Le
cose del tempo si rovinano, invecchiano, deperiscono, e poi si
modificano, cambiano, passano, si corrodono, lasciano un qualche
segno, si trasformano e mostrano al mondo tutte le loro rughe e le
loro cicatrici.
Il
decadimento fa parte dell’essere. Tutto diventa rudere, crolla, si
disfa con uno splendore tremendo e sublime al tempo stesso.
In
quanto vestigia di un’epoca che non esiste più, un tempo le
“rovine” erano salvaguardate e protette, oggi (complice la
modernità) vengono classificate invece come “degrado”, e il
“degrado”, c’è poco da aggiungere, è un qualche cosa che è
sempre meglio “rimuovere”, sia in senso letterale che in quello
freudiano.
Bisogna
fare ordine, pulizia, dare un senso a ogni cosa, demolire,
ricostruire, spiegare, condurre a “buon fine”, riportare tutto
alla sua dimensione originaria.
Dice
Roberto Peregalli: “Il degrado va rimosso. Un ambiente degradato
è un luogo dove può succedere di tutto, in cui la vigilanza
scompare, la sicurezza viene meno. Il degrado è un’onta per una
civiltà che fa del “grado” di progresso il suo vanto nel mondo”.
Stretti
tra i nostri desideri d’infinito e il timore per la fragilità delle
persone e dei luoghi, noi pensiamo che ogni rudere abbia bisogno del
suo bel restauro. Non è necessariamente così, diciamo pure che non
lo è proprio per la maggioranza dei casi. E i buoni propositi poi, mi
permetto di suggerire, sono quasi sempre una sciagura, molto spesso
soltanto un vago pretesto per continuare ad occupare il nulla che ci
circonda.
In
fondo a Via Passetto, proprio all’incrocio con il fiume Reno, c’è
il nostro rudere più importante e più carico di misteri. Sto
parlando del Molino del Passetto, detto anche “degli Spreti”, il
più antico edificio alfonsinese oggi ancora in circolazione.
La
campagna romagnola è piena di “ruderi” semplici, non
necessariamente nobili, “ruderi” che non servono a niente e a
nessuno e che non possono più essere sfruttati, manipolati, ma
soltanto cancellati da una ruspa.
Non
so se anche il Molino del Passetto rientra in questa categoria. Non lo
so, ma probabilmente nell’indifferenza generale resterà ancora lì
a disfarsi, a decomporsi, a liquefarsi come un rifiuto domestico
troppo ingombrante.
I
ruderi di questo anziano edificio ci somigliano proprio tanto,
somigliano alla nostra fragilità, alla nostra insicurezza, alla
nostra caducità, alla nostra mortalità, al nostro bisogno di felicità,
e poi sono del tutto inutili, direi addirittura un gioioso spreco di
spazio, di tempo e di sintassi urbana. Se non fosse sacrilegio,
aggiungerei che sono anche una faccenda sovversiva, una cospirazione
anarcodadaista inventata da Laurel and Hardy.
Dove
sta il Molino del Passetto, tutti lo sanno. Perché non provare a
conoscerlo, a farselo amico? Passeggiare senza meta tra le sue rovine,
mi permetto di insistere, potrebbe essere un’esperienza
entusiasmante. Il tempo sospeso, il mondo di tutti i giorni così
lontano...
Dice
Roberto Peregalli: “Queste rovine, degradate e marcescenti, sono
l’ombra della nostra vita. E noi abbiamo bisogno di quest’ombra.
Nel presente eternizzato che ci circonda rappresentano la traccia di
una temporalità struggente, della fragilità inconsistente delle
cose. La bellezza dell’attimo.
Il silenzio”.
Molino
del Passetto 2010
Molino
del Passetto nel 2004
Il
Molino del Passetto nel 1990
Il
Molino del Passetto nel 1980
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Molino
del Passetto novembre 2016
Molino
del Passetto 31 dicembre 2015
Molino
del Passetto 2015
Molino
del Passetto 2015
Molino
del Passetto 2015
Molino
del Passetto 2014
Molino
del Passetto 2014
Molino
del Passetto 2013
Molino
del Passetto 2013
Molino
del Passetto 2012
Molino
del Passetto 2010
Molino
del Passetto 2009
Il
Molino del Passetto nel 2002
Il
Molino del Passetto nel 1990
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