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Il '68 alfonsinese ... secondo Luciano Lucci ‘Fu
come vivere in un frullatore...’ di
Luciano Lucci
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Per me il '68 non è un anno ma uno stato d'animo. Avevo poco più di vent'anni e sentivo che ogni cosa che facevo, che provavo, che pensavo era la stessa che condividevano milioni di altri giovani sparsi per il mondo. E’ certo che quella fu una stagione di idee (pacifismo, giustizia sociale, libertà individuali, diritti) e di sensibilità (immaginazione, creatività, fantasia, desideri) che ha avuto un lungo effetto attraversando anche le generazioni successive.
Per me, giovane alfonsinese, già proiettato nella Bologna universitaria, quella fu anche l'epoca del rapporto con la spiritualità e con quel pretino vivace e simpatico dal nome così rapido, Don Vitt, che era parroco della Chiesa Sacro Cuore di Alfonsine. Don Vitt C'era stato Papa Giovanni XXIII, il Concilio Vaticano II, pieno di spirito innovatore e con l'idea di rilevare ciò che c'è di buono nella cultura contemporanea, aprendo una nuova fase di dialogo col mondo moderno, cercando innanzitutto "ciò che unisce invece di ciò che divide". Attorno a Don Vitt si formò un gruppo di giovani che cominciarono a proporsi come comunità per tutti i fedeli. Quel gruppo di giovani, ragazzi e ragazze, condivise con lui un'esperienza di intensità unica, carica di energia, di momenti di grazia e di fede. L'idea nuova che fin da giovanissimi Don Vitt cercò di imprimerci bene nel cuore era che Gesù è in ogni persona, compresi noi stessi: un Gesù quindi veramente umano, quindi vicino, "fratello" per dirla con una parola fin troppo usata. Ciò rendeva possibile a ogni persona cercare la "divinità" dentro di sé e nei rapporti interpersonali. Ci sentivamo come dèi e ci comportavamo come tali. A
Loppiano coi ‘Focolarini’ e Guccini Un
giorno Don Vitt ci portò ad incontrare la comunità dei 'Focolarini', a
Loppiano in Toscana. Proprio a Loppiano era sorta da pochi anni
la prima cittadella del 'Movimento dei Focolari'. Venimmo in contatto
con ragazze e ragazzi di tutto il mondo che vivevano lì un'esperienza
comunitaria secondo lo spirito vero del Vangelo, offrendo un cristianesimo
della gioia, della semplicità. Erano giovani che vivevano a contatto con la
natura, in piena libertà e pieni del mito di Gesù. Una vera comune, come
quelle di cui avevamo sentito narrare in America, nel movimento hippy. Là,
quel giorno incontrammo Francesco Guccini, anche lui in visita a quella
comunità cristiana. Fu invitato a cantare "Dio è morto", con la
partecipazione corale di tutti. E pensare che in TV era un brano ancora
censurato. Per me fu come
un'illuminazione. Don Vitt ci stava insegnando a vivere la fede nella vita
quotidiana, nella storia del nostro tempo. I
problemi sociali, le lotte operaie, il Vietnam, Insieme a molti altri ragazzi e ragazze alfonsinesi legammo la nostra religiosità alla teologia della libertà dei paesi del terzo mondo: e quando qualcuno di noi scrisse sulla facciata della chiesa a vernice rossa "La chiesa è dei poveri" , Don Vitt ci corresse direttamente durante l'omelia in chiesa, dicendo che la nostra "è la chiesa dei poveri", non che "la chiesa è dei poveri". Non fu semplicemente una gioco di parole, per accontentare capre e cavoli: in quel modo Don Vitt segnò l'avventura, in cui alcuni poi si tuffarono nel 1968, di nuovo con tutta la passione di cui erano capaci: i problemi sociali, le lotte operaie, il Vietnam, il movimento studentesco. Forse è per merito di Don Vitt ("Gli ultimi saranno i primi, ma non i soli"), che riuscimmo a salvarci l'anima da quel periodo turbinoso, che vide molti di noi, cattolici della comunità del Sacro Cuore, attivamente coinvolti nelle lotte studentesche e operaie di quel momento. L'approfondimento delle letture (Vangelo, Encicliche, documenti del Concilio Vaticano II), che Don Vitt chiamava a fare, cominciò a portare alcuni verso limiti non accettabili dalla chiesa-istituzione. Emerse una visione radicale del Vangelo e del Concilio Vaticano II che spingeva ad ancora "piu' oltre". Noi ritenevamo possibile raggiungere stati di grazia estatici rendendo alcuni sacramenti più vicini al nostro modo di sentire, e modellati sulle prime comunità cristiane: l'eucarestia