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Alfonsine


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Chi era Marino Marini  

di Luciano Lucci  

(un click o un tocco sulle foto per ringrandirle)

Marino Marini nacque ad Alfonsine il 30 maggio del 1907. Suo padre Giuseppe e sua madre Carolina abitavano in affitto in corso Garibaldi dove oggi c'è il bar del "Corso". Un paese in maggioranza di braccianti, muratori e disoccupati ha la propria gente sempre in movimento, come capita di veder nei paesi del terzo mondo ancora oggi.

La bicicletta sarebbe stato il nuovo mezzo di trasporto più adatto e alla portata di tutti: bastava crearlo. Giuseppe Marini ci provò. Riadattando il negozio di pompe funebri situato sotto casa in bottega da biciclette iniziò a produrle in proprio. Sotto il simbolo delle ali angeliche che facevano da logo pubblicitario per il negozio di pompe funebri fece disegnare due ruote di bicicletta e la scritta cubitale "GIUSEPPE MARINI COSTRUTTORE E NOLEGGIATORE CICLISTICO ALFONSINE". Una bici due bici il lavoro decollò, e gli alfonsinesi cominciarono ad andare in bicicletta.

La bottega si trasformò in piccola fabbrica, i Marini nel 1914 si costruirono una casa in piazza Monti, con annesso negozio e bottega di lavoro. Furono assunti i primi operai: Lucamò, Montagna...

 

 

Creatività e movimento, metamorfosi e surfismo (cavalcare l'onda) ecco gli ingredienti di cui si nutrì Marino Marini negli anni dell'infanzia.

Tra i tre fratelli (Marina la più grande, Roberto l'ultimo arrivato) lui si distingueva per un caratterino tutto pepe.  
Da  adolescente partecipò a qualche corsa ciclistica locale, sponsorizzando così le bici del padre.

La linea di bici ottenne un notevole successo anche fuori del paese di Alfonsine. Le “bici Marini” diventarono un marchio riconosciuto a livello provinciale e anche nazionale. 

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Nella foto qui sopra Marino in bicicletta da corsa tutta cromata in corso Garibaldi.
Le case nello sfondo erano quelle del dott. Preve, di Antonio Lucci e Mario Minarelli, e della Giavlètta, (Anna Rambelli) 

  

Carolina Arniani e Giuseppe Marini

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"... abitavano in affitto in corso Garibaldi dove oggi (2007) 
c'è il bar del Corso"



GIUSEPPE MARINI COSTRUTTORE E NOLEGGIATORE CICLISTICO 
MACCHINE (o ALFONSINE?)

 

 

 

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La bottega nuova con abitazione annessa.

 

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Una bici "Marini" del 1915 ancora in vita, in possesso di un collezionista: Paolo Marchioni Via Provinciale per Finale, 55 Formignana  FE 3358132446 paolomarchioni@libero.it

La vetrina del negozio nella nuova casa

Intanto gli affari di famiglia andavano bene e dalle bici il padre passò alla costruzione di ciclomotori per soddisfare la parte di popolazione più ricca. Così mentre gli spostamenti di piccoli commercianti, e artigiani avvenivano con carretti tirati da cavalli, qualche impiegato pubblico o proprietario terriero si buttò sulla motocicletta.

Nel 1923 fu presente con una gamma di motori al salone dell’Auto della Fiera Campionaria di Milano. Per oltre un quinquennio la produzione di motociclette proseguì ad Alfonsine, non più nella piccola bottega artigianale sottostante l'abitazione del suo fondatore e manager, ma in nuovi attigui locali, illuminati dai bagliori dei successi agonistici e dalle lusinghiere commesse provenienti dalle più importanti esposizioni alle quali la ditta Marini partecipava con propri stands alla stregua delle più conosciute marche di motociclette.  

Fu chiamato 'motocicletta' e vide la luce nel 1925, anno nel quale Giuseppe Marini iscrisse la propria ditta all'Albo nazionale Case costruttrici. Questo modello, interamente creato, dai metalli di fusione alla verniciatura, nella bottega di Alfonsine, era provvisto d'un avanzato motore monocilindrico, a due tempi, con caratteristiche d'avanguardia, come i due carburatori che consentivano sentivano al mezzo brillanti prestazioni. Tanto che si creò il modello "Sport" e "Super Sport", idoneo alle competizioni.  

