La popolazione
di Alfonsine resistette
Mentre i giovani affluirono nella
28° Brigata Garibaldi, Alfonsine, dal dicembre 1944 al l0 aprile 1945, il
resto della popolazione visse l'esperienza di un centro posto sulla linea
del fronte di guerra.
La popolazione si sottrasse ad
ogni tentativo di allontanamento, resistette organizzandosi in modo da
sopravvenire e attendere l'arrivo degli alleati.
Il locale Comitato di Liberazione
inizialmente costituito dai rappresentanti dei partiti locali e
dall'Arciprete, seppe tessere una tela di comitati di zona (che
diventeranno le "giunte di strada" subito dopo la liberazione)
che provvedevano agli approvvigionamenti alimentari e alla raccolta di
informazioni strategiche da inviare agli alleati.
Il 10 aprile 1945 il Gruppo
di Combattimento "Cremona" liberò Alfonsine.
Ad Alfonsine nei 5 mesi del fronte furono lanciate circa 600 granate al
giorno e ci furono 331 civili morti. Non c'era più la luce elettrica e
quindi non funzionavano più i mulini. Per riuscire a macinare un po' di
grano si doveva andare fino a Voltana o a Longastrino con i pochi carri
rimasti.
I tedeschi razziavano le mucche
dalle stalle e tutti i mezzi di trasporto a motore (quei pochi che
c'erano) e la ferrovia per trasportare tutte le merci, gli oggetti e le
opere d'arte rubate al nostro Paese e le loro armi; per questo i
partigiani fecero saltare i binari della ferrovia.
La miseria era tanta ma c'era molta solidarietà tra le persone. C'erano
dei comitati di zona (le giunte di strada) che cercavano di procurare il
cibo per tutti i cittadini: compravano dai contadini le mucche e le
macellavano in uno stallatico che si trovava all'incrocio di via Mameli
con via Tranvia; andavano a pescare nelle valli e distribuivano il pesce.
Ad Alfonsine, prima della
guerra, c'erano un ospedale e due farmacie, una in corso Garibaldi,
l'altra in via Mazzini. Durante la guerra fu necessario organizzare altri
due ospedali, uno nel Palazzo Comunale, l'altro a casa Argelli.
Il centro del
paese fu completamente minato dai tedeschi
Nel 1945, per decisione dei
tedeschi, fu fatto saltare quasi tutto il centro del paese: gli edifici in
Piazza Monti e in Corso Garibaldi impedivano, a loro parere, il tiro dei
cannoni verso le zone occupate dagli alleati ( dopo il fosso Vetro verso
Ravenna). Le granate, le bombe aeree, l'alluvione provocata dalla rottura
dell'argine del fiume Senio, le mine dei tedeschi, distrussero l'80% delle
costruzioni.
Il paese era un
mucchio di macerie
Il 10 Aprile 1945, giorno della
liberazione di Alfonsine, il centro del paese era formato da un mucchio di
macerie; il resto del paese era semidistrutto. Il panorama sconfortante
era rappresentato dalla distruzione del 70% delle abitazioni e dalla
scomparsa del vecchio centro storico, che era stato dapprima pesantemente
bombardato dagli alleati, e in seguito minato dei tedeschi prima della
loro ritirata verso nord.
I senza casa erano circa 700 e si
potevano utilizzare soltanto 15 baracche di legno messe a disposizione
dagli alleati inglesi. Fu necessario convocare tutti i bisognosi nel
"Cason dal machin", capannone situato in via Borse e tirare a
sorte.
Vennero dal Municipio distribuite anche le lenzuola, le coperte, i
materassi rubati ai cittadini nelle case che i tedeschi avevano occupato.
Bisognava
ricostruire il paese,
ma dove?
Ricostruire il centro del
paese dov'era prima, alla destra del Senio, o alla sinistra dove c'erano i
campi?
Venne fatto un Referendum tra le giunte di strada, cioè vennero chiamati
ad esprimere il parere, coloro che facevano parte di queste giunte. Il 98%
votò per ricostruire il centro del paese alla sinistra del fiume Senio,
tenendo conto del fatto che alla destra c'era poco spazio, confinando
Alfonsine con i Comuni di Bagnacavallo e Fusignano.
Gli architetti Vaccaro e Parolini
disegnarono quindi il nuovo paese e cominciò la costruzione. Ci fu una
grande solidarietà fra i cittadini e tutti concorsero alla ricostruzione
offrendo gratuitamente quattro domeniche di lavoro per rimuovere le
macerie. Le macerie furono caricate, con le pale, sui carri tirati dai
pochi buoi rimasti, e usate sia per ricostruire le rampe che permettevano
di arrivare alla via Reale e al Cimitero, sia per riempire le voragini
causate dalle bombe e dallo straripamento del fiume Senio.
Ad Alfonsine, dopo quasi cinque
mesi di fronte, c'era rimasto ben poco, tranne il fieno (che i contadini
non avevano potuto utilizzare perché le mucche erano state uccise dai
tedeschi) e i bossoli di ottone dei cannoni. Si effettuarono perciò degli
scambi con altre città: con Reggio Emilia si scambiò il fieno con
materiale edilizio; i bossoli di ottone furono scambiati con vetri
(nessuna casa aveva più i vetri alle finestre) o con maiali, mucche,
polli per ricominciare gli allevamenti e quindi le attività produttive.
I campi vennero ripuliti dalle mine e dalle granate per poter ricominciare
la loro coltivazione.
Fu ricostruito con assi di legni il ponte di piazza Monti. |