle di quel genere.
Per questa attività ricevette dai Francesi cariche ed onori.
Si leggano ad
esempio il grido iniziale:
" Il tiranno è caduto. Sorgete / genti oppresse; natura
respira" oppure l’invocazione alla libertà:" O soave
dell’alme sospiro, / Libertà che del cielo sei figlia".
All'opposto
di come aveva fatto prima, qui glorificava il regicidio, infierendo contro
il "vile Capeto" che, alcuni anni prima, aveva, esaltato nei
versi della Bassvilliana.
Da qui il giudizio di "trasformismo"
datogli dal De Sanctis.
Tre
mesi dopo gli Austriaci tornarono in Milano.
Al
ritorno degli austriaci è esule a Parigi, dove inizia a tradurre l'Iliade di Omero
(1801). Al ritorno in Italia, dopo la battaglia di Marengo, ottiene una
cattedra di eloquenza.
Al
ritorno degli Austriaci fu costretto a fuggire prima a Genova, poi in
Savoia e finalmente a Parigi. In questo periodo tradusse
la Pulcelle di Orleans di Voltaire e
iniziò la traduzione dell'Iliade di Omero (1801) che
testimonia una profonda conoscenza della classicità, Nel
frattempo un giovane poeta, Alessandro Manzoni, si cimenta con la
poesia nel poemetto "Il trionfo della libertà" di
chiara ispirazione montiana.
Dopo la battaglia di Marengo (inizi del 1801) il Monti tornò in Italia. Salutando
la patria con l'ode famosa Bella Italia amate
sponde,
scritta al tempo della vittoria di Marengo, si mostrò cantore infiammato
dell'Italia liberata. Avuta
la cattedra d'Eloquenza e Poesia all'Università di Pavia, (un equivalente dell'attuale cattedra di lingua e letteratura
italiana) tenne per un
anno l'insegnamento, ma nel 1804 interruppe le lezioni ed accettò
l'ufficio di poeta del Governo Italiano. In
realtà da allora fu il poeta di Napoleone, che celebrò in parecchi
componimenti, fra cui "Il beneficio", "Il
Bardo della Selva Nera",
"La
spada di Federico II", "La
palingenesi politica". "La
tranquillità della vita - scrive il De Sanctis - gli ispirò un
magnifico poemetto in terza rima "In
morte di Lorenzo Mascheroni" detta anche Mascheroniana;
qui per bocca dell'autore dell' "Invito a Lesbia Cidonia",
salito in Cielo e conversante con il Parini, con il Beccaria e con Pietro
Verri, deplora gli esaltati e i demagoghi. Poi
scrisse la sua terza tragedia
Caio
Gracco, d'argomento romano e l'azione drammatica Teseo
musicata
dal Paisiello.
Nominato "Istoriografo del Regno Italico", scrisse un
componimento in onore di Napoleone (Il
Beneficio), nella cui prefazione il
Monti non si riconosce affatto come istoriografo. Nel
1810 portò a termine la meravigliosa traduzione dell 'Iliade,
che può considerarsi il suo capolavoro. II
lavoro nel 1801, lo terminò nel 1808, nel 1809 lo revisionò. La prima Iliade montiana,
in endecasillabi, apparve nel 1810, in due volumi (Bettoni, Brescia); la
seconda edizione nel 1812, a Milano; la terza, 1815, a Napoli; poi
pubblica nuove edizioni, sempre rivedute: 1816, 1820, 1825, 1826, fino
all'edizione postuma del 1829 che accoglie le ultime volontà del
traduttore.
Con
la caduta di Napoleone tornano gli Austriaci: è la Restaurazione.
Il
Monti convive col nuovo regime
Con la caduta di
Napoleone ed il ritorno degli Austriaci a Milano abbiamo l'ultimo atto del
cosidetto trasformismo montiano.
