|
Alfonsine | Ricerche
sull'anima di Alfonsine | Strade,
ponti e edifici pubblici |
| Foto
aeree e panoramiche
| La
2° Guerra Mondiale
|
Libri su Alfonsine
(scritti da alfonsinesi) |
|||||
(scritto da Luciano Lucci) |
Un
libro sulla Settimana rossa
alfonsinese |
(scritto
da Tonino Pagani) |
Un
libro su Alfonsine: "E café d'Cai" |
Un libro su Fetonte, un giovane semidio caduto sulle 'terre alfonsine' |
Questo sito è ideato e gestito interamente da Luciano Lucci
Come vennero distrutte
corso Garibaldi e piazza Monti
Per
saperne di più
Foto aerea di Alfonsine del 1944
La chiesa Santa Maria
|
La popolazione non obbedì ai tedeschi: in molti non sfollarono Già ai primi di gennaio 1945 un ordine del comando tedesco aveva intimato lo sfollamento generale dell’intera popolazione di Alfonsine: ”Ordine tassativo: sfollare entro tre giorni verso Argenta e oltre il Po. Chi trasgredirà a tale ordine verrà fucilato immediatamente perché ritenuto partigiano.” I tedeschi non ne potevano più di avere proprio sulla linea del fronte, dentro il paese, gruppi di partigiani che continuamente disarmavano tedeschi, a volte ne uccidevano qualcuno, giustiziavano i collaborazionisti, facevano manifestazioni, divulgavano stampa clandestina, reclutavano nuove forze, passavano informazioni agli alleati. Ma il PCI clandestino decise di resistere e, dopo aver informato il CLN locale che fu d’accordo, diede indicazione di non obbedire all’ordine dei tedeschi. Dato che i comandi tedeschi al fronte venivano cambiati ogni 15-20 giorni e ogni nuovo comandante subentrava al precedente con nuove idee sue, si riuscì per un po’ a evitare qualsiasi forma di rappresaglia. Il Comando Tedesco era in quei giorni gestito dalle SS che avevano avuto il compito di mettere più sotto controllo la situazione alfonsinese. La loro sede era il Palazzo d’Marén, in corso Garibaldi. Il Palazzo d’Marén, (detto anche Preda o dell'Ebe) in
Corso Garibaldi: La
sera del 16 gennaio
ci fu un avvicendamento dei soldati. Arrivò un nuovo reparto e un nuovo
maggiore delle SS. La notizia arrivò anche ai dirigenti del movimento
partigiano che avevano la loro sede nel Municipio, dove avevano allestito il
pronto soccorso, e si erano mimetizzati da infermieri e soccorritori.
Tramite i loro canali di comunicazione fatti di staffette e radio
trasmittenti informarono gli alleati che era appena arrivato il nuovo
comandante delle SS e che avrebbero potuto bombardare l’edificio. Il 17 gennaio 1945 una bomba centrò il palazzo di Marén, in Corso Garibaldi ad Alfonsine La
mattina del 17 gennaio un aereo anglo-americano arrivò a bassa quota da
nord lungo l’asse di Corso Garibaldi e bombardò con un unica bomba il
palazzo, sede del comando tedesco. Rimasero uccisi vari tedeschi delle SS,
tra cui il comandante, e alcuni civili che abitavano nel palazzo. Molti
altri che erano rifugiati nei sotterranei si salvarono. I poveri resti
di un soldato che era di guardia sul marciapiede si spiccicarono nella
cancellata delle scuole elementari poste al di là della strada. Ecco come ha descritto la scena Tonino d’Cài nel suo libro di memorie: “Un
mattino, mentre stavamo macellando, udimmo un aereo sorvolare il paese a
bassa quota e distinguemmo, fra il rumore che provocava, un colpo sordo:
come quello di una fucilata o di una bomba non esplosa. Ci avvicinammo alla
finestra ma non vedemmo nulla di strano e tornammo al nostro lavoro. Dopo un
quarto d’ora circa arrivò al pronto soccorso un ragazzo con la testa
fasciata, un ragazzo che noi tutti conoscevamo: era Livio. Ci raccontò con
tremore che quell’aereo aveva sganciato una bomba e aveva colpito il
palazzo d’Marèn dove, nel sotterraneo, si trovavano decine e decine di
persone, e la notte prima era arrivato anche un comando delle SS. A questo
punto andammo di corsa con le barelle. Arrivati al palazzo non riuscivamo a
capire in che modo la bomba lo avesse colpito, dato che non si vedeva alcuna
rottura nella costruzione. Salimmo la bianca gradinata che portava al