(1923) Giuseppe Marini sopra una delle sue moto in piazza Monti davanti alla sua casa.
Il ragazzino dietro con la maglietta a strisce era Antonio Grilli (babbo della prof. Grilli), lì ancora tredicenne e che diventerà uno dei primi operai della fabbrica di macchine stradali.

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Basigli e Giuseppe Marini

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Un esemplare della motocicletta «Marini Turismo» (propr. Farolfi)  

Si formò in quegli anni la scuderia Marini con il figlio Marino, il veterano­ Giovanni Basigli - che aveva già corso nel 1912 nella scuderia "Reve" e poi con la "Frera" - e Virgilio Finessi, i quali divennero corridori ufficiali della Marini. 

Nel 1926 Finessi giunse primo nel circuito dei Tre Monti, una prestigiosa quanto difficoltosa gara sulle colline imolesi, cui partecipò con una "Marini Super Sport". Anche al nazionale Circuito del Savio una motocicletta Marini giunse vittoriosa al traguardo. La pilotava Basigli che poi vinse nelle gare di Faenza Forlì e tante altre..

Un vecchio anarchico Tancredi Minarelli detto Plopi, che gestiva una carrozza di pompe funebri, vendette a Giuseppe Marini un vecchio palazzo, che era stato Circolo dei Monarchici, ai tempi la Settimana Rossa del 1914. Qui fu collocata la nuova fabbrica di moto "Marini". 

Il giovane Marino iniziò allora a cimentarsi come motociclista e corridore in qualche gara al circuito del Savio, con la moto Marini. (Foto a destra)

 

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Marino Marini, figlio di Giuseppe, in tenuta da motociclista

Una poesia di Marino a commento della foto qui a sinistra

 tratta da "Sunend l'urganê" ed. sett. 1981

LA MI MUNTURA

20 ên,cambra d'aria
a travers,
un giachèt
ad pêl,
bragû a la zuava,
fêz grigio-verdi
da suldê;
                   mè!
e, e mi mutor
a S. Marên
in piaza
d'la Libertê
a'so rivê,
nech sê e
mutor là duvû pipê       

LA MIA DIVISA

20 anni, camera d'aria
attraverso,
un giacchetto
di pelle,
pantaloni alla zuava,
fascie grigio-verdi
da soldato;
                  io!
ed il mio motore
a S. Marino
in piazza
della Libertà
sono arrivato,
anche se il
motore ha dovuto faticare

Alla fine degli anni '20 Marino Marini fu segretario dei giovani fascisti.

Si occupava di organizzare incontri di calcio, le iscrizioni dei giovani al partito, l'organizzazione di feste.

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Nella foto sopra il gruppo avanguardisti durante il servizio premilitare, nel campo sportivo dell'ex-mercato in Corso Garibaldi. Dal basso, in seconda fila, il secondo da sinistra è Marino Marino. 

In alto al centro il centurione Tonino Camanzi.

 

La gioventù

 
(un click o un tocco sulle foto per ingrandirle)

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Da sinistra: Federica, Marino, Linda e Vincenzina Lucci

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Marino Marini sull'attico di casa sua in Piazza Monti. 

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Marino, il primo da destra, con il gruppo di amici di Piazza Monti
Nando Focaccia, Luigi Baldrati, Antonio Monari, Lorenzo Servidei, Antonio Cairoli; in alto Bartolotti Silvio

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Marino, Romana, ?, Federica, Linda, Faggioli, ?:
 a una festa nel teatro del Corso

Nel 1932 sposò Federica Contessi da cui ebbe due figlie Maria Grazia e Marinella.

Abitarono nel palazzo Contessi, in corso Garibaldi, per tutto il periodo anteguerra. Nel dopoguerra abitarono in piazza Monti con la madre nel palazzo costruito dal padre Giuseppe.

Da quel momento Marino lavorò insieme al padre nella conduzione della fabbrica.