Nel
1816 il poeta per raggranellare qualche soldo, dovendo pur campare,
compone alcuni testi per opere teatrali per i nuovi governanti, da
rappresentare alla Scala, alla presenza dell'imperatore e della
imperatrice d'Austria, come ad esempio "Il ritorno di Astrea",
che giocava sull'assonanza tra Astrea e l'Austria, che tornava a dominare
Milano dopo la parentesi napoleonica.
È la fase della
Restaurazione, quella meno varia e che rappresenta il declino
dell'autore, ormai vecchio e malato (è stato colpito da una paralisi dei
muscoli che gli impedisce anche di scrivere). Si impegna particolarmente nelle polemiche letterarie, di cui
è frutto, tra l'altro, il Sermone sulla mitologia, dove alle cupe
immagini della fantasia nordica e romantica sono contrapposte quelle
luminose delle favole classiche, nonché alcuni ritocchi alla Feroniade,
poemetto in versi sciolti iniziato nel 1784 a Roma, dove
esaltava l'inizio della bonifica delle Paludi Pontine dovuta a Pio VI. Sono
di quest'ultimo periodo della sua attività l'idillio mitologico "Le
nozze di Cadmio e di Ermione"; il celebre "Sermone
sopra la Mitologia" in difesa del classicismo; ed alcune
liriche piene di dolcezza di sentimento, non prive di sincerità
come "Per il giorno
onomastico della mia donna", (Teresa Pikler).
Accettò la proposta
di alcune correzioni ed aggiunte al vocabolario della Crusca, in cui
difendeva con calore "i diritti della lingua universale italiana
contro le arroganti pretensioni dei Toscani, che alla lingua scritta e
illustre, comune a tutta la nostra bella penisola, vogliono di sostituire
il dialetto particolare che si parla al Mercato Vecchio o nel
Casentino".
Afflitto
dalla perdita del genero Giulio Perticari, dalle maldicenze contro la
bellissima figlia Costanza, da una malattia degli occhi che gli tolse la
gioia del lavoro e infine da una paralisi che lo costrinse quasi
all'immobilità,
Vincenzo
Monti trovò ospitalità
nella villa dell’amico Luigi Aureggi, a
Milano, ove morì abbastanza
isolato e in declino, ma
amorevolmente assistito dalla moglie, il 13 ottobre 1828,
in assoluta povertà: lui che, unico caso nella storia della nostra
letteratura, aveva tenuto la scena per oltre un cinquantennio.
Fu
sepolto al cimitero di San Gregorio fuori dal Lazzaretto di Porta
Orientale. Ma dopo l'apertura del Cimitero Monumentale, nel 1866, il
Cimitero di San Gregorio fu soppresso e le salme furono riesumate per
essere spostate al Monumentale. Ma in quell'occasione i resti di Monti
andarono dispersi e non esistono più.
Rimane solo la lapide funebre, che era posta sul muro di cinta del
cimitero oggi non più esistente, insieme a quella di altri personaggi
illustri. Questa lapide è custodita nella cripta della chiesa di San
Gregorio Magno accessibile scendendo a sinistra rispetto all’altare
maggiore. (via Settala 25, Milano)
Il
processo a Vincenzo Monti
fatto durante
tutto il '900, fino ancora ad oggi (2017), è stato un processo
clamorosamente assurdo e clamorosamente ingenue sono state le forme
dell'accusa.
Vincenzo
Monti è stato staccato dal paese e dal secolo che fu suo, e giudicato
coll'esperienza morale e politica, che noi, "dopo un secolo e
mezzo di esperienze, abbiamo potuto maturare.
Senza dubbio la vigoria dell'ingegno è tale che sorpassa situazione di
fatto, e, dove esso non basta, è segno che il suo limite è stato
toccato. Altro sviluppo dovevano fare difatti e Vittorio Alfieri e Ugo
Foscolo".
(Prof.
Luigi Russo, citato in un articolo di Adis Pasi a pag. 32 di
"Quaderni alfonsinesi n° 14)
|
|