portone principale: la porta era divelta, ci affacciammo e rimanemmo
sbalorditi nel vedere l’interno del palazzo colmo di macerie e cadaveri di
militari e civili. Seppi, in seguito, incontrando in piazza due miei
compagni e amici partigiani (Marii e Fiamett) mentre stavano entrando nella
casa di Pitade’ (evidentemente di nascosto), che erano stati proprio loro
a segnalare, tramite radio trasmittente, la presenza del comando S.S. nel
palazzo di Marèn. Quel giorno ci fu un lavoro immenso per noi: per ore e
ore togliemmo macerie ed estraemmo cadaveri di civili e di S.S.. Portammo i
morti al terzo piano del Municipio e li ripulimmo; i militari furono portati
via dai loro camerati, mentre i nostri civili furono seppelliti
provvisoriamente dietro al mercato coperto. Per fortuna una parte del
sotterraneo aveva resistito e non era crollato, altrimenti avrebbe ucciso
altre decine di persone. Da quel momento i tedeschi divennero feroci: avevano la prova certa che i partigiani di Alfonsine erano in contatto col comando alleato e che avevano passato l’informazione per quel bombardamento mirato. La rappresaglia questa volta ci fu, anche se fortunatamente, non contro le persone: fu emesso un secondo ordine di sfollamento strada per strada, chi si fosse rifiutato sarebbe stato inviato in un campo di concentramento in Germania. In seguito, dopo la guerra fu detto che i tedeschi volevano avere la visuale spianata verso il fronte nemico, che era appostato sul fiume Lamone, a sud, per poter sparare con i cannoni. In realtà non ne avevano bisogno perché i loro avamposti erano posizionati sul Canal Naviglio, secondo la testimonianza di Giuseppe (Pino) Mascanzoni. Lui era tra gli alfonsinesi rastrellati dai tedeschi, che posizionarono il filo spinato lungo l'argine del Naviglio. Il motivo di quella distruzione in realtà fu determinato dal voler far sfollare tutta la popolazione, che invece era sempre rimasta tenacemente in paese, e punirla come rappresaglia per il bombardamento del palazzo Marén A pochi chilometri vi erano le linee avversarie alleate, e da lì si aspettava la offensiva finale. La situazione rimase in stallo per un anno intero. Alcuni edifici come la chiesa erano già stati gravemente danneggiati dai bombardamenti americani. Il 20 gennaio 1945: l’esodo forzato della destra Senio Il 20 gennaio ebbe inizio l’esodo forzato della destra Senio. Una parte di popolazione se ne andò da Alfonsine, ma un’altra si sistemò alla sinistra del Senio. I tedeschi avevano deciso di minare tutte le case di corso Garibaldi e di piazza Monti: il centro storico del paese di Alfonsine cominciò a scomparire sollevando nel cielo lunghe colonne di fumo nero. Piazza Monti 1945 un click sull'immagine per vederla ingrandita Piazza Monti come appariva dopo i bombardamenti americani e le mine tedesche al 1° aprile 1945. Questa è la via "Viuléna" vista dall'argine del fiume Senio. Gli edifici rimasti in fondo da sinistra sono l'ex Cinema Corso, dove oggi (2002) c'è il bar "la Perla", e dietro la Pizzeria "la Cantina". Prima della guerra vi erano alcuni negozi, tra i quali il bar gelateria di Fiocchi, mentre il resto dell'edificio era stata prima la cantina di Maré (i Marini), poi la cantina di Federico Mirri d' Massa, commerciante di vini, e poi di Ernesto (Arnisté), genero di Federico perché ne aveva sposato la figlia Norma Mirri. Ernesto Contessi ereditò il mestiere di suo suocero e fece il commerciante di vini. Ebbero una figlia Federica, moglie di Marino Marini. Più a destra i portici dove oggi c'è la Farmacia. Si intravede via Roma, e l'edificio che fu tabaccheria e poi dolceria.
Questa è la foto di ciò che restava del Municipio Alfonsine distrutta 17-20 gennaio 45Foto
fatta da un aereo degli Alleati Americani il 4 febbraio 1945. Si noti
al centro la macchia chiara: è piazza Monti, il centro del paese prima
della guerra. Il fiume Senio taglia in due il paese.
|
| Alfonsine | Ricerche sull'anima di Alfonsine | Strade, ponti e edifici pubblici | Foto aeree e panoramiche | La 2° Guerra Mondiale | Piazza Monti |