e il rito della messa praticate in luoghi naturali e non solo in chiesa, il rito dello spezzare il pane di bere il vino praticati come se fossimo a un semplice e comune banchetto, la confessione come pratica intima con la propria coscienza senza il bisogno del sacerdote, la sessualità, anche fuori dal matrimonio, vissuta come atto d'amore e mai come peccato, per cui non era più necessario confessare alcunché… Questi erano i temi in discussione e diventarono terreno di scontro con Don Vitt. Federec, Prist e Pasò, Mostar: la proletarizzazione degli studenti Quando Guido Pasi e Rino Montanari cominciarono a frequentare le riunioni in parrocchia introducendo anche il tema del rifiuto del consumismo, della guerra in Vietnam e del capitalismo io ero già pronto per fare il salto nel Movimento Studentesco e nel mondo. Iniziammo con il volantinaggio davanti al 'Milleluci' per manifestare la nostra indignazione per l'invasione della Cecoslovacchia, i 300 studenti assassinati dalla polizia a Città Messico, e la guerra in Vietnam. Non furono contenti i compagni comunisti alfonsinesi di quella uscita. Chi eravamo noi al di fuori del partito da permetterci di compiere una simile azione, proprio davanti alla loro sala da ballo? Fu quello il primo segnale di uno scontro che avrebbe marcato per decenni i rapporti tra noi e i ‘comunisti’ del PCI locale. Ci si trovava all'osteria del 'Gallo', in piazza Monti, dove con gli amici dell'infanzia, quasi tutti operai della 'Marini' entrammo presto in sintonia 'politica' nonostante noi fossimo 'studenti'. Tra un bicchiere di vino e un piatto di tagliatelle servite anche a mezzanotte dall'oste 'Gigiò' assaporavamo pure il gusto di sentirci ribelli. '.... ci si trovava all'osteria del 'Gallo', in piazza Monti, dove con gli amici dell'infanzia, quasi tutti operai della 'Marini' entrammo presto in sintonia 'politica' nonostante noi fossimo 'studenti'...' Quello fu anche il periodo di grandi viaggi, alla ricerca di spiagge libere e di piccoli grandi amori (da Casalborsetti al Lago Balaton, da Parigi a Manchester, da Budapest a Praga, a Bucarest, a Mamaia). Fu il periodo di gelato e nutella usati come un pasto bohémien, della vita universitaria bolognese in abitazioni zingare, di libri, di cinema, di feste e concerti, di occupazioni di università e di piccoli scontri con la polizia, di grandi amori e di grandi abbandoni. Insomma furono quelli gli anni in cui anche tanti giovani alfonsinesi ebbero l’opportunità di vivere come in un frullatore, con cui si stava provando a mescolare insieme psichedelia e rock, Nietzsche e Marx, Zen e sesso, Cristo e Che Guevara, il comunismo e l'altra America, Bob Dylan e Luigi Tenco, l'ecologia e la mitologia. Vissero di slanci, di energia e di nutella e non riuscirono più a essere normalizzati. 9 MARZO 1969: ARRESTATI DUE GIOVANI ALFONSINESI Potevano mai sperare tutti i giovani ribelli alfonsinesi, cattolici del dissenso, marxisti antisovietici, operai antisistema e nuovi aspiranti hippy, di trovare eroi senza macchia e senza paura più caserecci di quei due ‘tabècc’? Nell'impossibilità di essere normali Prist (Rino Montanari) ed io (Luciano Lucci e non 'Lucchi') ci ritrovammo a fare gli eroi in una facoltà occupata. Dentro, per la notte, eravamo rimasti in sei, pur sapendo che il giorno dopo sarebbero arrivati i poliziotti per lo sgombero. Dicemmo a noi stessi che si doveva far consumare la repressione, e quindi restare e farsi arrestare! Arrivarono all'alba, pile in faccia e trasporto in questura su un cellulare che attraversò Bologna al risveglio, a sirene spiegate. Mi sembrava di essere in un film. La notizia arrivò al paese natale con articoli sul Carlino e l'Unità: 'Arrestati due giovani alfonsinesi'. Ci sentivamo come due eroi... Era finito il 1968! Dopo fu tutta un'altra storia. (cliccare
o toccare per vedere le immagini ingrandite) Testo del tribunale A Milano primi anni '70: Mostar, Archi, Pasò, Wilma Federec, Mostar, Pasò, Sanzio, Prist
e Mostar in tenuta da Cangaçeiro e Gessi Ettore Poi ci ritrovammo tutti alla Tarabba (cliccare o toccare le immagini per averne un ingrandimento)
Nel
'57 il treno andava a Mosca, e noi nel '77, invece, alla 'Tarabba'
sull'Appennino tosco-romagnolo a guardare tramontare "Il sol
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