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Anno 1932: matrimonio di Marino Marini con Federica Contessi 

Un padre dalla mente vulcanica

 La mente vulcanica del padre, nel frattempo, aveva intuito che la crescita dei trasporti su gomma avrebbe condizionato gli anni futuri dello sviluppo in tutto il mondo. Così pensò di dedicarsi a un nuovo progetto: la produzione di macchine per asfaltare le strade.

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Corso Garibaldi: anni '30 prove tecniche di asfalto
 

Marino si inserì nell'attività del padre che stava ottenendo una notevole espansione dalla produzione di queste nuove macchine. Agli inizi degli anni '40 con le varie sconfitte della guerra in Africa e poi con la caduta del fascismo arrivarono le prime difficoltà. 

 

La tragedia del maggio 1945

La guerra e l'occupazione tedesca videro i Marini costretti a mettere a disposizione della TODT (l'organizzazione logistica tedesca) la loro fabbrica e i loro operai. La fabbrica subì vari bombardamenti. Il lavoro chiesto dai tedeschi servì anche a far sì che gli operai assunti da Giuseppe Marini evitassero la deportazione in Germania. Chissà se fu questa la causa scatenante della tragedia che colpì la famiglia Marini del maggio del 1945. 

Appena finita la guerra Giuseppe Marini tornò alla propria casa. 

Ma la sera del 5 maggio 1945 si presentarono con un automezzo e bussarono alla porta due sconosciuti. 
Secondo la testimonianza di Germana Santoni Faggioli i due erano armati di pistola che tenevano nella tasca dei pantaloni, avevano blusotti scuri e il fazzoletto rosso annodato al collo (pag. 69 "... Poi riprendemmo a vivere" ed Regione Letteraria 1974).

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Giuseppe Marini  

 

 

     

 Carolina Arniani

 

Quando fu loro aperto entrarono e chiesero l'identificazione di Giuseppe Marini. 
Fu invitato a seguirli per accertamenti. Insieme ai due fratelli Santoni, e a Stefano Mingazzi fu caricato su un piccolo autocarro e fatto scomparire nel nulla. 

I loro corpi crivellati di colpi saranno trovati solo nel 1961, con le mani legate, sepolti lungo l'argine della Canalina, nella campagna alfonsinese. 

Marino Marini e il fratello Roberto si trovarono addosso la responsabilità di continuare o no l'attività della fabbrica ad Alfonsine. Fu la madre Carolina a convincerli a rimanere ad Alfonsine. Marino Marini e Roberto obbedirono alla volontà della madre e riaprirono l'attività della fabbrica.

 

Un grande sviluppo per la ‘Marini’ nel dopoguerra

 Marino Marini si rivelò ben presto uno capace di cogliere le opportunità del dopoguerra e riuscì col fratello Roberto a rilanciare la fabbrica ottenendo una crescita continua. Sfruttando le condizioni favorevoli del mercato e la capacità degli operai di dare un servizio esclusivo, come l'assistenza in loco sia nel montaggio che nella manutenzione delle macchine, la ditta ‘Marini’ si attestò tra i primi produttori mondiali di macchine stradali. La grande produzione di impianti, e anche il complesso coordinamento di approvvigionamenti e di vendite, tipiche di una vera grande fabbrica moderna, non impedirono a Marino di mantenere un buon rapporto umano e paternalistico con i suoi operai, come era nel suo carattere.

Un’anima sognante

 Il personaggio Marino Marini va ricordato soprattutto per come fu capace di trasformare i denari in sogni.  

E quei sogni sono ancora a disposizione di tutti; basta leggere le sue poesie in dialetto alfonsinese, alcune delle quali le creò su un bragozzo trasformato in capanno da pesca in un canale delle valli di Comacchio. Preso dalla storia fantastica della mitica città di Spina finanziò una società archeologica tesa a scoprirla. Nonostante i molti scavi fatti nella zona di Anita e nella bassa Romagna, non trovò Spina, ma scoprì i primi insediamenti di quella che fu la riviera della Romagna proto storica.  Sempre col suo contributo economico e con l'impegno personale avviò gli scavi del porto romano di Classe, fu generoso restauratore della casa natale di Vincenzo Monti, ma soprattutto si diede alla ricerca e al restauro degli organi meccanici, realizzando a Savio di Ravenna un museo di strumenti musicali meccanici, unico nel mondo.

