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Alfonsine

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Libri su Alfonsine (scritti da alfonsinesi)
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(scritto da Luciano Lucci)

Un libro sulla  Settimana rossa alfonsinese

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(scritto da Tonino Pagani)

Un libro su Alfonsine:  
"E café d'Cai"

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(scritto da Luciano Lucci)  

Un libro su Fetonte, un giovane semidio caduto sulle 'terre alfonsine'

 

Questo sito è ideato e gestito interamente da Luciano Lucci

Come vennero distrutte

corso Garibaldi e piazza Monti 

Per saperne di più
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Come venne distrutto tutto il paese vecchio
(sei qui)

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Piazza Monti
1938

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La chiesa
e il Lazzaretto
anni '30

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Dal ponte
vecchio
alla piazza
Monti

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Foto aerea di Alfonsine del 1944

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La chiesa
Santa Maria

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Casa
del fascio
 piazza Monti distrutta
Piazza Monti distrutta

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Il Municipio distrutto

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Casa
Lugaresi

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Alfonsine dopoguerra

 

 

La popolazione non obbedì ai tedeschi: in molti non sfollarono

Già ai primi di gennaio 1945 un ordine del comando tedesco aveva intimato lo sfollamento generale dell’intera popolazione di Alfonsine: ”Ordine tassativo: sfollare entro tre giorni verso Argenta e oltre il Po. Chi trasgredirà a tale ordine verrà fucilato immediatamente perché ritenuto partigiano.”

I tedeschi non ne potevano più di avere proprio sulla linea del fronte, dentro il paese, gruppi di partigiani che continuamente disarmavano tedeschi, a volte ne uccidevano qualcuno, giustiziavano i collaborazionisti, facevano manifestazioni, divulgavano stampa clandestina, reclutavano nuove forze, passavano informazioni agli alleati.

Ma il PCI clandestino decise di resistere e, dopo aver informato il CLN locale che fu d’accordo, diede indicazione di non obbedire all’ordine dei tedeschi. Dato che i comandi tedeschi al fronte venivano cambiati ogni 15-20 giorni e ogni nuovo comandante subentrava al precedente con nuove idee sue, si riuscì per un po’ a evitare qualsiasi forma di rappresaglia.

Il Comando Tedesco era in quei giorni gestito dalle SS che avevano avuto il compito di mettere più sotto controllo la situazione alfonsinese. La loro sede era il Palazzo d’Marén, in corso Garibaldi. 

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Il Palazzo d’Marén, (detto anche Preda o dell'Ebe)

in Corso Garibaldi:
 era la sede del comando SS sul fronte di guerra ad Alfonsine.

La sera del 16 gennaio ci fu un avvicendamento dei soldati. Arrivò un nuovo reparto e un nuovo maggiore delle SS. La notizia arrivò anche ai dirigenti del movimento partigiano che avevano la loro sede nel Municipio, dove avevano allestito il pronto soccorso, e si erano mimetizzati da infermieri e soccorritori. Tramite i loro canali di comunicazione fatti di staffette e radio trasmittenti informarono gli alleati che era appena arrivato il nuovo comandante delle SS e che avrebbero potuto bombardare l’edificio. 
Si raccomandarono di centrare in modo preciso il palazzo e di fare attenzione a non colpire le scuole che erano di fronte al di là del corso Garibaldi, perché li vi erano alloggiate molti civili.

Il 17 gennaio 1945 una bomba centrò il palazzo di Marén, in Corso Garibaldi ad Alfonsine

La mattina del 17 gennaio un aereo anglo-americano arrivò a bassa quota da nord lungo l’asse di Corso Garibaldi e bombardò con un unica bomba il palazzo, sede del comando tedesco. Rimasero uccisi vari tedeschi delle SS, tra cui il comandante, e alcuni civili che abitavano nel palazzo. Molti altri che erano rifugiati nei sotterranei si salvarono. I poveri resti di un soldato che era di guardia sul marciapiede si spiccicarono nella cancellata delle scuole elementari poste al di là della strada. 
(testimonanianza di Domenico Grilli" (è grilò) e Giuseppe Mascanzoni "Pino").

Ecco come ha descritto la scena Tonino d’Cài nel suo libro di memorie:

“Un mattino, mentre stavamo macellando, udimmo un aereo sorvolare il paese a bassa quota e distinguemmo, fra il rumore che provocava, un colpo sordo: come quello di una fucilata o di una bomba non esplosa. Ci avvicinammo alla finestra ma non vedemmo nulla di strano e tornammo al nostro lavoro. Dopo un quarto d’ora circa arrivò al pronto soccorso un ragazzo con la testa fasciata, un ragazzo che noi tutti conoscevamo: era Livio. Ci raccontò con tremore che quell’aereo aveva sganciato una bomba e aveva colpito il palazzo d’Marèn dove, nel sotterraneo, si trovavano decine e decine di persone, e la notte prima era arrivato anche un comando delle SS. A questo punto andammo di corsa con le barelle. Arrivati al palazzo non riuscivamo a capire in che modo la bomba lo avesse colpito, dato che non si vedeva alcuna rottura nella costruzione. Salimmo la bianca gradinata che portava al portone principale: la porta era divelta, ci affacciammo e rimanemmo sbalorditi nel vedere l’interno del palazzo colmo di macerie e cadaveri di militari e civili. Seppi, in seguito, incontrando in piazza due miei compagni e amici partigiani (Marii e Fiamett) mentre stavano entrando nella casa di Pitade’ (evidentemente di nascosto), che erano stati proprio loro a segnalare, tramite radio trasmittente, la presenza del comando S.S. nel palazzo di Marèn. Quel giorno ci fu un lavoro immenso per noi: per ore e ore togliemmo macerie ed estraemmo cadaveri di civili e di S.S.. Portammo i morti al terzo piano del Municipio e li ripulimmo; i militari furono portati via dai loro camerati, mentre i nostri civili furono seppelliti provvisoriamente dietro al mercato coperto. Per fortuna una parte del sotterraneo aveva resistito e non era crollato, altrimenti avrebbe ucciso altre decine di persone.

Da quel momento i tedeschi divennero feroci: avevano la prova certa che i partigiani di Alfonsine erano in contatto col comando alleato e che avevano passato l’informazione per quel bombardamento mirato. 

La rappresaglia questa volta ci fu, anche se fortunatamente, non contro le persone: fu emesso un secondo ordine di sfollamento strada per strada, chi si fosse rifiutato sarebbe stato inviato in un campo di concentramento in Germania.

In seguito, dopo la guerra fu detto che i tedeschi volevano avere la visuale spianata verso il fronte nemico, che era appostato sul fiume Lamone, a sud, per poter sparare con i cannoni. In realtà non ne avevano bisogno perché i loro avamposti erano posizionati sul Canal Naviglio, secondo la testimonianza di Giuseppe (Pino) Mascanzoni. Lui era tra gli alfonsinesi rastrellati dai tedeschi, che posizionarono il filo spinato lungo l'argine del Naviglio. Il motivo di quella distruzione in realtà fu determinato dal voler far sfollare tutta la popolazione, che invece era sempre rimasta tenacemente in paese, e punirla come rappresaglia per il bombardamento del palazzo Marén

A pochi chilometri vi erano le linee avversarie alleate, e da lì si aspettava la offensiva finale. La situazione rimase in stallo per un  anno intero. Alcuni edifici come la chiesa erano già stati gravemente danneggiati dai bombardamenti americani.

Il 20 gennaio 1945: l’esodo forzato della destra Senio

Il 20 gennaio ebbe inizio l’esodo forzato della destra Senio. Una parte di popolazione se ne andò da Alfonsine, ma un’altra si sistemò alla sinistra del Senio. I tedeschi avevano deciso di minare tutte le case di corso Garibaldi e di piazza Monti: il centro storico del paese di Alfonsine cominciò a scomparire sollevando nel cielo lunghe colonne di fumo nero.

Da una testimonianza di Sandrino (Alessandro Montanari) tratta dal libro "Alfonsine Convegno di Studi sulla Resistenza 11-12 aprile 1974":

In quel periodo ricordo, io e Cassani (Marìi ndr) eravamo passati all’interno della “casa Santoni”. Stavamo osservando quasi da romantici la bella biblioteca intatta quando due tedeschi ci spinsero fuori: “Raus, Raus, pericolo”. Infatti ci accorgemmo che sui pavimenti, tra una porta sventrata e l’altra, erano collegate bombe da aereo con miccie già pronte per scoppiare. Comprendemmo in un attimo ciò che stava per accadere. Ebbene eravamo appena arrivati alla rampa del Senio che il palazzo Santoni saltò in aria fragorosamente e facemmo appena in tempo a gettarci bocconi sull’argine del fiume.”