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La fabbrica Marini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Marino Marini in primo piano durante lavori di scavo nel podere Boccagrande, 
alla ricerca della città perduta di Spina

Enzo Tortora 
scrisse di lui

 Così scrisse di lui Enzo Tortora nel 1972 sul giornale " La Nazione " di Firenze. "Se dovessi compilare un catalogo dei pochi contemporanei ai quali valga pena di stringere la mano e dire "grazie", metterei forse in testa proprio lui, Marino Marini. Questo romagnolo di Alfonsine, grande costruttore di macchinari per la messa in opera di strade, sempre qua e là per il mondo, un giorno in Uganda, un giorno non so dove, a sorvegliare che tutto scorra su quei nastri d'asfalto che si chiamano "civiltà", ha scelto al contrario per se stesso una "strada" che non porta al futuro, ma al passato. 

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Marino Marini in Messico per l'acquisto di un organetto

Così ha voluto dedicare ai suoi sogni di ragazzo il più straordinario museo che esista al mondo: quello degli strumenti musicali meccanici. C'è davvero qualcosa di candido, di sorgivo, d'innocente nel sorriso di Marini quando ti spiega perché lo ha creato. Ne ha radunati, scovandoli in tutto il pianeta, con una caccia minuziosa e paziente (il suo è stato ed è il safari musicale più commovente del secolo) a centinaia. Vederli (ma soprattutto sentirli) è come fare un tuffo nel passato: come se gocciolassero, argentine, piccole perle di nostalgia."

La figlia Maria Grazia ci ha raccontato un episodio significativo riguardo a questa caccia all’organo meccanico. Un giorno Marino, mentre guardava un film western con Brigitte Bardot come protagonista, notò che nel saloon un pianista usava un organo meccanico, facendo solo finta di suonare.  Marino rimase folgorato, decise di trovarlo e portarselo a casa. Viaggiò in lungo e in largo, finché arrivò a New Orleans in Louisiana e ritrovò quel piano che ora si trova nel suo Museo.

ultima-di-Marino.jpg (378918 byte) Dato che us'pò scapuzê
in't'la môrt in prisia, che 
dè, me, in pigiama, int'una cassa 
da puret, piazê in s'un caret
du di mi urgan am purtarì
a e zantiri. Me in testa un 
Prit sobit d'rï, e chi'etar se
j'avrà v'nï. Un organ par
 intercalè a'gl'uraziô de prit.
An' voi murturi, an voi esar
 sblachê in's'la muraja, 
gnit avis, gnit ringrazia
ment, gnit in ti giurnêl
da strupês e cùl.
        An'd'mènd êtar!
                    Marino
    un dè da viv!
Dato che si può inciampare nella morte in fretta, quel giorno, io, in pigiama, su una cassa da poveretti, messi su un carretto due dei miei organi mi porterete al cimitero. Io in testa un prete subito dietro, e quegli altri se vorranno venire. Un organo per intercalare le preghiere del prete. Non voglio annunci mortuari, non voglio essere spiccicato sul muro, niente avvisi, niente ringraziamenti, niente sui giornali da pulirsi il culo.
          Non chiedo  altro!
                  Marino
         un giorno da vivo!

Il funerale

Verso la fine degli anni '70 si impose la necessità di avviare una fase nuova di ristrutturazione della fabbrica. Si trattava di eliminare gli sprechi, abbassare i costi di produzione, eliminare dalle produzioni interne ciò che ormai il mercato offriva sempre più a prezzi inferiori, e trasformare la fabbrica verso una produzione meno integrata. Negli anni '80 la crisi precipitò, e anche Marino, gravemente ammalato, si sentì ormai alla fine. Se ne andò da lì a pochi mesi, tra la notte del 5 e 6 maggio del 1985, lasciando ad altri il compito di traghettare l’azienda verso il nuovo millennio. Il funerale fu imponente, con il suo corpo avvolto da un lenzuolo in una bara spartana posta su un carretto trainato da amici e operai, a indicare un mondo che non c’era più: il mondo dove aveva imparato a sognare.

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