  La testimonianza di Tonino d’Cài:

Un mattino alle quattro ci svegliarono brutalmente e ci spinsero in fretta e furia nel cortile; ci portarono sulla strada e in fila per due ci fecero oltrepassare l’incrocio di via Mazzini con via Raspona. Oltre l’incrocio, sulla destra, si trovava il magazzino di Argelli detto Fumì, che era stato sventrato dalle granate. Lì ci fecero fermare. Dentro c’erano accatastate bombe da aereo di circa dieci o venti quintali l’una. Ci imposero di prenderne una per ciascuna coppia e di trascinarla per la strada. In questo caso avemmo fortuna perché c’era la neve e così la bomba scivolava senza troppo sforzo. Per eseguire questo compito ci servivamo del filo di rame dell’illuminazione pubblica, caduto a terra per i colpi delle granate: lo legavamo ad un bastone e così potevamo trascinare la bomba con poca fatica. Raggiunto l’argine del fiume lo si scavalcava dalla parte destra del ponte, che era crollato per le bombe; poi si attraversava una passerella: era alquanto stretta e scivolosa e costituiva l’unico collegamento con l’altra sponda. Arrivati all’incrocio con Corso Garibaldi si andava verso destra e s’iniziava a depositare le bombe nelle prime case del Corso, che poi sarebbero state fatte saltare, per distruggere il paese. Un mattino la bomba trainata dalla coppia che ci seguiva, nell’attraversare la passerella, scivolò giù nel fiume provocando un grosso tonfo. Noi proseguimmo continuando a disporre le bombe nelle case, dando ogni tanto un’occhiata dietro di noi, per vedere se i nostri amici erano riusciti a rientrare. Non li vedemmo più. La sera, quando ci si trovò tutti insieme, ci interrogammo per capire cosa potesse essere successo, ma nessuno di noi seppe dare una risposta. Non so se quella coppia di amici sia stata trascinata nel fiume insieme alla bomba; non ne sapemmo più nulla; sperai tanto che si fosse trattato di uno stratagemma per poter scappare, e che il piano fosse riuscito.

 La distruzione del corso continuò ancora per molti giorni, fino a che non si arrivò alla piazza, dove furono messe le bombe anche nella mia casa, nella chiesa, nel comune, nella casa di Santoni e nella pescheria. Solo le abitazioni di un lato della piazza furono risparmiate, dalla casa di Sgarbi fino al porticato del Credito Romagnolo. Io credo che la distruzione del paese fu incompleta solo per la mancanza di bombe, altrimenti sarebbero riusciti a distruggerlo interamente.

Ho sempre pensato che i motivi per cui i tedeschi erano arrivati a questo punto non fossero quelli militari, ma che ci fosse una ragione più profonda: secondo me era quella di vendicarsi del popolo alfonsinese che si era prodigato tanto per ostacolarli e agevolare l’avanzata degli alleati.”

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Inizio febbraio 1945 – La chiesa e il caffè d’Cai sono un cumulo di macerie. Si vedono sullo sfondo il teatro “Aurora”, l’asilo parrocchiale e in primo piano la Canonica , che subirono la stessa sorte.

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Piazza Monti 1945: Casa del fascio e Municipio distrutti
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La chiesa ancora in piedi e la canonica colpita da una bomba
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Le macerie del palazzo d'Marén (1945)
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Piazza Monti 1945: Casa del fascio, Municipio e Palazzo Santoni distrutti. Oltre l'argine la Casa del Popolo
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Piazza Monti 1945: Casa del fascio distrutta
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Piazza Monti 1945

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Piazza Monti come appariva dopo i bombardamenti americani e le mine tedesche al 1° aprile 1945. Questa è la via "Viuléna" vista dall'argine del fiume Senio. Gli edifici rimasti in fondo da sinistra sono l'ex Cinema Corso, dove oggi (2002) c'è il bar "la Perla", e dietro la Pizzeria "la Cantina". 

Prima della guerra vi erano alcuni negozi, tra i quali il bar gelateria di Fiocchi, mentre il resto dell'edificio era stata prima la cantina di Maré  (i Marini), poi la cantina di Federico Mirri d' Massa, commerciante di vini, e poi di Ernesto (Arnisté), genero di Federico perché ne aveva sposato la figlia Norma Mirri. Ernesto Contessi ereditò il mestiere di suo suocero e fece il commerciante di vini.  Ebbero una figlia Federica, moglie di Marino Marini. Più a destra i portici dove oggi c'è la Farmacia. Si intravede via Roma, e l'edificio che fu tabaccheria e poi dolceria.

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Questa è la foto di ciò che restava del Municipio   

Alfonsine distrutta 17-20 gennaio 45

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Foto fatta da un aereo degli Alleati Americani il 4 febbraio 1945.  
Da alcuni mesi qui era fermato il fronte
Alla fine del mese di gennaio,  Alfonsine veniva rasa al suolo dalle mine dei tedeschi.

Si noti al centro la macchia chiara: è piazza Monti, il centro del paese prima della guerra. Il fiume Senio taglia in due il paese. 
La strada diritta a destra è "Lo stradone della chiesa"
(Corso Garibaldi). 
A sinistra i vari borghi: le Borse, il Borghetto (via Mameli e via Mazzini), poi i Sabbioni.

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Piazza Monti nel 1945, subito dopo la distruzione

 

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